Occuparsi del linguaggio pubblico e della sua qualità non è un lusso da intellettuali o una questione accademica.
È un dovere cruciale dell’etica civile.
Gianrico Carofiglio legge un estratto del suo libro, Con parole precise. Breviario di scrittura civile
«Non è possibile pensare con chiarezza se non si è capaci di parlare e scrivere con chiarezza». Sono parole del filosofo John Searle, teorico del rapporto fra linguaggio e realtà istituzionali. Le società vengono costruite e si reggono, per Searle, essenzialmente su una premessa linguistica: sul fatto, cioè, che formulare un’affermazione comporti un impegno di verità e di correttezza nei confronti dei destinatari. Non osservare questo impegno mette in pericolo il primario contratto sociale di una comunità, cioè la fiducia in un linguaggio condiviso.
Le società nelle quali prevalgono le asserzioni vuote di significato sono in cattiva salute: in esse, alla perdita di senso dei discorsi, consegue una pericolosa caduta di legittimazione delle istituzioni.
Occuparsi del linguaggio pubblico e della sua qualità non è dunque un lusso da intellettuali o un esercizio da accademici. È un dovere cruciale dell’etica civile.
Se ti capita di aver fatto il magistrato e il parlamentare, e di scrivere libri, ti capita anche, piuttosto spesso, di sentirti chiedere cosa abbiano in comune (se hanno in comune qualcosa) questi tre lavori. La risposta è che queste tre attività così diverse fra loro hanno tutte a che fare con le parole e la verità. Meglio: con il potere delle parole e il dovere di usarle responsabilmente per dire, in forme e contesti diversi, la verità.
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