Mariana Mazzucato racconta il successo del progetto pubblico Apollo per raggiungere la Luna. Ora, dice, è il momento di replicarlo quaggiù
Francesco Manacorda, la Repubblica, 15 aprile 2021
Mariana Mazzucato non è studiosa che può lasciare indifferenti. Economista, fautrice da tempo della valorizzazione del ruolo dello Stato nell’economia è un’accademica di successo, ma anche una polemista “larger than life”, mediaticamente molto efficace e sempre pronta ad affrontare dibattiti aspri con la scuola liberista che tanto peso ha avuto in questi anni nella sua disciplina.
La categoria di chi la apprezza, è oggi assai vasta e comprende, per dirla alla Jovanotti (anche lui, c’è da scommetterci, suo estimatore) «una grande chiesa, che va da Che Guevara», non a Madre Teresa, ma a Papa Francesco sì, visto che il Pontefice l’ha più volte citata e le ha dato anche un molo in una commissione di studi vaticana. Paiono stimarla pure i leader politici di mezzo mondo (dal Sud Africa all’Italia del governo Conte) che si sono avvalsi delle sue consulenze. Nutrito anche il partito di chi contesta le sue tesi, non solo tra le file della destra classica. Ma in ogni caso vale sempre la pena di ascoltarla e leggerla anche se non si è in accordo con lei: sia per l’incisività delle sue argomentazioni sia per la passione civile che le anima.
E questo il caso anche del suo ultimo libro Missione economia, che si presenta fin dal titolo come una pratica eppure ambiziosa “guida per cambiare il capitalismo”, pubblicato in Gran Bretagna a inizio anno e che arriva adesso in Italia per Laterza.
Il capitalismo è in crisi — ci spiega Mazzucato — e dopo la crisi finanziaria del 2008, anche le catastrofi ambientali e, ultima, la pandemia in corso mostrano una situazione in cui si è lasciato e si lascia amplissimo spazio all’iniziativa privata, mentre ci si appella allo Stato solo quando c’è da raccogliere i cocci. Ma anche gli Stati sono in crisi d’identità, e visto che «nelle crisi l’intervento del governo è efficace solo se lo Stato ha corrispondente capacità di agire» è necessario non solo ripensare il capitalismo attuale, ma anche «trasformare lo Stato dall’interno e di rafforzare i suoi sistemi in materia di salute, istruzione, trasporti e ambiente, imprimendo al contempo una nuova direzione all’economia». Si tratta, in particolare, di creare un’economia «orientata allo scopo», nella quale i governi tracciano obiettivi e percorsi e agiscono anche come «investitori di prima istanza» in aree che magari non offrono ritorni economici immediati, ma che «guidano la produttività a lungo termine», spiega Mazzucato, ricordandoci ancora che senza investimenti pubblici oggi non esisterebbero né Internet né la Tesla.
Per illustrare come si muove uno Stato quando ha un obiettivo da raggiungere, l’autrice analizza in dettaglio il programma spaziale Usa Apollo annunciato nel 1962 dall’amministrazione Kennedy e culminato nel 1969 con il primo uomo in grado di arrivare sulla Luna e di fare ritorno a terra. È forse la parte più affascinante del libro, dove i dettagli organizzativi si mescolano a quelli tecnici, le tragedie umane — la morte di tre astronauti in una simulazione sull’Apollo 1— si uniscono all’entusiasmo pionieristico dei giovani Stati Uniti — l’età media nella sala di controllo delle missioni era di 26 anni — nella corsa allo spazio. Il risultato di quella scommessa non è solo la supremazia americana nel cosmo, ma anche le «venti cose che non avremmo avuto senza i viaggi spaziali», dalla fotocamera nei telefonini alla Tac, dal latte in polvere alle scarpe da corsa, oggi ubique nelle nostre vite. Dunque, è la tesi, se lo Stato si dà obiettivi prioritari e decide di raggiungerli, questo provoca effetti benefici in termini di innovazione e sviluppo su tutto il sistema attraverso l’interazione tra il settore pubblico e le imprese private e con il necessario coinvolgimento dei cittadini. Certo, Mazzucato avverte che le missioni tecnologiche sono assai più circoscritte di quelle economiche e sociali e anche per questo più facili da compiere. Ma indica comunque alcune missioni “terrestri”, per i governi in questa nuova epoca: creare un New Deal “verde”, innovare per garantire alla platea più vasta possibile l’accesso alle cure mediche; ridurre il divario digitale.
Orientare l’economia verso missioni crea anche un cambio di paradigma: «Far funzionare l’economia per gli obiettivi della società, anziché mettere la società al servizio dell’economia, impone un ripensamento nel modo di intendere i bilanci — scrive Mazzucato. Dobbiamo iniziare domandandoci “che cosa bisogna fare?” e poi pensare a come pagare gli interventi necessari». Una rivoluzione copernicana per la “vecchia” Europa del Patto di stabilità e di crescita e per Paesi come l’Italia, gravati da un forte debito pubblico e quindi perennemente — o quasi, come si vede oggi con la crisi innescata dal Covid — costretti a rispettare severi vincoli di bilancio.
Missione economia arriva in un momento assai propizio per il dibattito sul ruolo dello Stato e delle organizzazioni sovrannazionali nel risollevare l’economia. La pandemia, le difficoltà di approvvigionamento di vaccini, gli extraprofitti che alcuni settori stanno realizzando in una fase durissima per la maggioranza della popolazione, spingono a superare molti tabù e a spingere la visione di chi vede più vantaggi che svantaggi in un settore pubblico che indirizzi e accompagni gli attori di mercato. Del resto il piano Biden da 3 mila miliardi di dollari per ridare vigore all’economia Usa o il Recovery Plan europeo sono proprio casi di interventi pubblici da manuale. Interventi ex post, che avvengono appunto per «raccogliere i cocci» di una crisi dominata dal mercato, ma che almeno nella versione europea — dove il Recovery si lega a investimenti in aree ben precise come la transizione ambientale ed energetica — puntano a trasformare il ruolo del pubblico in motore di innovazione.
C’è da aspettarsi che Missione economia, con le sue ricette forti e la sua galleria di orrori di mercato, susciterà dibattito. È accaduto nel mondo anglosassone e anche in Italia non mancherà chi classifica quelle di Mazzucato come utopie irraggiungibili. Utopie forse, ma nel caso utopie necessarie.
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