Alfonso Venturini | Archivio Storico Italiano | dicembre 2023
Pier Giorgio Zunino | Gadda, Montale e il fascismo
Il volume ripercorre le vicende biografiche di due fra i maggiori scrittori e poeti del Novecento italiano, i quasi coetanei Carlo Emilio Gadda, nato nel 1893, ed Eugenio Montale di tre anni più giovane, focalizzandosi sul loro rapporto con il fascismo.
Perché Gadda e Montale? I due scrittori praticamente non si sono mai incrociati e rari sono i punti di contatto: la collaborazione con la rivista a «Solaria», la frequentazione e conoscenza da parte di Montale del cugino di Gadda, Piero Gadda Conti, e infine il Gabinetto Vieusseux: entrambi gli scrittori sono stati in predicato di assumere la direzione della prestigiosa istituzione fiorentina. Nel 1929 il dimissionario Bonaventura Tecchi sceglie come suo successore Gadda che, però, rinuncia. Come direttore allora viene scelto Montale, che ricopre l’incarico fino al 1938.
Se, quindi, la scelta di raccontare in parallelo, con una specie di montaggio alternato per utilizzare il linguaggio filmico, Gadda, «il sommo scrittore» per Zunino (p. 187), e Montale è forse dettata all’autore semplicemente da una predilezione letteraria, la diversità caratteriale e le differenti posizioni politiche dei due grandi scrittori fanno sì che le due figure siano quasi complementari e, proprio per ciò, finiscono per essere rappresentative di gran parte della società del tempo. Gadda è uno studente brillante che dopo la laurea in ingegneria coltiva anche, mentre sta già lavorando, l’idea di laurearsi in filosofia e, a tal fine, diviene allievo di Piero Martinetti. Montale, invece, è uno studente svogliato e indolente che a malapena consegue un diploma in materie economiche e che ha il suo primo lavoro a trentatré anni quando diviene direttore del Vieusseux.
Agli opposti caratteri corrispondono anche diverse opinioni politiche. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Gadda è un fiero nazionalista e, quindi, un convinto combattente, mentre Montale va in guerra a malincuore ma, nonostante ciò, fa a pieno il suo dovere di soldato. Gadda aderisce subito al fascismo iscrivendosi nel 1921, Montale, inizialmente tiepido, ne prende le distanze già nel 1923. Nel 1925 il poeta sottoscrive il manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce ma continua sostanzialmente a non interessarsi e a non impegnarsi in politica: lui stesso si definisce «bigio», intendendo con ciò di essere ben distante da qualsiasi parte politica. Montale non si è mai iscritto al PNF ma, come molti italiani, in occasione della guerra d’Etiopia si allinea e approva la politica coloniale del regime apprezzando convintamente la retorica del «posto al sole». Inoltre, nel 1938, nel tentativo di salvaguardare il suo posto di direttore al Gabinetto Vieusseux, chiede la tessera del partito che gli viene rifiutata. Pure Gadda ritorna in piena consonanza con il regime per la politica estera condividendo appieno il sentimento anti-inglese e di rivalsa nel Mediterraneo dopo che, alla fine degli anni Venti, ha vissuto un periodo di disillusione nei confronti del fascismo. Dalla fine degli anni Trenta, la loro visione politica converge: entrambi percepiscono come il regime mussoliniano stia andando verso un sostanziale fallimento ed esprimono, sia pure privatamente, il loro dissenso (p. 374).
Da questo sintetico excursus si evince come le loro posizioni siano rappresentative di quelle assunte nel corso del ventennio da una grande parte della popolazione, offrendo uno spaccato esemplare e composito della società italiana. L’autore ricostruisce le due vite illustri grazie a ricerche d’archivio, uno studio di una imponente bibliografia e di epistolari che ci permettono, ed è un ulteriore merito del volume, di conoscere anche alcune persone a loro vicine, fra le quali spicca per intelligenza, personalità e cultura Marianna, una delle sorelle maggiori di Montale. Proprio per il poeta ligure, molte informazioni sono desunte dalla ricca corrispondenza intercorsa fra lui e la giovane studiosa americana Irma Brandeis, di cui è stato innamorato.
In chiusura, una curiosità suscitata dai passaggi di queste lettere citati nell’opera: dato che Montale scrive in inglese in maniera velata, quasi in codice, per ingannare l’occhiuto controllo poliziesco (un esempio di questo strano linguaggio a p. 329), non si può non chiedersi quanto la giovane studiosa americana riuscisse a comprendere effettivamente di quello che le scriveva il poeta riguardo la situazione italiana.