Bruno Ventavoli | Tuttolibri | 26 febbraio 2022
«Non sempre mi sono chiamato Ale. Prima mi chiamavano Lisa». Ma qualcuno, come il dentista, sbaglia ancora i nome. E poi, scusandosi per il lapsus, aggiunge la domandina indiscreta su «che cosa c’è là sotto». Perché la Natura costruisce corpi con indubitabili attributi sessuali in corrispondenza del bacino. Mentre lo spirito (se vogliamo essere hegeliani) o la provvidenza (se vogliamo credere in qualche divinità burlona) si diverte a sparigliare le cose. E non sempre l’identità sessuale s’accorda con l’involucro di carne e ossa. Questo racconta Alec Trenta con Barba, vaporosa autofiction a fumetti di un* ragazz* nat* due volte.
Lisa non si trovava nei panni della femminuccia. Voleva giocare a pallone con i maschietti. Vestirsi come loro. Comportarsi come loro. E per impadronirsi del loro status rubava addirittura le loro biglie, temperini, gomme.
All’inizio la confusione è grande. Se «le» piacciono le ragazze è una lesbica? No, troppo semplice. Serve un’operazione? Forse, però Lisa ha paura del bisturi. Il problema è più profondo: il senso di vuoto interiore. Prova a riempirlo come un kebab di ipotesi, esperimenti, sfoghi. Ma il maledetto vuoto resta. Finché non decide di intraprendere un percorso di «affermazione di genere». Perché ha semplicemente capito di essere «transgender».
Incontra lo psicologo, l’endocrinologo, l’avvocato. La mamma e il babbo sono due compagni comprensivi di questo viaggio attraverso la medicina, la burocrazia, il consenso sociale. A poco poco la metamorfosi comincia. Crescono gli agognati peli, che sono il sigillo esteriore di un’avvenuta vittoria interiore. Qualcuno comincia a scambiarlo per un uomo. Addirittura può giocare a calcetto con gli altri maschi. La prova regina della virilità. Naturalmente quando ha sui piedi la palla per segnare il primo gol maschio, sparacchia maldestramente sulla traversa. Perché continua ad avere i «piedi a banana». E anche, soprattutto, perché quella suddivisione del mondo in maschio e femmina, azzurro e rosa, calcio e bambole, è davvero una tassonomia fallata, troppo semplicistica per accogliere la ricchissima fluidità della vita.
Barba è la storia di una transizione riuscita. Di un’identità conquistata. Di una rinascita. Il segno molto semplice ben s’accorda con un percorso tutto sommato facile. Ben diverso dal romanzo grafico di un’altra adolescenza «trans», quella di Fumettibrutti, che raccontava il passaggio inverso, dal maschile al femminile, con dettagli urticanti. Lo sfruttamento anche violento che i maschi facevano del suo corpo androgino, la dolorosa operazione chirurgica, lo spaesamento amoroso. Tutto tragico e grottesco al tempo stesso. Trenta, che tra l’altro rende omaggio a Fumettibrutti, sceglie una via narrativa più dolce. Sottolinea più la comprensione e l’aiuto che l’ostilità, la complicità più che l’emarginazione, il sorriso più che il bullismo. I genitori sono dalla sua parte, gli amici, e persino alcune ragazze che finalmente può amare da maschio. In fondo al libro c’è un numero di telefono (vero) cui tutti quelli che hanno dubbio problemi di genere possono rivolgersi. Barba, caso mai ce ne fosse bisogno, è la dimostrazione della vitalità che sta attraversando il nostro fumetto. Oltre ad essere strumento di attrazione alla lettura per i giovani nelle forme più popolari, sta diventando sempre più un linguaggio potente, ricco, variegato per raccontare il mondo fluido delle generazioni millennials. E lì dentro, in quella fusione nucleare di parole e disegni, che sta accadendo il meglio della narrativa giovane. Padri (nonni) se volete capire figli (nipoti) lasciate perdere Edipo o Turgenev, andate in fumetteria.