“Le smanie per la villeggiatura”, la nuova rubrica estiva della pagina Facebook Lezioni di Storia Laterza, prosegue con un contributo di Gianluca Falanga.
Domenica dopo domenica, la rubrica accompagnerà i lettori alla scoperta del significato delle ‘vacanze’ e dei viaggi in diverse epoche e contesti storici, dall’antica Roma alla Germania della DDR, dai Greci dell’Odissea al Medioevo, fino all’avvento del turismo di massa, con gli scritti di Simona Colarizi, Alberto Mario Banti, Laura Pepe, Massimiliano Papini, Maria Giuseppina Muzzarelli, Alessandro Marzo Magno e Gianluca Falanga.
> Prossimo appuntamento: domenica 29 agosto,
con Simona Colarizi e 1968. L’ultima estate dell’innocenza.Già online i contributi di Laura Pepe, Massimiliano Papini,
Maria Giuseppina Muzzarelli e Alessandro Marzo Magno.
Cartoline dalla DDR. In vacanza nel socialismo reale
Gianluca Falanga
Uno dei paradossi della DDR era che i suoi cittadini, gli abitanti del Paese del Muro e con i confini più sorvegliati del pianeta, non beneficiavano del sacrosanto diritto umano di andare dove volessero, ma statistiche alla mano, in proporzione al numero degli abitanti, erano il popolo con il tasso di propensione turistica1 più alto del mondo. Ogni anno, solo fra i primi di luglio e la fine di agosto, oltre cinque milioni di tedeschi orientali, circa un terzo della popolazione complessiva, si mettevano in viaggio per le ferie estive. Essendo l’estero, almeno quello “non socialista”, precluso salvo rarissime eccezioni, i tedeschi dell’est andavano ad affollare la costiera baltica, le isole Rügen e Usedom, le località di villeggiatura fra le montagne della Svizzera sassone, sulle alture dell’Harz e nei boschi della Turingia. Per soggiornare in altri Paesi socialisti, tranne Cecoslovacchia e Polonia (fino al 1981), ci voleva il visto e non era sempre facile ottenerlo. Molto ambite erano le spiagge ungheresi sul lago Balaton, la Crimea e la riviera bulgara sul Mar Nero. Le mete più esotiche e distanti, Cuba, Cina e Vietnam, erano raggiungibili solo in comitive organizzate, i posti disponibili erano pochissimi e i costi per una famiglia proibitivi.
Il diritto alle vacanze sancito dalla Costituzione del 1949 (art. 34: «Ogni cittadino della DDR ha diritto al tempo libero e alla rigenerazione dal lavoro») era celebrato dal regime come una delle grandi conquiste del socialismo nella Germania orientale. Ai fatti, l’offerta non riuscì mai a soddisfare la domanda, benché lo Stato si prodigasse nell’accrescere e migliorare le capacità di posti vacanza riservati alle famiglie, anche ricorrendo a misure drastiche come, nel febbraio 1953, l’esproprio di centinaia di pensioni, residence, ville, ristoranti e stabilimenti balneari. Il termine Urlaub (vacanze) non piaceva tanto al regime, che gli preferiva l’espressione Erholungsaufenthalte, “soggiorni rigenerativi”: chi aveva la fortuna di vivere nel “paradiso socialista” era felice a prescindere e, diversamente da chi conduceva una vita alienata nel capitalismo, non aveva ragione di evadere dal quotidiano. Le ferie alla portata di tutti dovevano servire a rigenerare la forza lavoro necessaria alla costruzione della società senza classi e a consolidare il legame dei cittadini con lo Stato. Ma, facendo da principale tour operator per le masse, il Partito-Stato e i suoi apparati disponevano anche di una leva di controllo sul comportamento dei cittadini in ambito extra lavorativo. Poiché era lo Stato a decidere chi poteva andare in ferie e chi no, quando, dove e come andarci, se pernottare in una pensione, in un bungalow oppure in tenda, anche le vacanze erano utilizzate dal regime per disciplinare, premiando gli elementi più produttivi, politicamente allineati e socialmente aderenti alla norma di vita prevista dalla dottrina di Stato.
Nella DDR, come in tutti i Paesi del socialismo reale, l’educazione del cittadino a vivere in collettività e per il benessere della società era uno dei compiti principali dell’autorità politica, che condizionava tutti gli ambiti della vita sociale e individuale, comprese le vacanze. Il privato e qualsiasi forma di individualismo erano giudicati negativamente, considerati potenzialmente eversivi. Svago e divertimento andavano vissuti in una dimensione collettiva. Quindi anche le ferie non erano una questione privata, ma politica e ideologica. A organizzare gli esodi estivi e le settimane bianche invernali era il Servizio Ferie (Feriendienst) del sindacato unitario FDGB, al quale erano iscritti tutti i lavoratori. Quest’ultimo assegnava destinazioni e sistemazioni disponibili tenendo conto dei contingenti riservati alle diverse categorie professionali, di una serie di fattori politico-sociali (precedenza a chi lavorava per il Partito e lo Stato o aveva riconosciuti meriti politici e di impegno sociale ma anche ai metalmeccanici e fra questi ai più produttivi, a chi faceva lavori usuranti o aveva molti figli) nonché indicazioni provenienti dalle Ferienkommissionen delle imprese, che segnalavano i nominativi degli interessati. I lavoratori decorati per speciali meriti di produttività e una condotta morale “socialista” esemplare potevano essere premiati con il lusso di una crociera nel Baltico a bordo delle grandi navi “Fritz Heckert”, e “Völkerfreundschaft” o di una camera d’albergo con pensione completa, servizio spiaggia e ristorante sempre aperto all’Hotel Neptun di Rostock-Warnemünde, uno dei più esclusivi resort della catena di Stato Interhotel, costruiti per accogliere gli ospiti occidentali (e incassare preziosa valuta internazionale), ma che Honecker fece aprire anche a selezionati villeggianti tedesco-orientali.
Le ferie sociali negli impianti sindacali erano apprezzate perché erano quasi gratis, il sindacato e le imprese coprivano i due terzi dell’importo e oltre a vitto e alloggio erano compresi nel pacchetto anche i costi di viaggio e un giornaliero per le piccole spese quotidiane. I pasti erano però a orari prestabiliti, i turni in mensa scaglionati, il programma serale organizzato dal Partito. Nelle colonie estive per bambini e ragazzi si faceva l’alzabandiera ogni mattina come a scuola. A partire dai primi anni sessanta si fece sempre più vivo il bisogno di un’organizzazione autonoma e individuale delle vacanze, il cittadino tedesco-orientale voleva concedersi qualche giorno di ferie dallo Stato onnipresente, sentirsi un individuo prendendosi la libertà di mangiare e dormire quando gli aggradava e trascorrere la giornata senza le incombenze dettate dall’organizzazione collettiva, che quasi tutto condizionava nella DDR. Da qui la passione di massa per il campeggio, ma anche il mercato delle camere subaffittate in nero da privati nelle aree turistiche e la diffusione di spartane dacie prefabbricate in campagna, dov’era possibile trasferirsi nei mesi estivi e che avevano il pregio di risolvere tre problemi: la mancanza di verde nelle città, le limitate opportunità di viaggiare e la cronica carenza di frutta e verdura fresche. Con 3,4 milioni di dacie, la DDR era il Paese europeo con la più alta densità di orti abitabili.
Ma anche queste piccole libertà tollerate dallo Stato erano attentamente sorvegliate e limitate. Le spiagge sul Baltico chiudevano alle otto di sera e le truppe di frontiera montavano la guardia armata per evitare che qualcuno tentasse la fuga per mare verso le isole della Danimarca o le coste della Germania ovest. Hotel e navi da crociera erano zeppe di informatori e personale della Stasi sotto copertura. La polizia segreta controllava anche l’unica agenzia di viaggi di Stato (Reisebüro der DDR) e setacciava i curricula dei cittadini che richiedevano le ferie, per esempio attraverso i responsabili per la disciplina politico-ideologica, i cosiddetti Sicherheitsbeauftragten (incaricati alla sicurezza) presenti in tutte le realtà lavorative, che avevano facoltà di premiare alcuni candidati e porre il veto su altri. Per i viaggi in Ungheria, Romania e Bulgaria, oltre a controllare la concessione dei visti, la Stasi aveva organizzato in collaborazione con gli organi di sicurezza “amici” unità operative in pianta stabile sul posto, incaricate di monitorare i movimenti dei cittadini tedeschi orientali in quei Paesi per sventare tentativi di fuga e registrare eventuali loro contatti indesiderati con cittadini occidentali.
Nell’estate 1989 – l’ultima estate della DDR – decine di migliaia approfittarono delle vacanze estive per andare a rifugiarsi nelle ambasciate della Repubblica federale tedesca a Varsavia, Praga e Budapest o tentarono di attraversare la frontiera ungherese per raggiungere l’Austria e la Jugoslavia. Nell’autunno dello stesso anno le proteste di massa scossero il regime alle fondamenta, fra gli slogan urlati nelle grandi manifestazioni a Lipsia, Dresda e Berlino est ce n’era uno che faceva così: Visafrei bis Hawaii, “senza visto fino alle Hawaii”. La libertà di movimento, il desiderio di conoscere il mondo senza restrizioni e in autonomia dall’assillante e opprimente tutela dello Stato, fu una delle rivendicazioni più urgenti e sentite dalla popolazione tedesco-orientale in quella che è passata alla storia come la Rivoluzione pacifica del 1989/90. Con la caduta del Muro e la fine della Guerra fredda, il mondo si aprì all’improvviso agli ex cittadini della DDR, che oggi ricordano quel periodo con sentimenti contrastanti. Per quattro decenni il regime provò a controllare e dirigere ogni aspetto della vita pubblica e privata di sedici milioni di persone, vacanze comprese. L’idea delle ferie sociali, organizzate dallo Stato e per tutti, a prescindere dalla posizione sociale, aveva la sua forza e le sue nobili ragioni, ma mostrò anche tutti i suoi limiti e fallì infine per il concreto bisogno di libertà individuale manifestato dalle persone.
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1 Il tasso di propensione turistica è uno dei principali indicatori della domanda turistica. Esprime il rapporto tra i viaggi effettuati dagli abitanti di una certa regione o località e il loro numero, moltiplicato per cento.