A. Forcellino, La Cappella Sistina.

Particolare di copertina
Antonio Forcellino: LA CAPPELLA SISTINA
Presto in lingua inglese per Polity Books

Il nuovo libro di Antonio Forcellino La Cappella Sistina. Storia di un capolavoro sarà presto tradotto e pubblicato in lingua inglese dalla prestigiosa casa editrice Polity Books. 

L’autore in queste pagine ci racconta uno dei momenti più straordinari dell’arte occidentale, una storia che si svolge nei decenni a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento in un unico luogo e che vede al lavoro due generazioni di artisti: il cantiere della cappella Sistina.

Capire il contesto politico nel quale nasce il progetto per la decorazione della Volta Sistina può aiutare a capire anche le modalità rivoluzionarie della sua realizzazione. Il nuovo papa aveva cara quella cappella come una casa di famiglia, ma ancora di più aveva cara l’arte come strumento per celebrare la propria gloria personale e quella della Chiesa.

Giulio II era dotato di una cultura e di un gusto senza pari per l’arte ed era dotato anche di una energia combattiva mai vista in un papa di Roma. Condusse le sue battaglie guidando a volte lui stesso l’esercito pontificio e partecipando alle azioni militari, rischiando più volte di essere ferito e ucciso sui campi di battaglia. La sua legittimità fu messa in discussione ma non dai turchi, che avevano rivolto le loro mire espansionistiche (almeno per il momento) alla lontana Ungheria e al Sud del Mediterraneo, bensì da una parte corposa dell’assemblea dei cardinali manovrata dal re francese, Luigi XII, che voleva abbattere le resistenze dell’unico vero potente principe italiano che ostacolava le sue mire sulla penisola. Giulio dovette subire l’onta di un concilio scismatico convocato a Pisa per deporlo e dovette combattere una guerra senza tregua contro gli eserciti stranieri e le critiche dei cardinali. Nel vortice di passioni politiche e di eventi militari in cui visse, sentì il bisogno di sottolineare con una grande impresa pittorica la legittimità del proprio pontificato e di consegnarlo alla storia divenendo così un committente di una nuova èra, il più grande. La stessa energia e determinazione che mise nelle sue campagne militari profuse nei grandi progetti artistici con i quali volle cambiare il volto di Roma e renderla finalmente degna dell’eredità a cui era destinata.

 Giulio era troppo colto e raffinato per non essersi accorto, sin dagli anni Ottanta, che quel cielo stellato dipinto da Pier Matteo d’Amelia sulla volta della cappella più santa della cristianità appariva povero e inadeguato a celebrare l’idea eroica di papato che aveva in mente. In più, appassionato collezionista di sculture qual era, raffinato al punto da comprare l’Apollo di Belvedere e poi il Laocoonte, già da tempo si era accorto di come il linguaggio artistico avesse subìto negli ultimi decenni una vera e propria rivoluzione e che nuove forme di rappresentazione si erano affermate facendo apparire obsoleti i dipinti di appena vent’anni prima. Morto Lorenzo dei Medici, era lui l’uomo e il committente più intelligente della penisola e lo dimostrò sin dai primi giorni del suo pontificato.

Era stato sedotto dal talento prodigioso di un ragazzo fiorentino che aveva lasciato a Roma due sculture straordinarie, un Bacco comprato da un suo cugino e una Pietà, esposta nella basilica di San Pietro. Accantonando inizialmente le preoccupazioni per la grande crepa che sfregiava il cielo della Sistina, il papa chiamò a Roma nel 1505, per costruire la sua tomba di marmo, Michelangelo Buonarroti, del quale aveva ammirato nel vecchio San Pietro la Pietà di marmo. Dopo una folgorante partenza che spinse Michelangelo a raggiungere Carrara per approvvigionarsi dei marmi per il monumento, il progetto della tomba fu abbandonato, forse per motivi finanziari o forse perché qualcuno aveva sussurrato alle orecchie del papa che costruirsi il proprio monumento funerario in vita portava sfortuna.

Così Giulio si rassegnò ad accantonare il progetto, ma non a lasciare libero Michelangelo del quale aveva avuto prove straordinarie di talento. Lo obbligò a seguirlo a Bologna, dove gli fece fondere una statua in bronzo da collocare, a monito della città, sopra la porta di San Petronio. Da quel momento, da quella impresa di guerra come possiamo definire la fusione della statua del conquistatore per la città conquistata, Giulio decise che Michelangelo sarebbe stato il suo primo generale nella guerra più ampia che intendeva portare alle potenze che si opponevano alla rinascita di uno Stato della Chiesa libero, forte e indipendente. Michelangelo sarebbe stato un alter ego capace di comprenderne le passioni e di tradurle in immagini, instaurando una relazione nuova tra committente e artista che avrebbe conferito al secondo un ruolo politico pari a quello di un ministro. Per i papi precedenti, gli artisti erano stati poco più che artigiani capaci di produrre oggetti raffinati di cui si servivano saltuariamente.
Per Giulio II, Michelangelo diventò un alleato politico di cui non poté più fare a meno.

Antonio Forcellino, La Cappella Sistina


Antonio Forcellino è tra i maggiori studiosi europei di arte rinascimentale. Ha realizzato restauri di opere di valore assoluto, come il ‘Mosè’ di Michelangelo e ‘Le Sibille’ di Raffaello.