Domenico Ribatti | la Repubblica Bari | 2 novembre 2023
Judith Butler è nata nel 1956 a Cleveland, nell’Ohio da una famiglia ebraica russo-ungherese vittima dell’olocausto per parte materna, dopo il dottorato a Yale, perfeziona i propri studi di teoria critica. I suoi interessi spaziano dalla teoria politica di Hannah Arendt a quella di Michel Foucault, dal positivismo giuridico di John Austin all’ermeneutica tedesca. Attualmente insegna presso il Dipartimento di retorica e letterature comparate all’Università di Berkeley. L’Università il 16 ottobre scorso le ha conferito il Dottorato Honoris Causa in “Gender Studies”. Questo Dottorato di interesse nazionale, coordinato dalla professoressa Francesca Romana Recchia Luciani, è al suo primo ciclo ed è stato promosso dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, in convenzione con altre 15 università e con docenti italiane e straniere.
Butler nel corso dei suoi studi si è molto interessata a quelle persone il cui genere o la cui sessualità sono al centro di conflitti di vario tipo, cercando di contribuire a rendere il mondo un luogo in cui si possa vivere più facilmente. In questo contesto si inscrive l’ultimo suo saggio pubblicato recentemente dalla casa editrice Laterza e intitolato Che mondo è mai questo?.
Per portare l’analisi del contenuto del libro su temi a me più vicini, il secondo capitolo si intitola “I poteri della pandemia. Riflessioni sulla vita in lockdown”, ed è dedicato alla esperienza della post-pandemia. La pandemia ha lasciato segni indelebili sulla nostra società. Ricerche sulla salute mentale hanno evidenziato un aumento dei sintomi di depressione, ansia e disagio psicologico. Molti giovani hanno rivisto i propri progetti di vita, alcuni hanno smesso di studiare o hanno perso il lavoro. La pandemia, con l’arresto forzato delle attività in presenza, è stata un’occasione per riflettere sul valore delle istituzioni educative non solo come luoghi di formazione del sapere, ma anche come luoghi di incontro in cui sviluppare relazionalità.
Prima la pandemia, poi la guerra si sono abbattute su di una società che faticosamente stava ricominciando a guardare in avanti dopo la crisi del 2008. Malattia e salute vanno sempre considerati come il risultato di un processo con tre protagonisti: gli individui, l’ambiente naturale (con le cause di malattia in esso presenti) e l’ambiente sociale, che produce altre cause di malattia ma al tempo stesso occasioni per la cura.
Queste considerazioni ci rimandano al terzo capitolo del saggio della Butler, che ha come titolo “L’intreccio come etica e come politica”. Come non ricordare la celebre conferenza di Max Weber del 1919, nella quale definisce l’etica della responsabilità come quella forma di etica che caratterizza la funzione specifica di chi ha un compito politico e deve avere la capacità di decidere tenendo conto delle conseguenze, non necessariamente immediate, che comportano le proprie scelte. L’etica della responsabilità, secondo Weber, si addice specificamente a chi esercita l’attività politica come professione. La politica sembra la grande assente nello scenario della crisi. Una democrazia liberale matura si nutre dell’intreccio tra libertà e responsabilità, tra diritti e doveri, i primi sempre più spesso rivendicati, i secondi troppo trascurati. In una parola, buon governo come capacità di progettare e di fare. Evitando le scorciatoie assistenziali e corporative.