Nel Trecento il mondo venne devastato da inondazioni, pestilenze, carestie. Ma le tre grandi civiltà del tempo costruirono dei “paesaggi adattativi”. E riscrissero il futuro
Emanuele Coen | L’Espresso | 9 gennaio 2022
Per quanto terribile, la pandemia di Covid-19 è solo una delle crisi che ha conosciuto l’umanità nel corso dei secoli. Nel 1300, ad esempio, sul finire del nostro Medioevo, il mondo viene attraversato da una serie di eventi naturali drammatici e devastanti: pestilenze, inondazioni, carestie. Da un capo all’altro dell’Eurasia si avvertono le conseguenze di un improvviso mutamento delle temperature e l’inizio di quella che viene chiamata “piccola glaciazione”. Eppure le tre grandi civiltà del tempo, quella europea, quella islamica e quella cinese, seppero costruire veri e propri “paesaggi adattativi” per affrontare le sfide e gettare le basi per il futuro. Amedeo Feniello, docente di Storia medievale presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila, ricostruisce il secolo della dinastia Ming e della peste nera nel suo libro “Demoni, venti e draghi” (Editori Laterza).
Professor Feniello, in cosa consistono i “paesaggi adattativi”?
«L’idea nasce negli anni Trenta dei secolo scorso. Il primo ad usarla è stato il genetista Sewall Wright, seguito da molti altri che l’hanno trasformata in una metafora globale dell’evoluzione, con l’idea dell’esistenza, in natura, di infiniti paesaggi ecologici, differenti ma interrelati tra loro, ognuno con le proprie asperità e i propri picchi, che tuttavia si adeguano e rispondono in modo sempre diverso all’ambiente circostante. Tante nicchie, come tante sono le nicchie sociali umane che, come vediamo oggi, seguono percorsi autonomi per rispondere alla pandemia».
Quali sono le differenze sostanziali tra le crisi del Trecento nel mondo islamico, in Cina e in Europa?
«Il mondo era molto più slabbrato di quanto lo sia oggi. Le distanze erano pressoché incolmabili per i mezzi dell’epoca. Ad esempio, in Cina prevalse prima un sistema assistenziale di massa che, sotto la dinastia mongola degli Yuan, fu, a causa del continuo esborso di carta moneta per garantire soccorso, una delle molle che fece completamente saltare il banco, innescando una spirale inflattiva cui non si riuscì a porre rimedio. Politica su cui prevalse, dopo la dura e terribile fase di instaurazione del nuovo governo Ming alla metà del Trecento, una sorta di new deal, con la realizzazione di enormi opere pubbliche, come il Gran Canale o la Grande Muraglia. Diversa fu invece la situazione europea, dove i grandi shock ambientali ed epidemici accelerarono molti dei processi in corso, trasformando l’Occidente cristiano in un grande laboratorio di innovazione politica, finanziaria, sociale. Frutto di quell’epoca sono l’invenzione della holding e la nuova impalcatura degli Stati nazionali».
E nel mondo musulmano?
«La più straordinaria rivoluzione riguardò l’attuale Indonesia, che nel giro di un secolo si trasformò in un universo islamico. Un’ondata di conversioni non dovuta all’esercizio della violenza, ma pacifica, importata da frotte di mercanti che attraversavano l’ampio spazio tra Oceano Indiano e mar della Cina. Una trasformazione religiosa figlia dei tempi, forse perché la spinta messianica insita nell’Islamismo ben si addiceva a un’epoca turbolenta e difficile come quella del Trecento. Ma, senza dubbio, una trasformazione trasportata dai monsoni, i venti dell’espansione commerciale dei mercanti islamici».
La storia non è maestra di niente, scrive lei, perché se insegnasse davvero vivremmo nel migliore dei mondi possibili. È così pessimista?
«No, non sono pessimista. Sono realista. Ma, leggendo la storia, mi resta una percezione chiara: che ogni crisi è strumento, allo stesso tempo, di vita e di morte. Ricorda le “distruzioni creatrici” di Schumpeter? Ecco, quella è una formula che mi convince. Prendo un esempio legato all’attualità: il mondo dopo il Covid-19 non è più quello di appena due anni fa, del febbraio 2020. I cadaveri lasciati dalla pandemia, non solo quelli concreti, reali, ma parlo di quelli metaforici, sono una miriade».
Come sostiene lo storico Carlo Maria Cipolla, che lei cita nel libro, «ai primi del Trecento il solo modo di essere ottimisti era quello di credere che nel futuro le cose sarebbero continuate ad andare come erano andate nel passato, il che nella storia non è mai vero». È una considerazione valida anche oggi?
«Non ho scelto a caso questa frase di uno storico straordinario come Carlo Maria Cipolla che aveva spesso una lente peculiare per leggere l’evoluzione dello spazio economico europeo. Quello che pensavano quegli uomini del Trecento non mi meraviglia: anche noi abbiamo la percezione che il mondo in cui viviamo sia non solo l’unico possibile ma, al contempo, immuta- bile. Pure per noi, all’inizio di questo millennio, sembrava che tutto fosse regolare, preciso, scandito a lettere di fuoco nell’evoluzione perfetta della “fine della Storia”. Mai parole furono più inette e inutili. La “fine della Storia” è stato un fraintendimento durato un attimo, trascinato via dalla crisi del 2008 e poi dal primo contagio Covid-19 nella città di Wuhan».
Nel caso della Cina, le strategie messe in atto nel Trecento dalla dinastia Yuan si rivelarono disastrose, mentre la dinastia successiva, i Ming, misero a segno opere di rilevanza fondamentale per i secoli successivi. Come avvenne il cambio di passo?
«Avvenne con una violenta e profonda rivoluzione, anche se quello di “rivoluzione” per i cinesi è un termine improprio: essi preferiscono quello di “geming” che non significa rivolta ma “revocare il mandato”, ossia sostituire una dinastia immeritevole del mandato del Cielo con una migliore. Ciò non toglie che, nel corso del Trecento, ciò avvenisse con una serie turbinosa di guerre dove diversi signori della guerra e il movimento dei cosiddetti Turbanti rossi e il potere Yuan si contendessero il potere e provocassero morte e distruzione. Quando vince e si consolida, la nuova dinastia Ming riesce a ristabilire l’ordine dal caos, con una serie di opere che intervengono dal basso, a partire dai villaggi rurali: un modello che non lasciò indifferente anche Maso Zedong».
L’emergenza ambientale, tra le priorità della nostra epoca, è stata cruciale anche in altre fasi storiche. Ad esempio in Egitto, dove il sistema si basava sull’unica risorsa delle piene del Nilo, quando arrivò la crisi demografica saltò l’intero sistema. Come si riorganizzò l’economia egiziana?
«Non si riorganizzò e l’Egitto entrò in una crisi irreversibile dopo essere stato per secoli uno dei bacini industriali e produttivi del Mediterraneo e del mondo islamico. Si interruppe il sistema di gestione delle piene del Nilo, indispensabili per la produzione agricola e per la distribuzione delle risorse nelle varie parti del Paese. Quando la peste nera fece irruzione nel paesaggio egiziano e trascinò con sé centinaia di migliaia di persone, venne a mancare la massa di manovra che doveva sovrintendere alle strutture del Nilo. Ebbero luogo impaludamenti, ingolfamenti, innalzamenti e abbassamenti inaspettati. Un disastro».
Il Trecento, dunque, è anche il secolo della peste nera. Dalla Cina fino all’Europa si diffonde un’epidemia che sembra annunciare l’apocalisse, accompagnata da furiose inondazioni e giganteschi sciami di cavallette. Come ne uscì l’umanità?
«La peste nera fu uno shock epidemico di una natura non comparabile con quanto stiamo vivendo oggi. Le proporzioni furono terribili, con un tributo di vite umane pari a un terzo dell’intera popolazione euroasiatica. Inoltre, la peste nera non fu che l’inizio e tornò in forme altrettanto virulente nei secoli a venire: basti pensare alla peste del Seicento raccontata nei “Promessi sposi”. II mondo non poteva essere più quello di prima e uscì dall’epidemia boccheggiante. Tuttavia, il nuovo avanzò. L’Europa, ad esempio, cominciò a liberarsi di alcuni fardelli culturali, si riscoprì il latino classico, la filologia la fece da padrona. Soprattutto si avvertì il fastidio verso l’epoca passata che esprimeva valori in cui il mondo dono I peste non si riconosceva più e nacque un’idea nuova di Medioevo: una lunga stagione compressa tra due splendori, quello dell’epoca classica greco-romana e quella rinnovata degli umanisti tre-quattrocenteschi. Risposte e accelerazioni che furono anche figlie della crisi ambientale e pandemica».
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