«Perché i concetti di “popolo” e “sovranità” fondanti della Costituzione si sono trasformati in concetti denigratori?», si chiede Luciano Canfora. L’autore del pamphlet La democrazia dei signori analizza l’attuale periodo storico, dall’avvento di Draghi al ruolo geopolitico dell’Europa
Carlo Crosato | Left | 10 marzo 2022
«Abbiamo sotto i nostri occhi un fenomeno macroscopico – afferma Luciano Canfora la denigrazione del popolo, un disdegno per di più riservato al popolo da parte della Sinistra – o ci ciò che ne resta –, la quale usa la parola “populismo” come accusa contro i propri avversari, rei di amoreggiare con il popolo». Questo il punto di partenza del suo ultimo libro, pubblicato da Laterza, La democrazia dei signori: un pamphlet puntuto, in cui la più stringente attualità è posta sotto una lente critica spietata. «È evidente che la democrazia che hanno in mente le élite dominanti è una democrazia di persone che si distaccano dal popolo e si considerano superiori a esso».
Non solo “populismo”. Spesso si muove anche l’accusa di sovranismo.
L’ordinamento costituzionale italiano si fonda, fin dal suo primo articolo, sul concetto che la sovranità appartiene al popolo: com’è potuto accadere che i concetti di “popolo” e “sovranità” presenti nell’articolo fondante della Costituzione italiana si siano trasformati in concetti denigratori? Oltre alla separazione fra popolo ed élite, c’è un altro elemento: la ex-Sinistra non ha più alcuna idealità connessa alla sua origine di movimento dei lavoratori. L’ex-Sinistra ha in testa un’unica idea: l’europeismo, ossia la delega di gran parte del potere decisionale a organismi per nulla elettivi e soprattutto separati, lontani e onnipotenti. A partire da tale delega, la sovranità è divenuta un ingombro e chi si richiama a essa è considerato un avversario. La Destra italiana, con le sue idee ripugnanti, ha buon gioco a richiamarsi alla sovranità e a reclamare il tradimento del popolo da parte della ex-Sinistra.
Chiedendo la fiducia al Senato, Draghi ha affermato: «Nelle aree definite dalla debolezza degli Stati nazionali, essi cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa». Questa della sovranità condivisa non è un’espressione ossimorica?
È un gioco di parole che nasconde un’evidenza ormai consolidata: le leve del potere sono altrove; i Parlamenti nazionali contano poco o nulla potendo solo ratificare e non legiferare; i governi legiferano ma, di fatto, sono rinchiusi nella gabbia d’acciaio dei regolamenti europei. Se questo scenario venisse ammesso in maniera esplicita, susciterebbe sconcerto. Con questa espressione fumosa, “sovranità condivisa”, si può far accettare una dura realtà, che probabilmente si sclerotizzerà fino a produrre ordinamenti nuovi, i quali sostituiranno completamente quelli vigenti.
All’origine della democrazia dei signori, lei colloca le pressioni che l’Ue opera sui propri Paesi membri. L’Italia, essendo membro fondatore, non può essere maltrattata come la Grecia: serve un autorevole intervento dall’interno e da molto in alto. Lei cita, come complice dell’istituzione della democrazia dei signori, la presidenza della Repubblica, nei casi Monti e Draghi.
I due presidenti, fra loro molto diversi come storia personale, cultura, provenienza politica, che si sono susseguiti nell’ultimo quindicennio, Napolitano e Mattarella, si sono trovati sotto una forte pressione alla quale hanno prestato assenso. Quando fu cacciato Berlusconi, reso pressoché indifendibile dai suoi errori, l’azione fu viziata dalla nota lettera di Draghi e Trichet. Monti fu nominato senatore a vita e, dopo poche ore, gli fu affidato il compito di comporre un governo. Napolitano ordinò a Bersani, allora segretario del Pd, di sostenere il governo Monti assieme all’avversario Forza Italia. Nacque un governo che, a ben vedere, fu la causa della fioritura del Movimento 5 Stelle, il quale catalizzò lo scontento di tutti coloro che erano rimasti sconcertati da queste manovre di palazzo. Conosciamo la storia successiva: le elezioni del 2018, il risultato apparentemente inconciliabile di tre blocchi che si equivalevano come peso elettorale. Poi i governi Conte e, infine, nel gennaio 2021, l’appello con il quale il presidente Mattarella superava i poteri e lo stile riservati al capo dello Stato. Se si legge l’articolo della Costituzione, che elenca i poteri e le prerogative della presidenza della Repubblica, quello di rivolgere un appello ai partiti perché formino un governo secondo i suoi desiderata non si trova. Giuseppe Conte era riuscito a ottenere un cospicuo aiuto economico dall’Europa, i famosi 209 miliardi di euro. Dall’Europa, però, non ci si fidava di un governo come quello allora vigente: si ritenne doveroso avere come gestore di questi aiuti un uomo di fiducia. L’ex presidente della Bce era l’uomo giusto. Sono cose arcinote: messe tutte in fila, delineano un quadro tutt’altro che rassicurante.
Lei pone la seguente domanda: «Il nostro Paese sta forse ricevendo un trattamento di favore in cambio della promozione di Draghi a presidente del Consiglio?». È così?
È una domanda che contiene in sé la risposta. Mario Monti, nel luglio 2020, scrisse sul Corriere della Sera che i soldi che arrivavano dall’Europa non andavano considerati come un dono. Si doveva passare attraverso una serie di controlli e vagli. È un caso che nel caso del Pnrr di Draghi questi passaggi siano stati fluidificati e le prime quote di aiuti siano già arrivate?
Considerata la debolezza del pensiero di Sinistra che abbiamo detto prima, che ne è dello Stato sociale dentro il Pnrr e cosa ne sarà quando i soldi dell’Europa per l’emergenza sanitaria finiranno? Sono problemi che lei affronta anche in un altro libro, che vorrei segnalare: Europa: gigante incatenato pubblicato da Dedalo.
Lo Stato sociale è un oggetto delicato: nacque in Europa come risposta del mondo occidentale al fenomeno della Rivoluzione comunista, che rappresentava un punto di attrazione molto forte per le masse lavoratrici. Lo Stato sociale era lo strumento per evitare la rivoluzione tout court. Oggi la situazione è cambiata per molte ragioni: i parametri di Maastricht hanno indotto una situazione in cui il precariato è un’alternativa di gran lunga preferibile al padronato. Lo Stato sociale, di fronte al dilagare del precariato, sembra un fossile. Lo Stato sociale, così come lo Statuto dei lavoratori, sono considerati affari d’altri tempi. Il potere contrattuale dei sindacati è ridotto perché non hanno alcuna sponda politica e lo stesso dicastero che si dovrebbe occupare di simili questioni è impotente.
Come si può ristabilire una sana conflittualità sociale, se sul suolo nazionale i partiti si amalgamano in un partito unico, e se sempre di più ci si riferisce a direttive extranazionali impossibili da contestare.
Non è facile rispondere. Io credo che una delle grandi difficoltà delle organizzazioni sindacali sia di avere un interlocutore solo apparente sul territorio nazionale, e un interlocutore vero e decisivo in una dimensione in cui nessuna trattativa è davvero possibile. Dal punto di vista della ripresa di una sana conflittualità sociale, la situazione è fra le peggiori. E credo che questo possa avere conseguenze profonde e di lunga durata: un ribellismo inconsulto, mera manifestazione di disperazione, e cinismo e repressione come risposta. Si dovrebbero mobilitare le energie di un profondo ripensamento degli ordinamenti europei. Lo stesso Draghi più volte ha lasciato intendere che, durando lui al governo, si porrà la condizione di rifondare l’Unione europea. Lo prendo sulla parola: chissà se ne avrà le risorse. D’altra parte il nuovo governo tedesco ha nella sua maggioranza una forza, i liberali, che spingono per proseguire sulla linea del rigore. Nella partita del rinnovamento così aperta le forze sociali organizzate, se ancora ce ne sono, devono far sentire la propria voce.
Le chiedo provocatoriamente: lei auspica un’uscita dell’Italia dell’Europa?
No! Io auspico una trasformazione radicale dell’Unione europea, la quale è nata male, tutta centrata sulla moneta unica e conservando la sudditanza dell’Unione alla Nato e agli Usa. L’Europa ha una forza economica notevolissima e un drammatico nanismo dal punto di vista politico e militare. Questa Unione europea, che unione non è, deve trasformarsi profondamente al proprio interno, magari partendo dall’abolizione dei pesanti debiti dei Paesi membri, come richiesto da David Sassoli. Se l’Unione europea vuole contare, deve divincolarsi da questa sudditanza rispetto agli Stati Uniti, per cui magari un domani ci ritroviamo a far la guerra alla Russia.
Come vede il ruolo dell’Europa nella crisi innescata dall’attacco russo all’Ucraina? Come si sta comportando e come dovrebbe operare, a suo avviso, per sottrarsi alla storica subordinazione rispetto a Usa e Nato?
Nessuno di noi conosce le segrete cose e nessuno può pretendere di fornire ricette definitive. E di tutta evidenza che le sanzioni fanno più male all’Europa che le infligge che non alla Russia, che eventualmente le subisce. Chi rimane totalmente indenne dalle sanzioni sono gli Stati Uniti d’America. L’attualità conferma la diagnosi di sudditanza dell’Europa, priva di una propria linea politica chiara e autonoma. L’Europa: un grande continente pieno di cultura, di risorse, di intelligenza, ma totalmente eteronomo, cioè tutt’altro che autonomo. Difficile rispondere alla domanda su come altrimenti dovrebbe comportarsi: le automobili non si riparano in corsa, ma da ferme; e ora la corsa è frenetica e si assiste solo a un “si salvi chi può”. Per tutelare l’Europa, sarebbe bene che la Germania mettesse in funzione il gasdotto, cosiddetto North Stream 2: un gasdotto che è stato costruito come alternativa a quello che attraversa l’Ucraina e che proprio ora ritroverebbe il proprio senso. Abbiamo voluto badare ai nostri interessi ai danni dell’Ucraina e ora fingiamo di piangerne le sorti e, per di più, blocchiamo quel gasdotto a danno di noi stessi. È una politica delirante.