Il 3 settembre 1982 a Palermo veniva ucciso dalla mafia il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Leggiamo oggi le parole di Vittorio Coco che, nel suo libro Il generale dalla Chiesa, il terrorismo, la mafia, ricostruisce e racconta la vita di uno degli uomini simbolo della nostra Repubblica.
“È proprio sulla lotta alla mafia che si può misurare davvero l’impatto dell’assassinio di dalla Chiesa. Poco dopo il delitto, su un muro di via Carini fu appeso un cartello con una scritta che ebbe una grandissima eco: «Qui è morta la speranza dei palermitani onesti». Era questo il sentire di chi aveva riposto nella venuta di quel prefetto tante aspettative, che adesso erano state vanificate nella maniera più clamorosa. Il punto è che in quel momento la responsabilità di quanto era accaduto non veniva soltanto attribuita agli assassini, ma anche alle istituzioni, cioè ad uno Stato che in definitiva non aveva fatto abbastanza per proteggere colui che veniva ritenuto ormai uno dei suoi servitori più fedeli. Il funerale, che si svolse già il giorno dopo nella chiesa di San Domenico, il pantheon di Palermo, fu il momento in cui questo dissenso si percepì con maggiore chiarezza. Ad esprimerlo, nel corso della celebrazione, fu il cardinale Salvatore Pappalardo, in un celeberrimo passaggio della sua omelia: «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur… mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici! E questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera Palermo nostra!». Ma grande protagonista fu anche la folla all’esterno della chiesa, che si scatenò in una pesantissima contestazione, con insulti e lancio di monetine, nei confronti delle autorità che erano venute a presenziare, da cui si salvò soltanto Pertini. A questo proposito uno degli storici giornalisti dell’«Ora», Mario Farinella, scrisse una pagina che ben descriveva la situazione:
«Mai come in quell’accecante pomeriggio di sabato 4 settembre la compagine politica che regge il governo del Paese è apparsa qui, in tutta la sua estraneità: persino nei gesti impacciati, nei volti rigati di sudore, senza espressione, atoni, smarriti. E si può dire che la loro, concluso il rito funebre, è stata una fuga precipitosa: come cacciati dal tempio dalla severa apostrofe del cardinale, al suono delle monete che qualcuno lasciava cadere al loro passaggio. Come un trafugamento si è svolto anche l’imbarco delle salme sull’aereo militare, impaziente di volare in «cieli più puliti». Fuggire da Palermo, dimenticare Palermo».
Siamo di fronte ad un passaggio cruciale, perché l’esplosione di quel dissenso fu un ingrediente fondamentale della nascita del movimento antimafia per come noi lo intendiamo oggi.”