I due massimi scrittori italiani sono da sempre riconosciuti come oppositori del regime. In realtà, fino al 1938 ebbero rapporti alterni con la dittatura mussoliniana, che vanno da una convita adesione giovanile ai compromessi per conviverci. Un saggio ricostruisce questo legame complesso.
Mauro Querci | Panorama | primo marzo 2023
Vite parallele di fronte a illusioni e disillusioni della Storia. Eugenio Montale e Carlo Emilio Gadda sono i più importanti scrittori in poesia e prosa del Novecento italiano. L’autore degli Ossi di seppia e della Bufera e quello di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, incasellati come intellettuali in netta opposizione al fascismo, hanno avuto con il movimento e con il regime un rapporto ben più complesso, fatto di esaltazioni e allontanamenti, ritorni e compromessi. Lo ricostruisce Pier Giorgio Zunino, già ordinario di Storia contemporanea e studioso di movimenti politici del Novecento, che ha appena pubblicato da Laterza il saggio Gadda, Montale e il fascismo. Un arricchimento critico originale, approfondito e appassionante, per un equilibrato racconto letterario e civile del Paese. Adolf Hitler e Benito Mussolini durante la visita del Führer a Firenze del 1938. Questo episodio ispirò a Montale la drammatica e visionaria poesia La primavera hitleriana.
Dei suoi due personaggi lo studioso interroga gli epistolari arrivati fino a noi e i testi del periodo – le testimonianze più «in presa diretta» e meno filtrate di una biografia – e ne traccia le traiettorie esistenziali che spesso s’intrecciano. Con le posizioni rispetto agli esordi mussoliniani, all’affermazione della dittatura e, via via, al consenso popolare sempre più ampio, alle conquiste coloniali, allo scivolamento verso la Germania, alla follia bellica del Secondo conflitto mondiale.
Ecco, per esempio, che viene ricostruito in modo rigoroso e documentato l’entusiasmo di entrambi gli scrittori ancora ventenni verso le istanze fasciste del Primo dopoguerra.
AI di là del valore letterario del geniale narratore e del futuro Nobel per la poesia, vengono illuminati aspetti importanti delle due personalità: anche í «non addetti agli studi» ne scoprono una dimensione più sfaccettata, estranea alle etichette dove la realtà storica appare monolitica. È l’arrivo di un itinerario che parte, al contrario, da un convinto appoggio a quel movimento che pareva poter rigenerare un’Italia precipitata nella crisi, con 700 mila morti dalla Prima guerra mondiale, e poteva mettere un argine al comunismo bolscevico che nel 1920 agitava le fabbriche.
L’ex tenente in seconda Gadda, che aveva bollato il neutralista Giovanni Giolitti e i suoi trasformismi come «bojaccio», intravede nel Duce e nelle sue parole d’ordine la possibilità di reale cambiamento dopo la «vittoria mutilata» del 1919. E prende la tessera del Partito fascista nel 1921. In Montale c’è un’analoga adesione per le stesse ragioni post-belliche: da Genova, dove il poeta è tornato a vivere dopo aver combattuto in Trentino, sintetizza riguardo alla Marcia su Roma: «Speriamo nel futuro».
«Sia l’uno sia l’altro anche dopo la guerra risentono in un forte spirito nazionalista» riflette con Panorama Zunino. «Sono giovani e convintamente fascisti nei primi anni al potere di Mussolini, aderendo all’idea che grazie a questo cambiamento la disastrata realtà italiana potesse trovare finalmente un equilibrio». Ciò che convince, nel libro dello storico, è la capacità di seguire l’evoluzione dei due scrittori rispetto a un potere che si va strutturando. In quell’ideologia Gadda ritrova la sua fortissima concezione di patria e, con alterne vicende ci si identifica particolarmente, fino al 1928. E riconosce come il fascismo vinca «l’insufficienza etnico-storico-economica dell’ambiente italiano allo sviluppo di certe anime e intelligenze che di troppo lo superano».
Il percorso di Montale dopo il favore verso la «Marcia» è più incerto. Già nel 1923, in una lettera, confida a un amico: «La rivoluzione sono disposta a farla dentro di me tutti i giorni; ma fuori preferisco non bere olio di ricino o buscare legnate». In lui si precisa quella condizione di «outcast», di emarginato, di chi vive più che il disagio storico quello esistenziale, che in quegli anni lo portarono ad avere rapporti contraddittori, altalenanti, di adattamento alla realtà politica. Al riguardo è significativa la sua ricerca di un impiego degli anni Venti. Nel 1925 ha già stampato gli Ossi di seppia con un editore certo non allineato, qual era Piero Gobetti. Inoltre non è iscritto al Partito e ha pure firmato il manifesto di Croce degli intellettuali contro il regime… Eppure, paradossalmente, trova lavoro in un’istituzione culturale pubblica – quindi soggetta alle regole dello «spoils system», si direbbe oggi – come il Gabinetto Vieusseux. Ne diventa direttore nel 1929. E nonostante si proclami un «bigio», il suo valore è riconosciuto e raccomandato dalla famiglia Pavolini, un esponente della quale – Alessandro – diventerà in seguito ministro della Cultura del Duce.
In definitiva, in un’Italia ormai normalizzata, Montale si adatta a trovare un modus vivendi: «Avrò la pagnotta decisamente assicurata per molti anni» comunica. E, quasi mezzo secolo dopo, in un’intervista per il Nobel riconosce: «Certo il fascismo fu una tirannia, ma solo per quelli che si occupavano attivamente di politica, Tutti gli altri hanno vissuto prosperando all’ombra del regime».
Anche Gadda, all’indomani dei suoi pellegrinaggi come ingegnere in Sardegna e Argentina, inizia a vivere quelle che Zunino definisce «dissonanze». Precisa lo studioso: «La svolta delle leggi illiberali del ‘25 e ‘26 avevano consegnato il Paese a una dittatura aperta. Per il suo primo romanzo, La Meccanica, che sorprendentemente ha per protagonista un socialista, rinunciò anche a cercare un editore. E in alcuni suoi scritti privati parlava di “dogma del momento”, arrivando persino a dire che quei tempi erano “profondamente corrotti”».
Torniamo a Montale e al suo ruolo di direttore al Vieusseux. È qui, nell’antica biblioteca fiorentina al Palagio di Parte guelfa dove gli stranieri vengono a procurarsi volumi, nei primi anni Trenta conosce l’americana Irma Brandeis. Il poeta convive da tempo con Drusilla Tanzi, che vari decenni dopo diventerà sua moglie, ma s’innamora della giovane studiosa. Sarà lei la figura centrale nelle grandi raccolte de Le Occasioni e La Bufera: la donna-angelo, la figura salvifica che prende il nome di Clizia. Per lui, come responsabile culturale, il clima si fa pesante. Vagheggia di partire per gli Stati Uniti con la nuova compagna. Si rivolge allora a Giuseppe Prezzolini che, alla Columbia University di New York, dirige la «Casa italiana». Anche in questo caso cerca l’appoggio dì uno scrittore allora strettamente legato al regime (su un suo libro scrive anche una recensione), ma senza esito. Certi amici che lo dovrebbero sostenere non si espongono e il «salto» al di là dell’Atlantico diventa impossibile.
In queste ambigue prese di distanza, costellate di riavvicinamenti per utilità al regime, sia Gadda sia Montale ne appoggiano però un’impresa storica. «Nel 1935-36, tra Somalia ed Etiopia, con 500 mila italiani il fascismo cerca il suo posto al sole» sottolinea Zunino. «Ex combattenti della Grande guerra, entrambi i nostri protagonisti sono a favore della campagna coloniale. In Gadda si riaccende la fiamma nazionalistica e si fa banditore della conquista anche con alcuni scritti. Un punto di vista in contrasto con gli antifascisti che vivevano all’estero e vedono nella sconfitta di questa avventura la fine del fascismo» sottolinea lo storico.
La svolta anti-dittatoriale nei due autori, però, è solo rimandata. Mussolini ha deciso, scegliendo di legare il destino del Paese alla Germania. Si arriva al 1938 e un Montale ormai sull’orlo del licenziamento dal Vieusseux scrive un memoriale che indirizza addirittura al Duce. Se lui l’abbia letto o meno, si ignora. In ogni caso, una raccomandazione così tardiva, unita all’inutile tentativo di iscriversi al partito fascista, non salvano il poeta. E deve lasciare il suo incarico.
È un anno cruciale, questo. La visita del Fuhrer a Firenze, accolto dal dittatore italiano, è un trauma. Quell’episodio si trasforma in visione drammatica nella lirica La primavera hitleriana, in cui Montale evoca un «messo infernale». Il romanziere, da parte sua, vari decenni dopo dedica appunto a Mussolini il sulfureo pamphlet Eros e Priapo. E lo immortala come «Somaro Principe, Giuda imbombettato». La parabola che ha portato i due scrittori lontano dal fascismo è compiuta.
Nella tarda maturità Gadda accennerà a quel lungo e complesso legame come a «una ragazzata». La memoria seleziona e spesso riscrive la propria storia.