Questo libro è un grande regalo. È l’ultimo scritto di Franco, Franco Cassano, scomparso nel febbraio 2021, che Luciana De Fazio, sua moglie e compagna di vita, ci ha generosamente offerto per la pubblicazione ben sapendo quanto ciò sarebbe stato accolto con entusiasmo in casa editrice. Perché con Franco oltre a un intenso e rilevante rapporto professionale c’era anche una relazione affettiva e intellettuale: che prevedeva sia le sue chiassose irruzioni nella redazione di Bari o le cene in cui si dichiarava eternamente a dieta e cercava invano di evitare gli schizzi di salsa sulla sua maglia; sia un intenso scambio di idee e riflessioni sul suo lavoro, sugli scenari politici e sociali, sul nodo di pensieri che stava affrontando. Con una sensibilità e una capacità di ascolto che erano parte del suo carattere e, insieme, del suo stile di ricerca.
Questo libro non è un “testamento spirituale”, né una “ultima lezione”. È molto di più: è il desiderio di Cassano, che sente vicina la fine, di esprimere un’interpretazione “autentica” del proprio percorso, mantenendo vivo il senso di quanto sia impossibile l’autocertificazione della storia intellettuale di un autore e di quanto sia ovvio che i suoi lettori lo interpretino e lo fraintendano. Con una consapevolezza nuova, alle soglie del buio, della auspicabilità di questo fraintendimento che tradisce una verità comunque fragile e contraddittoria, ma ne sottrae i tratti all’oblio:
L’interpretazione, quando è seria e impegnata, è un modo di rivivere quello che l’altro ha detto, una “fedeltà infedele” che permette agli uomini di comunicare pur rimanendo diversi.
L’incontro di Cassano con la casa editrice, al di là dei mille pregressi punti di contatto con la redazione barese di Vito Laterza, ha una data e perfino un’ora precisa: avviene nella nostra Libreria il 7 dicembre 1993, alle 18.30. Occasione: la presentazione, con Arcangelo Leone de Castris e Giuseppe Cotturri, del suo libro Partita doppia. Appunti per una felicità terrestre, edito quell’anno dal Mulino. Forse più che una presentazione fu un pacifico agguato. In particolare mia madre Giovanna, allora alla guida della Libreria, colpita dallo straordinario successo di pubblico nella presentazione di Approssimazione. Esercizi di esperienza dell’altro (il Mulino, 1989), mi aveva ripetutamente invitato ad avvicinare questo autore cinquantenne, brillante, fuori dai ranghi e dalle convenzioni, che sembrava poter dire e dare molto in quello che era un tempo complicato. Per l’epocale caduta del Muro di Berlino nel 1989 e per la dissoluzione dell’URSS nel 1991 che a molti sembrava promettere una prospettiva di mondializzazione e progresso felice ma di fatto aveva rotto un equilibrio, politico ed economico, in assenza di un’alternativa solida. Ma anche per i venti di guerra che per un decennio avrebbero scosso i territori della ex Iugoslavia, riportando alla luce antichi odi etnici e religiosi, che si sarebbero rivelati assai più che un residuale retaggio del passato. E poi per quello che era sotto i nostri occhi: il drammatico approdo della nave Vlora nel porto di Bari con il carico di dolore e speranza di ventimila albanesi nell’agosto 1991; il terribile e inaspettato rogo del Teatro Petruzzelli nell’ottobre dello stesso anno. E infine per quello che accadde tra il 1992 e il 1993 su scala nazionale ed europea: l’esplosione di Tangentopoli al Pio Albergo Trivulzio di Milano; la soppressione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno e la successiva crisi del sistema bancario meridionale; l’offensiva mafiosa in Sicilia con i mortali attentati a Falcone e Borsellino; la sottoscrizione del trattato di Maastricht che rilanciava il progetto europeo ma comportava l’adozione dei famigerati parametri di convergenza per l’accesso alla Unione economica e monetaria.
Da quell’incontro e in quel contesto è nato, ai primi del 1996, Il pensiero meridiano. Un’opera che ha avuto un successo straordinario ed esercitato una forte influenza, divenendo l’emblema della voglia di riscatto non solo del Sud d’Italia, ma di tutti i Sud.
Il padre del pensiero meridiano ha amato e odiato questo figlio.
Lo ha amato perché, tra mille travisamenti, ha acceso un dibattito nel Mezzogiorno in un clima politico che vedeva incrociarsi i tentativi di costruire una sinistra dopo lo scioglimento del Partito comunista italiano, la discesa in campo di Silvio Berlusconi, l’impennata della Lega Nord e della “questione settentrionale”. Ne è stato fatto – per lo più in buona fede – il manifesto di un rivendicazionismo meridionale, un appello alla “decrescita felice”, l’onirica immagine di un grande abbraccio dei popoli del Mediterraneo o della sconfinata bellezza dei Sud: tutte letture distorsive, espressione, però, del desiderio di rompere la cappa di silenzio che sul Mezzogiorno e sui (e tra i) meridionali era calata. In realtà, il nucleo forte dell’opera era nell’invito a ripensare un autonomo progetto di sviluppo per i Sud senza piegarsi al solo confronto con il modello dei Nord.
Il primo passaggio essenziale del libro – scrive Cassano nella prefazione alla edizione 2005 – sta nella netta e radicale rivendicazione di autonomia del Sud. Come recitava la quarta di copertina della prima edizione, il cuore del progetto è quello di “restituire al Sud l’antica dignità di soggetto del pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato solo da altri”. Il Sud non è un non-ancora, non esiste solo nella prospettiva di diventare altro, di fuggire inorridito da sé per imitare il Nord venti o cento anni dopo, e quindi probabilmente mai. Il primo passo dell’autonomia sta proprio qui, nella comprensione che il futuro può non essere un inseguimento eternamente incompiuto ed eternamente fallimentare.
Era anche una visione ottimistica del mondo dopo la fine del bipolarismo: un mondo in cui sembrava che le istituzioni sovrannazionali – e non solo il capitalismo senza patria della globalizzazione – potessero prendere slancio e in cui pareva possibile aprire un dialogo di pace e comune progresso tra le sponde del Mediterraneo. Un tentativo di aprire una linea di ricerca – come ha scritto Franco Chiarello su “La critica sociologica” – per “modernizzare la modernità”.
Lo ha odiato perché gli è rimasto abbarbicato addosso anche quando la sua riflessione era andata avanti e oltre e, pur restando vitale il messaggio di fondo, troppe cose erano cambiate per ripeterlo ritualmente e senza distinzioni. Sì, perché Cassano aveva ben chiaro che il trauma delle Torri Gemelle, dell’11 settembre 2001, aveva avviato una spirale ritorsiva di cui era – e resta difficile ancora oggi – vedere gli esiti; che la crisi finanziaria esplosa nel 2007 aveva mostrato il volto cattivo della globalizzazione come motore di disuguaglianze, impoverimento e paura anche nei paesi ricchi; che la deludente esperienza delle “primavere arabe” aveva mostrato i limiti dell’idea di una meccanica esportazione della democrazia senza contraccolpi e contraddizioni. Tutti temi, questi, che – insieme alla riflessione sullo scenario politico italiano – hanno ispirato altri due libri Laterza: L’umiltà del male (2011) e Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento (2014), nei quali si è interrogato sui fenomeni dei populismi insorgenti, sui nuovi rancori razziali e territoriali, sulla disarticolazione del mondo del lavoro, sul declino della classe operaia come soggetto politico, sulla crisi della prospettiva internazionalista delle sinistre europee. Questioni che ricorrono anche nelle pagine della Contraddizione dentro.
[…] Giunto al termine del suo percorso Franco ha voluto volare su un piano diverso: per disegnare quello che a suo avviso è il campo di gioco del prossimo futuro – ne abbiamo fatto cenno – ma anche per tornare a riproporre i princìpi cardine del suo modo di vedere, affrontare e studiare la realtà. Cassano insiste sul motivo della contraddizione come motore di conoscenza e di consapevolezza della fragilità e precarietà umana.
A mio parere, è una rinnovata proposizione della linea e della metodologia fondate in Approssimazione e in Partita doppia.
Noi tenteremo di rielaborare – scriveva in Partita doppia – un’esperienza sostanzialmente costante: la scoperta del doppio lato delle cose, dell’ambivalenza del mondo, dell’impossibilità di ricondurre le azioni e gli atteggiamenti dell’uomo nelle maglie di una contabilità semplice. Ma l’ambivalenza è molto discreta e non ama rivelarsi agli uomini che pensano che sia facile aggirarla o truccano i conti; accade così che essa spesso lavori alle loro spalle, nell’angolo buio dove la vista non arriva.
Questo gioco sottile, sul filo dell’ambivalenza e della contraddizione, Cassano non l’ha mai giocato per sospendere pilatescamente il giudizio o per mimetizzarsi nel relativismo della moltiplicazione dei punti di vista. Al contrario: questi esercizi di pensiero hanno sempre prodotto un invito alla “capacità, anche unilaterale, a obbligarsi” nelle relazioni umane, in quelle sociali, in quelle tra popoli, e un acuto senso del fatto che “il vantaggio dell’uno è danno all’altro” e la mediazione è sempre rischiosa e difficile. Lo stesso esercizio della critica include un elemento di distruttività che produce la perdita delle certezze di tutte le ortodossie e di tutte le semplificazioni; ma non per questo va abbandonato per riposare su una consolatoria verità certificata solo dalla miopia di un punto di vista unilaterale o di un passato che è irrimediabilmente passato.
La coscienza infelice – scrive l’autore alla fine di questo libro – non è uno stadio da superare, ma una condizione permanente di tensione, è la consapevolezza che l’unico modo per andare avanti è avere la contraddizione dentro senza farsene travolgere.
Il rituale di queste occasioni prevede che io concluda dicendo che Franco Cassano ci mancherà. Ciò è certo vero sotto il profilo personale. Ma io voglio scommettere che per altri aspetti non ci mancherà. Il che si avvererà se sapremo fare tesoro di quanto ci ha insegnato e soprattutto se le tante direzioni di ricerca che ha aperto e coltivato con passione e generosità troveranno alimento per essere continuate. Ne abbiamo davvero tutti un grande bisogno.
Ottobre 2021
Alessandro Laterza