Andrea Marcolongo rivela perché (e come) ha lasciato la scrivania per la strada, “faticando” come i Greci. Una passione nata a Parigi, coltivata con un motivatone d’eccezione e il più antico manuale di sport.
Viola Ardone | Tuttolibri – La Stampa | 2 aprile 2022
Io, personalmente, corro solo se inseguita. Non così Andrea Marcolongo, la quale ci confessa che dopo anni di vita sedentaria dedita esclusivamente all’allenamento della materia grigia, ha deciso di intraprendere una cosa nuova. Un’impresa titanica, a dire il vero, paragonabile soltanto a quella di aprire per la prima volta a 14 anni il ponderoso vocabolario di greco. Tra quelle righe scritte fitte fitte nacque un tempo il suo amore per le lingue classiche. Tra le strade di Parigi – dove risiede ormai da alcuni anni – è nato invece il suo amore per la corsa. E tra le pagine di questo libro di sorprendente originalità può cominciare, forse, anche il nostro. Che siate eredi di Achille piè veloce o esseri mitologici metà uomo metà divano, non importa: questo è il libro per voi. Perché il nuovo lavoro di Marcolongo, De arte gymnastica, potrebbe chiamarsi anche «maratona per principianti», ovvero come passare dalla scrivania alla pianura di Atene con l’aiuto di Filostrato. E di Murakami, naturalmente.
In questa sorta di «autobiografia della corsa», la studiosa di lettere antiche ci parla di sé – ma in fondo di noi – raccontando come ogni giorno abbia sostenuto un corpo a corpo, è il caso di dire, con se stessa per compiere quel semplice movimento di lasciare la scrivania, chiudersi la porta di casa alle spalle e uscire in strada per correre perlomeno un chilometro. E poi un chilometro in più, e poi un altro e un altro ancora. E mentre l’asfalto diventava sempre più docile sotto le suole di gomma, mentre la corsasi trasformava da dovere in abitudine si facevano strada in lei due idee, due progetti ambiziosi e paralleli: scrivere un libro che parlasse della corsa e preparare la maratona di Atene. Che per alcuni versi sono la stessa cosa. Scrivere un libro significa imbarcarsi in un’impresa che affascina e impaurisce, un impegno costante a cui ogni giorno aggiungere qualcosa, senza avere mai la certezza di arrivare in fondo. Proprio come la maratona: 41,8 km di corsa tra la cittadina di Maratona e la mitica capitale della cultura greca. E lì nel 490 a.C. che il primo maratoneta della storia, Filippide (o Filippide, a seconda delle versioni) stramazzò al suolo dopo aver percorso quella distanza senza mai fermarsi al solo scopo di portare ai suoi concittadini la notizia dell’esito dello scontro tra ateniesi e persiani. Giunto in città gli restò il fiato per pronunciare solo una parola: nenìkamen, ovvero abbiamo vinto. Che è la stessa parola che viene in mente a me – e forse a tanti scrittori – quando riesco ad arrivare in fondo a una storia. Nenìkamen: ce l’ho fatta, ho tagliato il traguardo, non ho abbandonato la gara. Ed è questa la vera sfida di ogni iscritto alla maratona: non certamente vincerla, ma giungere quantomeno ad attraversare la linea del traguardo entro il tempo massimo.
Marcolongo ci invita a sollevare le nostre intorpidite membra dal divano, ci porta con sé con dolcezza, ironia e autoironia, coniugando in maniera godibilissima la storia, la cultura e le valenze profonde della corsa dal mondo antico a oggi. E in ogni pagina del libro che insieme a noi sta scrivendo, proprio sotto ai nostri occhi, passo dopo passo direi, fuor di metafora, tenta di rispondere alla nostra domanda che poi e anche la sua: perché. Perché si corre? La domanda che tutti i non corridori vorrebbero fare a tutti i corridori, come se fossero due squadre in cui è divisa fin dalla notte dei tempi l’umanità: quelli che corrono e quelli che no.
Le risposte poi sono tante: perché fa bene, innanzitutto, per tenersi in forma, certamente. Perché è bello sentirsi parte di un club il cui unico requisito di ammissione siano un paio ei scarpette da ginnastica e dei polpacci ben allenati. Ma c’è di più, naturalmente. Ce lo spiega Filostrato, che già nel II secolo d. C. dedica allo sport e alla corsa un aureo libello intitolato appunto Sulla ginnastica. Ce lo ribadisce Murakami nel suo intramontabile L’arte di correre. Ce lo sussurra Forrest Gump, runner per caso. Ce lo insegnano i bambini, per i quali la corsa è un’andatura naturale che spesso i genitori tendono a inibire (non correre, non sudare, non ti fare male… ! ).
La corsa è forse la prova che il tempo esiste, ma è un tempo, quello del runner, che non scorre come l’acqua nel letto di un fiume, senza che ce ne rendiamo conto. E un tempo che si scala, invece, come una montagna, un tempo che non sfugge di mano nel perenne tentativo di agguantarlo. Un tempo lento, che riusciamo a percepire secondo per secondo, passo dopo passo, lastra dopo lastra di una strada di cui non percepiamo la fine a perdita d’occhio. Il tempo insomma è una corsa che sembra non dover finire mai anche se siamo sicuri che entrambi (tempo e corsa) arriveranno, infine, al traguardo. Capire che cosa ci sia dentro il tempo è il nostro mestiere di umani. Alcuni l’hanno scoperto grazie alla sublime arte della corsa.
Foto Francesca Mantovani – © Gallimard