«Oggi non annuncio proprio nulla»

“L’angelo sterminatore”, di Marco Ruffolo: un estratto

«Oggi non vi parlerò di nessuna nuova legge, nessun nuovo decreto, nessuna nuova riforma».

«Scusi, ma allora per quale ragione ci ha chiamati, e per giunta quasi all’alba?» chiese una giovane giornalista in prima fila. «Ci viene il sospetto che l’interminabile Consiglio dei ministri di ieri non abbia concluso nulla. Ci dica la verità, presidente». Ripetuti e insistiti cenni di assenso arrivarono dai colleghi.

«Sulla riunione di ieri vi dirò più tardi, abbiamo tutto il tempo» rispose il premier cercando di evitare una polemica che avrebbe complicato un discorso già prevedibilmente complesso. «Qui e ora vi ho chiamati per cercare di dire la verità agli italiani, che dopo i sacrifici e i lutti di questi due anni non si meritano certo di essere tenuti all’oscuro…».

«All’oscuro di che, presidente?» lo interruppe uno dei presenti.

«Che cosa ci avete nascosto? Qualche nuovo dato negativo sull’economia? Sul debito pubblico, che già è salito fin quasi al 170%? Sulla ripresa del Pil che non riesce a tornare ai livelli pre-pandemici?».

«Forse mi sono espresso male. Non c’è nessun nuovo dato segreto. C’è una verità profonda da spiegare con tutta la calma necessaria, e spero che voi mi aiuterete in questa impresa titanica. Oggi non annuncerò nessuna decisione per un semplice motivo. Ho prima il dovere di spiegare perché sono puntualmente naufragate tutte le riforme, le leggi, i progetti, le opere pubbliche approvate finora da tutti i governi che si sono succeduti. Nessuno escluso. Rispondetemi: quante volte si è deciso di semplificare gli adempimenti burocratici? Quante volte è stata decisa una corsia veloce per le opere pubbliche con i consueti sblocca-cantieri, e si è annunciato un uso meno scandalosamente inefficiente dei fondi strutturali europei? Quante volte si sono persi anni o decenni prima di ricostruire almeno parzialmente i paesi distrutti dai terremoti, e ancora più spesso non si sono neppure ricostruiti? Quante volte si sono disposti mega-progetti di sistemazione idrogeologica del territorio per poi assistere ogni anno, e non solo in autunno, a inondazioni e frane devastanti? Quante volte si è cercato di avvicinare l’offerta e la domanda di lavoro senza alcun risultato, e si è promesso di avviare una seria formazione professionale creando invece solo innumerevoli carrozzoni? Quante volte si è deciso di valutare l’operato degli amministratori pubblici, regolando in base a questa valutazione premi e penalità? Qualsiasi riforma, qualsiasi legge, qualsiasi decisione politica, qualsiasi opera, nel momento stesso in cui viene approvata, deliberata, avviata, finisce immediatamente in un ignobile pantano. Vi finisce per l’incapacità della politica, che non sa né legiferare né programmare, e dell’amministrazione, che non sa più gestire la cosa pubblica, priva com’è delle competenze necessarie. Ma vi finisce anche per l’irrompere sulla scena di un profluvio di veti, ricorsi, pareri più o meno vincolanti, minacce più o meno velate, commissioni e sottocommissioni, con il loro corredo di tavoli, task force, cabine di regia e altre amenità che fanno felici i titolisti dei vostri quotidiani e delle vostre tv. E alla fine, tutto si sfilaccia in un delirio di decreti di attuazione, regolamenti, linee guida e interpretazioni. Insomma, un’enorme tenaglia blocca la capacità decisionale della pubblica amministrazione. E così lo Stato smette di funzionare».

«Beh, ma che c’è di nuovo in questa sua analisi?» replicò qualcuno dal fondo della sala. «Lo sappiamo tutti da decenni come vanno le cose in Italia: è la burocrazia, dovreste essere voi i primi a saperlo…».

«No! Qui vi volevo. No!… non mi parlate più di burocrazia. Anzi, vi ordino: cancellate questa parola dal vocabolario. Il male di questo nostro paese è ben più profondo».

La violenta reazione del presidente colse di sorpresa l’intera platea, la quale dava invece per scontato come il problema numero uno in Italia fosse esattamente quello. E del resto, proprio dalla protesta spontanea dei cittadini comuni, sempre più vessati e umiliati dalla burocrazia, erano nate negli ultimi tempi alcune iniziative che avevano suscitato non poco scalpore.

Una di queste era portata avanti dai Citizen Angels, vere e proprie ronde cittadine in divisa, che controllavano preferibilmente gli sportelli di Inps, Agenzia delle Entrate e Poste. Vi aderiva un campionario di varia umanità con tanto tempo libero da riempire: ragazzotti ventenni che si erano ormai sfilati dalle liste di disoccupazione, quarantenni ancora in bilico tra un lavoretto precario e l’altro, ultrasessantenni che l’esigua pensione e la frustrazione per una vita vissuta non come avrebbero voluto avevano reso particolarmente rancorosi. Tutti, insomma, con un buon motivo per avercela con lo Stato, e tutti fieri adesso dei loro berretti paramilitari e soprattutto dei giubbotti di un abbagliante blu elettrico che, oltre alla sigla della loro associazione, esibivano sulla schiena uno strano disegno: un pugno immortalato nel momento in cui fracassa uno sportello pubblico, il classico sportello con il buco circolare in mezzo per il dialogo (si fa per dire) tra il cittadino e l’impiegato. I Citizen Angels si appostavano vicino alla persona che dopo la sua brava fila era finalmente arrivata alla meta e controllavano che l’impiegato non le imponesse obblighi assurdi, come marche da bollo supplementari da pagare o pratiche che avrebbe dovuto svolgere preventivamente presso altri sportelli oppure online. Pronti a reagire se, di fronte alle obiezioni del cittadino, il dipendente pubblico se ne fosse uscito con frasi del tipo «non è di mia competenza», o «noi stiamo lavorando e non abbiamo tempo da perdere». Oltre a questo, essi sorvegliavano che venisse mostrato, sempre da parte dello sportellista, un grado accettabile di educazione e di cortesia. Inutile dire che nove volte su dieci questa forma di controllo popolare finiva per sfociare in risse furibonde e relative denunce. Non c’era nulla, infatti, che il dipendente pubblico potesse fare per alleggerire il carico degli adempimenti previsti. Se non era la legge, era il regolamento a imporli. Quanto alla cortesia, merce sicuramente rara dietro quel vetro respingente, i Citizen Angels finivano spesso per censurare (passando rapidamente dalle parole alle mani) non solo i casi di evidente maleducazione, ma anche quelli in cui il dipendente pubblico non salutava, non alzava gli occhi, non sorrideva.

Al premier era stato consegnato da tempo un voluminoso dossier con tutte le imprese controproducenti di queste ronde cittadine. Problema di ordine pubblico che sarebbe stato presto superato, pensava. Sapeva che non era questo il punto, e non lo era neppure la pretesa di una generica semplificazione sburocratizzante. Quel che cercava ora di dimostrare di fronte ai giornalisti era ben altro.

«Se il problema lo riducete alla burocrazia, alla ostinata resistenza passiva di qualche dirigente ad ogni forma di facilitazione, se lo attribuite al presunto sabotaggio di una sorda casta di super-travet, allora significa che non avete capito nulla di questo nostro maledetto e benedetto paese. Quel che paralizza l’Italia è qualcosa di molto più grave e profondo. Non qualche laccio e lacciuolo che impedisce di rinnovare la vostra carta di identità o di creare il vostro Spid, per altro complicatissimo da ottenere. Non qualche procedura astrusa. Non qualche colpevole inerzia. La malattia – chiamatela pure virus – non ha un volto preciso, o ne ha così tanti che è impossibile addossare colpe specifiche. Questo virus funziona come una grande rete anonima, sia esterna sia interna all’amministrazione, che spinge ognuno di noi a fare l’esatto contrario di ciò che dovrebbe suggerirci la razionalità. Il risultato è una specie di auto-golpe. Purtroppo non è il colpo di Stato di qualche imbecille da rinchiudere per un bel po’ di tempo nelle patrie galere: è un golpe senza autore e senza volto, maturato anno dopo anno, decennio dopo decennio, che alla fine è esploso nel silenzio e nell’impotenza generale. Il risultato, però, è lo stesso. Guardatemi, guardate il mio governo, guardate anche tutti i governi che si sono succeduti: possiamo fare leggi su leggi, decreti su decreti, ma giriamo a vuoto, come criceti nella ruota di una gabbietta. Peggio: siamo anime morte, come tutti voi, imprigionate insieme nella triste villa di Calle de la Providencia».

Tra i presenti, pochi azzardarono un sorrisetto di intesa, come se avessero capito cosa fosse e dove stesse questa misteriosa Calle de la Providencia, mentre i più restarono impassibili. Alcuni provarono subito a cercarla su Google Maps. Ce n’erano un paio in Spagna e una a Città del Messico. Solo più tardi qualcuno si ricordò che era il nome, simbolicamente scelto da Buñuel, della strada che faceva da ambientazione al suo film.

«Dite agli italiani» continuò il premier «che siamo bloccati non per la resistenza di qualcuno o di qualcosa, ma perché, per un groviglio inaudito di nodi irrisolti, lo Stato ha smesso di funzionare e in molti campi non ha mai cominciato a farlo. […] Ora, se c’è una cosa che non possiamo permetterci, soprattutto adesso, è proprio uno Stato paralizzato. Ecco, ora potete comprendere finalmente il perché di Buñuel, il senso di quegli invitati costretti da una forza misteriosa a restare nella casa di chi li ha ospitati, impossibilitati a varcare il portone. Atroce mistero. Qualcuno vi muore dentro, qualcun altro impazzisce. È come se una specie di angelo sterminatore impedisse ai programmi governativi, alle leggi, alle opere pubbliche – proprio come accade ai protagonisti del film – di uscire dalla porta della politica e di diffondersi nella società, modificando comportamenti, trasformando convenienze, offrendo servizi e infrastrutture decenti. Ebbene, far funzionare lo Stato è impossibile senza guardare in faccia questo angelo sterminatore. Ma per capire il suo mistero, qualche domanda che vada un po’ più in profondità di una generica richiesta di semplificazioni dobbiamo cominciare a porcela».

 

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