A. Barbero, Dante

Barbero, Dante
DANTE
Il nuovo libro di Alessandro Barbero

Il genio creatore della Divina Commedia visto per la prima volta come uomo del suo tempo di cui condivide valori e mentalità.

Alessandro Barbero ricostruisce in quest’opera la vita di Dante, ne disegna un ritratto a tutto tondo, avvicinando il lettore alle consuetudini, ai costumi e alla politica di una delle più affascinanti epoche della storia: il Medioevo.

L’11 giugno 1289, due eserciti erano schierati uno di fronte all’altro nella piana di Campaldino, sotto il castello di Poppi: i fiorentini con i loro alleati guelfi, e gli aretini con i loro alleati ghibellini. Quando videro che il nemico li attendeva in lontananza, i capitani fiorentini si riunirono per decidere cosa fare; e cioè, in sostanza: attacchiamo noi, o aspettiamo che attacchino loro? Nel dubbio, decisero di aspettare; a cose fatte, si disse che era stata una decisione ben ponderata, nella convinzione che avrebbe vinto chi teneva duro più a lungo.

Intanto gli uomini aspettavano sotto il sole. I fanti, armati più alla leggera, potevano sedersi, e attingere alla zucca piena di vino che portavano alla cintura. I cavalieri potevano magari smontare, ma non era prudente allontanarsi dai cavalli, e la maggior parte di loro saranno rimasti in sella; non avevano ancora addosso le articolate armature in piastra d’acciaio che i fabbri europei impareranno a produrre solo nel secolo successivo, ma una volta indossata la cotta di maglia di ferro, pesante quindici o venti chili, era impossibile togliersela fino alla fine dello scontro; solo il grande elmo, caldo e soffocante, poteva restare fino all’ultimo momento affidato a un servitore, insieme alla lancia, allo scudo, e per i più ricchi a un cavallo di riserva.

Fra quei cavalieri, e anzi fra i feditori schierati in prima fila, c’era Dante. Questo sta scritto in tutti i manuali di letteratura, ma come facciamo a saperlo? Il primo a raccontarlo è l’umanista Leonardo Bruni, che nel 1436, già anziano, scrisse una Vita di Dante. Il ricordo di Campaldino era ancora vivo, perché quella giornata aveva contribuito in modo decisivo all’egemonia di Firenze in Toscana; e che Dante avesse combattuto lì, per Bruni era qualcosa di più d’un dato biografico. E infatti ci torna con insistenza; non senza un certo disagio, perché Bruni era di Arezzo, e la sconfitta degli aretini un po’ ancora gli bruciava, ma comunque con la convinzione che quella era una pagina importantissima della vita di Dante. La partecipazione alla battaglia serve al Bruni a dimostrare che Dante, nonostante l’enorme impegno negli studi, non viveva fuori dal mondo, anzi era un giovane come tutti gli altri – ed essere giovane significava anche andare in guerra quando la patria lo richiedeva.

A sceglierlo per far parte dei feditori fu molto probabilmente messer Vieri de’ Cerchi, capitano per il sesto di Porta San Piero, vicino di casa degli Alighieri e futuro capo della Parte Bianca. Ma il Bruni, come faceva a saperlo? L’aveva letto, dice, in una lettera di Dante: “questa battaglia racconta Dante in una sua epistola, e dice esservi stato a combattere, e disegna la forma della battaglia”. Quest’ultima annotazione si riferisce a uno schizzo? Qualcuno intende in questo senso, dato che altrove il Bruni assicura che Dante “di sua mano egregiamente disegnava”, e lo stesso Dante nella Vita nuova rievoca un’occasione in cui, dopo la morte di Beatrice, “io, ricordandomi di lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette”, ma è più probabile che si trattasse semplicemente d’un passo in cui Dante descriveva la battaglia. L’epistola noi non l’abbiamo più, ma possiamo certamente credere al Bruni, il quale conosceva diverse lettere autografe di Dante, e ne descrive perfino la calligrafia (“ed era la lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune epistole di sua mano propria scritte”).

I dantisti, ignari di come si combattesse davvero una battaglia medievale, hanno per lo più immaginato che i feditori fossero una specie di cavalleria leggera, incaricata di aprire il combattimento con schermaglie; si tratta di una fantasia del tutto fuorviante. Prima di cominciare una battaglia, i comandanti assegnavano compiti specifici a singoli contingenti di cavalieri, designati sul momento; a Campaldino fu il caso tanto dei 150 feditori mandati in prima linea, quanto di 200 cavalieri, al comando di Corso Donati, incaricati di tenersi in riserva. Questi diversi compiti non implicavano un diverso armamento o una specializzazione qualsiasi: i cavalieri erano armati tutti allo stesso modo. Le norme che regolavano gli obblighi militari dei cittadini fissavano dettagliatamente l’equipaggiamento, uguale per tutti, di cui ciascun cavaliere doveva essere fornito, sotto pena di gravi multe; una differenza di qualità e di prezzo era ammissibile, anzi normale, solo per quanto riguardava il valore del cavallo.

Proprio per questo non appare sostenibile l’ipotesi, avanzata di recente, che Bruni abbia inventato il particolare di Dante impegnato “nella prima schiera”, in quanto il poeta non avrebbe avuto mezzi sufficienti per possedere armi e cavalli adeguati a quella posizione di prestigio. Dante era profondamente interessato e personalmente coinvolto nella cavalleria, intesa come attività militare e sportiva d’élite, e nelle sue opere abbondano le immagini tratte da quel mondo: quando spiega che tutti gli artigiani impegnati in uno stesso ambito devono prendere istruzioni dall’utilizzatore finale, il primo esempio che gli viene in mente è che “al cavaliere dee credere lo spadaio, lo frenaio, lo sellaio, lo scudaio, e tutti quelli mestieri che a l’arte di cavalleria sono ordinati”. Che avesse dei buoni cavalli è più che sicuro, se pensiamo a quel passo del Convivio in cui ripercorre l’evoluzione dei desideri umani, dall’infanzia all’adolescenza, in termini che anche se non fossero direttamente autobiografici, riflettono però l’esperienza della sua generazione e del suo ambiente sociale: “Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo, e poi una donna”.

Dunque Dante combatté davvero a Campaldino, e si portò dietro per tutta la vita il ricordo di quella campagna, che rievoca anche nella Commedia. Ma perché partiamo proprio da quella giornata memorabile?

Alessandro Barbero, Dante


Alessandro Barbero, uno dei più originali storici italiani, è noto al largo pubblico per i suoi libri – saggi e romanzi – e per le sue collaborazioni televisive.