Marco Ventura | Corriere della Sera | 11 gennaio 2024
Nella prima intervista mai rilasciata da un Papa, sul «Corriere della Sera» del 3 ottobre 1965, Paolo VI ammette la difficoltà della Chiesa davanti al ricorso in massa dei cattolici agli anticoncezionali. «La Chiesa non ha mai dovuto affrontare, per secoli, cose simili», spiega il Pontefice ad Alberto Cavallari, «si tratta di materia diciamo strana per uomini di Chiesa, anche umanamente imbarazzante». Prosegue Paolo VI: «Le commissioni si riuniscono, crescono le montagne delle relazioni, degli studi. Oh, si studia tanto, sa. Ma poi tocca a me decidere. E nel decidere siamo soli». A distanza di più di mezzo secolo, la solitudine degli uomini di Chiesa sembra cresciuta: alla sfida della libertà sessuale si è infatti aggiunta quella delle violenze, in particolare su donne e minori, commesse talvolta anche da preti e religiosi.
Nel suo libro Atti impuri, la storica Lucetta Scaraffia risponde all’aggravarsi della crisi con una denuncia e con una analisi. La denuncia riguarda l’incapacità della Chiesa di elaborare un pensiero e una azione in favore delle vittime di abusi, in sintonia con il principio per cui è legittimo solo il sesso consenziente e tesi, scrive Scaraffia, ad «emancipare la sessualità dalle forme di dominio e di oppressione».
L’analisi individua la causa di tale incapacità nell’interpretazione del sesto comandamento quale divieto di commettere «atti impuri», secondo una «concezione di sessualità tipica di un gruppo umano che si difende stabilendo le regole di purezza», spiega l’autrice, col risultato di rinchiudere «ogni peccatore dentro sé stesso, nel tentativo di cancellare l’impurità». Si è finito così per colpevolizzare la vittima, in fondo sempre complice, senza lasciar «spazio per il partner sessuale come persona».
Convinta che solo la comprensione della storia possa produrre un vero cambiamento, Lucetta Scaraffia propone a lettrici e lettori un percorso nei secoli lungo le traiettorie seguite dal comandamento sugli atti impuri, «l’unico la cui formulazione è stata cambiata radicalmente nel corso dei secoli». Nel tempo, si argomenta nel volume, il sesto comandamento è stato oggetto di un duplice tradimento interpretativo. Si è da un lato tradita la dimensione comunitaria, sociale, della versione ebraica del divieto, formulato in principio come «non commettere adulterio», in favore di una individualizzazione del peccato di «fornicazione», perfezionatosi con il Concilio di Trento e ancora presente nel catechismo di Pio X del 1908. E stato poi tradito, dall’altro lato, il «nuovo spirito» con cui Gesù vivifica i comandamenti, «fortemente caratterizzato dallo slancio dell’amore verso Dio e verso il prossimo», e teso a cancellare, ancora con Scaraffia, «ogni concetto di impurità legato a circostanze concrete, a esperienze fisiche», così da «rimandarlo alla sfera delle intenzioni».
Non soddisfatta dalle recenti riforme nella teologia e nel diritto della Chiesa, giudicate ancora timide e confuse, l’autrice invita a gestire in modo nuovo il conflitto di potere in corso nella Chiesa sulla sessualità. «Nel decidere siamo soli», diceva Paolo VI al «Corriere» sessanta anni fa, con un plurale maiestatis che univa alla sua personale solitudine quella degli uomini di Chiesa. A quegli uomini soli Lucetta Scaraffia ricorda ora come l’equivoco sugli atti impuri riveli «una concezione della sessualità prettamente maschile» e suggerisce di partire proprio da lì: dal fatto che «nella Chiesa le donne non sono ascoltate».