Giorgio Ieranò ha letto per tuttolibri Il riposo dell’imperatore di Massimiliano Papini. Qui un estratto.
«I soliti ciccioni grondanti sudore che addentano cosciotti di abbacchio e ingurgitano grappoli d’uva, le solite bocche unte che si baciano lascivamente, staccandosi l’una dall’altra solo per tracannare vino». Così Federico Fellini, mentre lavorava al Satyricon, rievocava gli stereotipi con cui il cinema era solito dipingere i divertimenti dell’antica Roma. Ma, in verità, questi luoghi comuni hanno alle loro spalle una lunga storia. Già gli scrittori antichi narravano con accenti coloriti, per esempio, gli stravizi di Nerone o di Elagabalo.
Ma, stereotipi a parte, come passavano davvero il loro tempo libero gli imperatori romani? Come si configurava il loro otium, cioè tutta quella parte dell’esistenza che era sottratta al negotium, agli impegni politici e militari? […] L’otium dei romani, ricorda Massimiliano Papini, poteva essere litteratum: una sobria e austera pausa di riflessione dedicata alle letture e agli studi. Ma poteva anche essere ignavum o luxuriosum e concretizzarsi in divertimenti più futili e assai meno intellettuali. In entrambi i casi era opportuno staccarsi dalla frenesia della metropoli: rintanarsi nei giardini urbani o prendere la via delle ville extraurbane, in campagna o sul mare (l’otium, inutile precisarlo, era privilegio dei ricchi). Gli imperatori, disponendo in abbondanza di ville e giardini, avevano dunque molti spazi da consacrare al riposo (spazi ai quali Papini, da archeologo qual è, dedica svariate pagine). Ma, al tempo stesso, il loro ufficio rischiava di sottrarli agli ozi così cari agli aristocratici: si narra che Petronio Massimo, effimero signore di Roma per poche settimane nell’anno 455 d. C., fosse scoppiato a piangere, non appena nominato, poiché si rendeva conto che i negotia di un imperatore gli avrebbero tolto tutti gli otia di cui godeva da semplice senatore.
[…] È evidente che non tutti questi racconti saranno veritieri. L’invenzione letteraria o la deformazione diffamatoria animano molte narrazioni. Nerone, senz’altro, si sarà dedicato a divertimenti poco consoni alla dignità imperiale. Ma se suonava la cetra e componeva tragedie (come Augusto, peraltro) non era solo perché era uno stravagante ma perché certi comportamenti erano conformi al suo filellenismo, a sua volta collegato all’idea di un dispotismo svincolato dal vecchio fardello del Senato e ispirato alle monarchie di Alessandro Magno e dei suoi eredi. […] Se di Domiziano si narrava che passasse ore da solo ammazzando mosche, un caso particolare è quello di Adriano. Alla sua figura storica si è sovrapposto ormai il pensoso personaggio inventato da Marguerite Yourcenar. Per cui tendiamo a immaginare che l’otium dell’imperatore fosse tutto dedicato alla composizione di aeree poesie, come Animula vagula blandula. Però, dalle testimonianze antiche, emerge una personalità assai più contraddittoria: quella di un despota capriccioso che, nel tempo libero, preferiva le grazie efebiche del suo Antinoo alla bellezza delle statue nella villa di Tivoli.