Pagine che ripercorrono il lavoro di maestro elementare tra il ’51 e il ’62
Vanessa Roghi | il manifesto | 12 gennaio 2022
C’è una scena del film di Vittorio De Sica Miracolo a Milano (1951) nella quale un raggio di sole appare, inatteso, a illuminare la desolata distesa dove vivono i poveri, nella periferia della grande città. A questa visione tutti corrono a scaldarsi, e si accalcano in questo piccolo spazio che si sposta però, perché le nuvole veloci impediscono al sole di dare calore a lungo ai corpi infreddoliti. Piace pensare che Mario Lodi abbia avuto in mente questa sequenza quando, qualche anno dopo, ha iniziato a scrivere il suo diario scolastico C’è speranza se questo accade al Vho – che torna domani in libreria per Laterza, pp. 336, euro 19 – dove possiamo leggere: «Nel nostro cortile c’è pochissimo sole e noi bambini, durante la ricreazione, andiamo là a scaldarci. Oggi alle ore 11,15, cioè quando ce n’è di più, Stefana, Luciano e Claudio l’hanno misurato: la striscia era triangolare, lunga m 9,40 e alta cm 58. Trovate l’area della striscia di sole che abbiamo per scaldarci (Inventato da noi ragazzi)».
Se per Totò di Zavattini la striscia di sole è occasione per immaginare un modo diverso di vivere insieme, per Mario Lodi diventa spunto per trasformare l’esperienza in conoscenza, mettendo in pratica una nuova didattica che Lodi ha conosciuto grazie all’incontro con i maestri e le maestre della Cooperativa della tipografia a scuola (poi Movimento cli cooperazione educativa) che nasce nel 1951. Lodi, questa didattica, la racconta nel suo diario che va dal 1951 al 1962, attraverso episodi minuti, che lasciano sconcertato chi nel lavoro scolastico cerca innanzitutto dichiarazioni di principio e ricette: il suo è il resoconto di un’ordinaria amministrazione che diventa però eccezionale se messa a confronto con la classe accanto alla sua, dove sopravvive la scuola «che si è sempre fatta così».
Un episodio lo racconta bene: accade quando la maestra A. entra nell’aula di Lodi con un foglio che tiene con due dita «come se fosse una cosa schifosa». La maestra spiega che è stata lei stessa a incoraggiare i bambini a fare quello che volevano, a colori o anche con la matita nera. «Ho fatto bene, no? E guarda qui cosa ha fatto». Lodi guarda il disegno: il foglio è riempito da segni decisi che sono il mare, e una barchetta, e un pupazzetto dritto e un pupazzo più grosso e inclinato, dentro il mare con un’altra figura tutta nera e una bella pera. La maestra è sconcertata: «questa barca è la caravella di Colombo (stamattina ho parlato della scoperta dell’America), il pupazzo piccolo è Cristoforo Colombo vivo, quello grosso nel mare è Colombo morto, questa figura nera è il pescecane e questa la pera di cui avete conversato oggi». La maestra si chiede: «È possibile che un bambino intelligente come questo mi metta la pera nella storia di Cristoforo Colombo? Allora son io che ho sbagliato a spiegare».
Lodi prova a condividere con la collega quello che sa sulla psicologia dei bambini e sul disegno infantile. In questo caso il bambino ha insegnato alla maestra, che non intende tenerne conto però, «che vi sono leggi che non si possono eludere, che una pera per lui è cosa ben più importante e concreta di un’immaginaria caravella, che ben più pauroso è il pesce nero dell’incomprensibile immensità dell’oceano; che non si può dirgli: tanti anni fa è avvenuto questo, ora Colombo è morto, quando non ha ancora il senso della stagione». Così facendo Lodi propone una lezione di metodo sulla creatività infantile e allo stesso tempo sulla didattica della storia che deve entrare in classe quando un ragazzo scopre che in qualche modo lo riguarda. Nel suo caso questo accade quando un bambino capisce che a Vho i Longobardi hanno costruito una chiesa e un monastero, un fatto concreto, reale, che spinge a disegnare la mappa del paese e riempirla di storie e di storia.
Questo metodo mette insieme quello degli insegnanti dell’Mce, con quello della co-ricerca che parallelamente Lodi porta avanti secondo la linea proposta da Gianni Bosio. Le pagine dì Lodi, infatti, saranno pubblicate da Bosio nelle Edizioni Avanti! nel 1963. Questa collocazione editoriale è molto importante per capire che cosa il libro rappresenti non solo per la storia della scuola ma anche per la storia culturale italiana nel suo complesso.
Lodi è, senza dubbio, il primo intellettuale italiano a ragionare in senso critico sulla modalità di svolgere un lavoro politico coi bambini facendo con loro esattamente quello che Gianni Bosio propone nell’Introduzione al catalogo delle edizioni Avanti nel 1957: stimolare la produzione libera di testi. L’intellettuale rovescia la sua posizione e si pone in ascolto, non dà la voce, ma la accoglie. Lodi compie il gesto più radicale quando, sollecitato dalla riflessione dell’Mce, applica questo metodo all’infanzia.
Messo in ombra dal grande successo che avrà, dieci anni dopo Il paese sbagliato, C’è speranza se questo accade al Vho rimane, senza dubbio, il libro più bello di Lodi: l’incertezza del giovane maestro, i dubbi, il confronto con i colleghi restituiscono il senso di un progetto pedagogico ancora oggi valido come allora perché parte dal bambino nella sua realtà che cambia per definizione nel tempo e per questo non può mai invecchiare.
Il libro: