La storia di Cipì, il passero coraggioso protagonista di una favola scritta da Mario Lodi e dai suoi bambini della scuola elementare di Vho di Piadena, alla fine degli anni Cinquanta, ha accompagnato generazioni di giovani lettori. A uno dei classici più letti nella storia della letteratura italiana per l’infanzia e alla didattica democratica che ha trasformato dall’interno la scuola italiana Vanessa Roghi dedica il suo libro Il passero coraggioso Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica, edito da Laterza.
«Cipì è molto più di quello che sembra: nella sua genesi c’è la grande trasformazione che la cultura italiana, e la scuola, attraversano fra gli anni Cinquanta e la riforma delle scuole medie del 1962. […] Nel suo successo, seguito all’edizione Einaudi del 1972, l’assunzione, da parte di uno strato largo anche se non ancora maggioritario della società, della necessità di riformare la scuola “guardando fuori dalla finestra”.»
Quella del passero curioso, che fin dal primo giorno di vita vuole scoprire il mondo che lo circonda, scappa dal nido, si perde, e così facendo rischia di morire, è la vicenda di un atto politico che fa da modello, tra gli altri, a don Milani.
Cipì – il “passero eroico”, come lo definisce Gianni Rodari – «prova e sbaglia, sbaglia e prova e, a un certo punto, si scopre una vocazione inaspettata che è quella di aiutare i suoi compagni ad affrontare quanto di brutto incontrano nel corso della loro vita: la fame terribile dell’inverno, le trappole dell’uomo, le astuzie del gatto, gli occhi ingannatori della civetta.»
La sua circolazione è inizialmente legata al gruppo di maestre e maestri a cui, dal 1955, Mario Lodi ha aderito: il Movimento di cooperazione educativa (MCE) che ha portato in Italia le tecniche di Célestin ed Élise Freinet, che si fondano «sul rifiuto della lezione tradizionale e dei suoi supporti, come i manuali di testo, e sulla partecipazione dei bambini e delle bambine all’elaborazione dei materiali su cui studiare, attraverso un costante metodo “della ricerca” che sfocia nell’elaborazione di testi originali, scritti “insieme”, attraverso un processo di scrittura collettiva.»
«Di classe in classe, di scuola in scuola, Cipì giunge, con la mediazione di Gianni Rodari, alla casa editrice Einaudi che lo ristampa nel 1972, sull’onda del grande successo de Il paese sbagliato (1970), e grazie all’editore torinese il “passero eroico”, come lo definisce Rodari, arriva in quasi tutte le scuole d’Italia.»
Il libro non rappresenta la biografia di Mario Lodi ma «usa la storia di un singolo per illuminare un percorso collettivo […]. Questo libro, insomma, vuole ricostruire relazioni, pratiche, discussioni che vedono protagonisti uomini e donne che usciti dalla seconda guerra mondiale si sono posti, nello stesso momento, la stessa domanda, sollecitati dalla Costituzione che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo». Ecco, ricorda Lodi, «noi siamo stati buttati allo sbaraglio quando abbiamo vinto il concorso magistrale. In quelle condizioni, di fronte ad un problema così grande, come potevamo insegnare la libertà noi che non l’avevamo vissuta? Che cosa voleva dire “e ogni altro mezzo”?». Questa è la storia del tentativo di rendere concreto un principio astratto come quello dell’uguaglianza, la storia di chi, dentro le aule scolastiche, ha cercato di rimuovere gli ostacoli, di inventare una pratica trasformando l’ideologia democratica in pratica democratica. […] Scrivere Cipì con i bambini è come mangiare l’idea, fare la rivoluzione.»