Vanessa Roghi racconta “Il passero coraggioso”

Generazioni di lettori di tutte le età si sono innamorate della storia di Cipì, il passero coraggioso inventato negli anni Cinquanta da Mario Lodi e i suoi bambini. Pochi però ne conoscono la storia. Nel centenario della nascita di Mario Lodi, ripartiamo da Cipì – con Vanessa Roghi e Il passero coraggioso – per ricostruire la grande avventura della didattica democratica, una pratica che ha cambiato il nostro Paese.

 

 

Il libro:

Il giovane Enrico, il capo e la lotta

Il capo del circolo del Pci ha 22 anni e finisce in cella per 100 giorni per aver partecipato a una tumultuosa protesta contro la penuria di generi alimentari e contro il prefetto fascista

Vindice Lecis | Il Fatto Quotidiano |  15 maggio 2022

Alla domanda “Sappiamo che lei è un tifoso juventino”, Berlinguer secco rispondeva: “No, io tifo la Torres!”. Pur apprezzando moltissimo anche il Cagliari il segretario comunista, anche durante le sue trasferte politiche all’estero, non mancava mai di far telefonare alla sede romana dell’Unità: “Chiedi che cosa ha fatto la Torres” ha ricordato il responsabile Esteri del Pci dell’epoca, Antonio Rubbi.

La Torres è la squadra di calcio di Sassari. Ma Berlinguer restò legato sempre alla sua città natale, incubatrice decisiva della formazione della sua personalità e nella politica. In un’intervista alla Nuova Sardegna del 15 gennaio 1984 al direttore Alberto Statera, a proposito dei moti del pane del gennaio 1944, Berlinguer spiegava che si trattò “di una forte e tumultuosa protesta della parte più povera della città, provocata soprattutto dalla penuria dei generi alimentari di prima necessità ma anche dalla permanenza in molti posti di comando di gerarchi fascisti, nonostante da mesi fosse caduto il regime e la Sardegna fosse stata liberata”. Aggiungeva che “la massa principale era di donne e giovani dei quartieri popolari, che allora erano il centro di Sassari”. A questo proposito ricordava “bene anche la montatura imbastita da molti capi della polizia, che inventando di sana pianta reati gravissimi mai commessi cercarono di scompaginare la forte organizzazione giovanile comunista che si era formata nei mesi precedenti nella nostra città”.

Il sindacalista Nino Manca, in un libro curato da Tore Patatu (edito nel 1993 dalla Libreria Dessì) tratteggiò in modo vivace la poverissima Sassari e quanto accadde nei “moti del pane” all’indomani della caduta del fascismo in una città stretta tra fame e inquietudine. Eravamo, scrive Manca, una “massa di persone in età giovanile, assolutamente inesperta nell’organizzare manifestazioni o dimostrazioni di qualsiasi natura, e ancora più incapace di organizzare e gestire manifestazioni così dure e così aggressive come furono quelle di allora”.

Enrico Berlinguer era il capo del circolo giovanile comunista in via San Sisto, descritto da Giuseppe Fiori nella sua Vita di Berlinguer (Laterza, 1989) come “un budello fradicio con odore di cavoli e lardo aspina sul Corso”. In quella sede la sera del 12 gennaio una ventina di ragazzi dei rioni popolari ascoltano il segretario del circolo. Berlinguer è uno studente di 22 anni, prossimo alla laurea in legge, figlio di Mario, uno dei leader del Partito d’azione e nipote di Enrico, che fu esponente di una famiglia di piccola nobiltà agraria e avvocato repubblicano garibaldino, deputato dell’Unione amendoliana e fondatore della Nuova Sardegna.

Quei giovani comunisti – tra cui Nino Manca, Nino Pinna, Pietro Carta, Giuseppe Cossu, Paolo Achenza e molti altri – discutono della manifestazione dell’indomani 13 gennaio. E si dividono i compiti, compreso quello di mostrare- e sarebbe stata la prima volta dopo il fascismo – un grande drappo rosso confezionato da un certo Ricci abitante in via Alghero. La notte diluvia, ma l’indomani molte centinaia di manifestanti percorrono in corteo la città. Chiedono la distribuzione di pane, pasta e olio. Sassari è stremata, povera, affamata Nel descrivere lo spettacolo di miseria di molte zone, Nino Manca racconta che in vicolo Sant’Elena, la famiglia di Pietro Francesco Conti, ogni notte doveva tirare su con una carrucola il tavolo da pranzo che rimaneva così sospeso per aria durante tutta la notte, muto spettatore della miseria imperante. In quell’unico vano di 25 metri quadrati vi abitavano in dodici: nonna nonno, padre e madre, cinque figlie femmine e tre maschi.

Torniamo al corteo che arriva in piazza d’Italia che invoca tra le urla la rimozione del prefetto considerato fascista. La polizia carica e i manifestanti si dirigono allora verso la sede della Commissione Alleata. Berlinguer li guida. Il corteo si scioglie tra le tensioni.

La sera, durante una riunione urgente nel circolo in via San Sisto 4, i dirigenti del Pci degli “adulti” appena rinato – diretto da uomini che avevano fatto carcere e confino come Andrea Lentini che nel 1920 era stato sindaco di Gonnesa – critica duramente l’avventurismo dei giovani compagni che partecipando a queste manifestazioni, ammoniscono, fanno il gioco dei fascisti, nascosti e sempre presenti.

Ma il giorno dopo le manifestazioni riprendono. Gli scontri più duri, questa volta con l’impegno dell’esercito con cani armati leggeri, mitraglie, fucili, moschetti che occupano tutta l’area del centro da piazza Castello a piazza Municipio fino a porta Sant’Antonio. Il corteo con il drappo rosso con falce e martello, arriva invia Mercato e in via Rosello, segue un’irruzione al mercato del pesce dove il direttore dottor Marras venne colpito con un cestello. “Il poco che trovano – ricostruisce Peppino Fiori – semola, pasta, zucchero e carbone è immediatamente distribuito”. Un primo scontro avviene al corso Vittorio Emanuele con i primi feriti e alcuni arresti. Due giovani sono liberati da tal Mario Usai, che se li fa consegnare senza colpo ferire dai militari, fuggiti a gambe levate.

Durante un’incursione al panificio della ditta Arru-Fadda in via Capo d’oro vengono sottratti cinque quintali di pane. L’assalto si ripete al mulino Farbo-Naseddu e al magazzino Fara. Un concentramento si forma in piazza Santa Caterina dove ci sono gli uffici annonari, spostandosi in piazza Municipale presidiata dall’esercito. I manifestanti ricorda Nino Manca “superando la barriera delle mitragliatrici la occupano, trovandosi a contatto fisico con i soldati che si trovano mescolati con la folla dei dimostranti senza che nulla di grave accada”.

Per i giovani comunisti sarà un duro risveglio il giorno dopo. Criticati dal partito, sconfessati dalla Concentrazione antifascista, sono oggetto anche di una repressione poliziesca. In galera finiscono molti di loro tra i 43 arrestati. Tra questi appunto Enrico Berlinguer portato in manette la mattina del 17 gennaio 1944 nella caserma dedicata al suo antenato Gerolamo Berlinguer che nel 1835 aveva sbaragliato la banda del fuorilegge Battista Canu.

“Comunista convinto, studioso delle teorie leniniste, dopo la caduta del fascio fu uno dei promotore fondatore del Partito comunista a Sassari – scrive in un rapporto il questore Dino Fabris, già funzionario della famigerata e occhiuta Ovra. Nominato segretario della sezione giovanile, si assunse il compito di spiegare le nuove idealità alla massa impartendo periodiche lezioni di comunismo un certo numero di gregari… Fanatico dell’idea, credette giunto il momento di applicare alla pratica le teorie più spinte del partito”.

Berlinguer e i suoi compagni restano in carcere a San Sebastiano cento lunghi giorni. Ne usciranno domenica 23 aprile 1944. Due mesi dopo Berlinguer è già a Salerno col padre Mario dove conosce Palmiro Togliatti, appena rientrato dal lungo esilio e dalla esperienza alla guida del Comintern.

In tanti anni continentali Berlinguer però non smise mai di coltivare i suoi rapporti con la Sardegna e con Sassari. Ritornò più volte per partecipare a iniziative politiche – l’inaugurazione della federazione di via Mazzini nel 1973 e diversi comizi in piazza, l’ultimo nel 1982 – e occasioni private. Come per assistere alla Faradda (la secolare festa dei candelieri) de114 agosto, trascorrere le sue vacanze a Stintino o passeggiare quasi intimidito dalla gente che lo saluta tra piazza d’Italia, via Giorgio Asproni e viale Dante dove in una casa presa in affitto era nato alle 3 del 25 maggio 1922. Così vicina alla chiesa di San Giuseppe che il 30 giugno dell’anno prima aveva visto il padre Mario sposare Mariuccia Loriga, figlia di Giuseppina Satta-Branca. E dove venne battezzato il 9 luglio con il nome di Enrico, come il nonno repubblicano.

 

Cinquant’anni dopo Peteano

‘Il presidente dell’ufficio istruzione mi disse: “Come primo fascicolo prendi questo. Guarda: roba vecchia di dieci anni, la puoi chiudere subito”. Io in realtà ero ancora formalmente uditore e sbirciai la copertina del mio primo fascicolo come aspirante giudice istruttore. C’era scritto “Peteano”.’

Felice Casson, Venezia, aprile 2021; intervista a cura di Ugo Dinello.

Ugo Dinello, La via delle armi

 

 

Una pietra massiccia alta grosso modo un metro, circondata da basse aiuole, riporta questa scritta: «Qui addì 31 maggio 1972 alle ore 23.15 mano omicida in vile attentato spegneva tre giovani vite». Poi i nomi: «brigadiere Antonio Ferraro – carabiniere Donato Poveromo – carabiniere Franco Dongiovanni». E infine: «La cittadinanza di Sagrado ad imperituro ricordo – ottobre 1972». […] Riparti con una strana sensazione: perché davvero non ti capaciti di come qualcuno possa avere pensato e realizzato una strage qui, non in una banca o in una piazza di una città, o su un treno, bensì alla periferia di tutto, di notte in una stradina sterrata nascosta dalla vegetazione, lungo una provinciale che corre tra un fiume e una ferrovia, nell’estremo nord-est d’Italia a una dozzina di chilometri dal confine oggi sloveno e allora jugoslavo. E sarà anche per tutto questo che il sangue di quei tre giovani carabinieri è sempre passato in secondo piano rispetto a quello di tante altre vittime degli anni di piombo. Ma anche perché, di tutte le stragi del terrorismo neofascista, questa è l’unica per la quale esiste un reo confesso: Vincenzo Vinciguerra. […] Sono trascorsi cinquant’anni da quando tutto iniziò, un’ora dopo il termine della finale di Coppa dei Campioni a Rotterdam in cui l’Inter di Invernizzi si arrese all’Ajax e alla doppietta di Johan Cruijff. E sarà pure ormai storia del secolo scorso, ma ancora oggi a ripercorrerla non ci si crede.

Paolo Morando, L’ergastolano

 

 

#CasaLaterza: Mimmo Franzinelli dialoga con Carlo Greppi

In tanti sostengono che il fascismo abbia una data di morte precisa e definitiva. Ma è davvero così?
E allora come spieghiamo le molte continuità tra il regime e la Repubblica? Le bombe, i pellegrinaggi a Predappio e le continue violenze?

Ne abbiamo parlato per Casa Laterza con gli storici Carlo Greppi e Mimmo Franzinelli, autore del libro Il fascismo è finito il 25 aprile del 1945.

 

 

 

 

 

 

La Sinistra e il popolo tradito

«Perché i concetti di “popolo” e “sovranità” fondanti della Costituzione si sono trasformati in concetti denigratori?», si chiede Luciano Canfora. L’autore del pamphlet La democrazia dei signori analizza l’attuale periodo storico, dall’avvento di Draghi al ruolo geopolitico dell’Europa

Carlo Crosato | Left | 10 marzo 2022

«Abbiamo sotto i nostri occhi un fenomeno macroscopico – afferma Luciano Canfora la denigrazione del popolo, un disdegno per di più riservato al popolo da parte della Sinistra – o ci ciò che ne resta –, la quale usa la parola “populismo” come accusa contro i propri avversari, rei di amoreggiare con il popolo». Questo il punto di partenza del suo ultimo libro, pubblicato da Laterza, La democrazia dei signori: un pamphlet puntuto, in cui la più stringente attualità è posta sotto una lente critica spietata. «È evidente che la democrazia che hanno in mente le élite dominanti è una democrazia di persone che si distaccano dal popolo e si considerano superiori a esso».

Non solo “populismo”. Spesso si muove anche l’accusa di sovranismo.

L’ordinamento costituzionale italiano si fonda, fin dal suo primo articolo, sul concetto che la sovranità appartiene al popolo: com’è potuto accadere che i concetti di “popolo” e “sovranità” presenti nell’articolo fondante della Costituzione italiana si siano trasformati in concetti denigratori? Oltre alla separazione fra popolo ed élite, c’è un altro elemento: la ex-Sinistra non ha più alcuna idealità connessa alla sua origine di movimento dei lavoratori. L’ex-Sinistra ha in testa un’unica idea: l’europeismo, ossia la delega di gran parte del potere decisionale a organismi per nulla elettivi e soprattutto separati, lontani e onnipotenti. A partire da tale delega, la sovranità è divenuta un ingombro e chi si richiama a essa è considerato un avversario. La Destra italiana, con le sue idee ripugnanti, ha buon gioco a richiamarsi alla sovranità e a reclamare il tradimento del popolo da parte della ex-Sinistra.

Chiedendo la fiducia al Senato, Draghi ha affermato: «Nelle aree definite dalla debolezza degli Stati nazionali, essi cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa». Questa della sovranità condivisa non è un’espressione ossimorica?

È un gioco di parole che nasconde un’evidenza ormai consolidata: le leve del potere sono altrove; i Parlamenti nazionali contano poco o nulla potendo solo ratificare e non legiferare; i governi legiferano ma, di fatto, sono rinchiusi nella gabbia d’acciaio dei regolamenti europei. Se questo scenario venisse ammesso in maniera esplicita, susciterebbe sconcerto. Con questa espressione fumosa, “sovranità condivisa”, si può far accettare una dura realtà, che probabilmente si sclerotizzerà fino a produrre ordinamenti nuovi, i quali sostituiranno completamente quelli vigenti.

All’origine della democrazia dei signori, lei colloca le pressioni che l’Ue opera sui propri Paesi membri. L’Italia, essendo membro fondatore, non può essere maltrattata come la Grecia: serve un autorevole intervento dall’interno e da molto in alto. Lei cita, come complice dell’istituzione della democrazia dei signori, la presidenza della Repubblica, nei casi Monti e Draghi.

I due presidenti, fra loro molto diversi come storia personale, cultura, provenienza politica, che si sono susseguiti nell’ultimo quindicennio, Napolitano e Mattarella, si sono trovati sotto una forte pressione alla quale hanno prestato assenso. Quando fu cacciato Berlusconi, reso pressoché indifendibile dai suoi errori, l’azione fu viziata dalla nota lettera di Draghi e Trichet. Monti fu nominato senatore a vita e, dopo poche ore, gli fu affidato il compito di comporre un governo. Napolitano ordinò a Bersani, allora segretario del Pd, di sostenere il governo Monti assieme all’avversario Forza Italia. Nacque un governo che, a ben vedere, fu la causa della fioritura del Movimento 5 Stelle, il quale catalizzò lo scontento di tutti coloro che erano rimasti sconcertati da queste manovre di palazzo. Conosciamo la storia successiva: le elezioni del 2018, il risultato apparentemente inconciliabile di tre blocchi che si equivalevano come peso elettorale. Poi i governi Conte e, infine, nel gennaio 2021, l’appello con il quale il presidente Mattarella superava i poteri e lo stile riservati al capo dello Stato. Se si legge l’articolo della Costituzione, che elenca i poteri e le prerogative della presidenza della Repubblica, quello di rivolgere un appello ai partiti perché formino un governo secondo i suoi desiderata non si trova. Giuseppe Conte era riuscito a ottenere un cospicuo aiuto economico dall’Europa, i famosi 209 miliardi di euro. Dall’Europa, però, non ci si fidava di un governo come quello allora vigente: si ritenne doveroso avere come gestore di questi aiuti un uomo di fiducia. L’ex presidente della Bce era l’uomo giusto. Sono cose arcinote: messe tutte in fila, delineano un quadro tutt’altro che rassicurante.

Lei pone la seguente domanda: «Il nostro Paese sta forse ricevendo un trattamento di favore in cambio della promozione di Draghi a presidente del Consiglio?». È così?

È una domanda che contiene in sé la risposta. Mario Monti, nel luglio 2020, scrisse sul Corriere della Sera che i soldi che arrivavano dall’Europa non andavano considerati come un dono. Si doveva passare attraverso una serie di controlli e vagli. È un caso che nel caso del Pnrr di Draghi questi passaggi siano stati fluidificati e le prime quote di aiuti siano già arrivate?

Considerata la debolezza del pensiero di Sinistra che abbiamo detto prima, che ne è dello Stato sociale dentro il Pnrr e cosa ne sarà quando i soldi dell’Europa per l’emergenza sanitaria finiranno? Sono problemi che lei affronta anche in un altro libro, che vorrei segnalare: Europa: gigante incatenato pubblicato da Dedalo.

Lo Stato sociale è un oggetto delicato: nacque in Europa come risposta del mondo occidentale al fenomeno della Rivoluzione comunista, che rappresentava un punto di attrazione molto forte per le masse lavoratrici. Lo Stato sociale era lo strumento per evitare la rivoluzione tout court. Oggi la situazione è cambiata per molte ragioni: i parametri di Maastricht hanno indotto una situazione in cui il precariato è un’alternativa di gran lunga preferibile al padronato. Lo Stato sociale, di fronte al dilagare del precariato, sembra un fossile. Lo Stato sociale, così come lo Statuto dei lavoratori, sono considerati affari d’altri tempi. Il potere contrattuale dei sindacati è ridotto perché non hanno alcuna sponda politica e lo stesso dicastero che si dovrebbe occupare di simili questioni è impotente.

Come si può ristabilire una sana conflittualità sociale, se sul suolo nazionale i partiti si amalgamano in un partito unico, e se sempre di più ci si riferisce a direttive extranazionali impossibili da contestare.

Non è facile rispondere. Io credo che una delle grandi difficoltà delle organizzazioni sindacali sia di avere un interlocutore solo apparente sul territorio nazionale, e un interlocutore vero e decisivo in una dimensione in cui nessuna trattativa è davvero possibile. Dal punto di vista della ripresa di una sana conflittualità sociale, la situazione è fra le peggiori. E credo che questo possa avere conseguenze profonde e di lunga durata: un ribellismo inconsulto, mera manifestazione di disperazione, e cinismo e repressione come risposta. Si dovrebbero mobilitare le energie di un profondo ripensamento degli ordinamenti europei. Lo stesso Draghi più volte ha lasciato intendere che, durando lui al governo, si porrà la condizione di rifondare l’Unione europea. Lo prendo sulla parola: chissà se ne avrà le risorse. D’altra parte il nuovo governo tedesco ha nella sua maggioranza una forza, i liberali, che spingono per proseguire sulla linea del rigore. Nella partita del rinnovamento così aperta le forze sociali organizzate, se ancora ce ne sono, devono far sentire la propria voce.

Le chiedo provocatoriamente: lei auspica un’uscita dell’Italia dell’Europa?

No! Io auspico una trasformazione radicale dell’Unione europea, la quale è nata male, tutta centrata sulla moneta unica e conservando la sudditanza dell’Unione alla Nato e agli Usa. L’Europa ha una forza economica notevolissima e un drammatico nanismo dal punto di vista politico e militare. Questa Unione europea, che unione non è, deve trasformarsi profondamente al proprio interno, magari partendo dall’abolizione dei pesanti debiti dei Paesi membri, come richiesto da David Sassoli. Se l’Unione europea vuole contare, deve divincolarsi da questa sudditanza rispetto agli Stati Uniti, per cui magari un domani ci ritroviamo a far la guerra alla Russia.

Come vede il ruolo dell’Europa nella crisi innescata dall’attacco russo all’Ucraina? Come si sta comportando e come dovrebbe operare, a suo avviso, per sottrarsi alla storica subordinazione rispetto a Usa e Nato?

Nessuno di noi conosce le segrete cose e nessuno può pretendere di fornire ricette definitive. E di tutta evidenza che le sanzioni fanno più male all’Europa che le infligge che non alla Russia, che eventualmente le subisce. Chi rimane totalmente indenne dalle sanzioni sono gli Stati Uniti d’America. L’attualità conferma la diagnosi di sudditanza dell’Europa, priva di una propria linea politica chiara e autonoma. L’Europa: un grande continente pieno di cultura, di risorse, di intelligenza, ma totalmente eteronomo, cioè tutt’altro che autonomo. Difficile rispondere alla domanda su come altrimenti dovrebbe comportarsi: le automobili non si riparano in corsa, ma da ferme; e ora la corsa è frenetica e si assiste solo a un “si salvi chi può”. Per tutelare l’Europa, sarebbe bene che la Germania mettesse in funzione il gasdotto, cosiddetto North Stream 2: un gasdotto che è stato costruito come alternativa a quello che attraversa l’Ucraina e che proprio ora ritroverebbe il proprio senso. Abbiamo voluto badare ai nostri interessi ai danni dell’Ucraina e ora fingiamo di piangerne le sorti e, per di più, blocchiamo quel gasdotto a danno di noi stessi. È una politica delirante.

 

 

#CasaLaterza: Livio Sansone dialoga con Guido Barbujani

Cesare Lombroso è stato senza dubbio uno degli intellettuali italiani che hanno esercitato maggiore influenza sulle politiche sociali in tutto il mondo. A che cosa fu dovuta la fortuna delle sue idee, e che impatto ebbero fuori dai confini italiani?

Livio Sansone ne ha parlato per Casa Laterza a partire dal suo libro La galassia Lombroso, in dialogo con Guido Barbujani, genetista e scrittore.

 

Mystery Train: appuntamento a Roma

Un nuovo appuntamento per una lezione di storia in musica e un viaggio nell’immaginario americano, insieme ad Alessandro Portelli, Gabriele Amalfitano, Margherita Laterza e Matteo Portelli.

Questa volta il nostro Mystery train fa tappa a Roma, al Teatro Vascello, martedì 31 maggio alle 21.00.

Per prenotazioni e informazioni:

promozioneteatrovascello@gmail.com | 06 5881021 – 06 5898031 | www.teatrovascello.it | Acquisto biglietti online

 

Cos’ha significato il treno per un paese come l’America? La modernità è penetrata in un mondo rurale attraverso i binari, cambiando per sempre il paesaggio naturale come quello antropologico. Da oggettivazione del moderno e dell’accelerazione che lo contraddistingueva, la ferrovia è oggi diventata rottame, residuo, reperto di un mondo scomparso. Mystery Train. Un viaggio nell’immaginario americano ripercorre il rapporto dell’America con il treno, tra racconti, poesie e canzoni.

Un’attrice, Margherita Laterza, due musicisti, Matteo Portelli e Gabriele Amalfitano, e un americanista, Alessandro Portelli, mettono in scena questa originale e particolarissima Lezione di Storia, convocando, tra gli altri, Hawthorne e Dickinson, Woody Guthrie e Bruce Springsteen, Elvis Presley e Johnny Cash.

Qui un trailer:

 

 

Francesco Rutelli racconta “Roma, camminando”

Esplorare Roma camminando, per conoscerla sul serio. Scopriremo così la città che non illude, né delude mai. Allora partiamo da dove tutto è cominciato. Dal Tevere. E iniziamo a camminare. Ecco che quegli stessi luoghi che percorriamo distrattamente ci mostreranno un volto diverso e nuovo.

Ad accompagnarci una guida speciale con cui risaliremo 28 secoli attraverso 18 itinerari sorprendenti.

Francesco Rutelli racconta il suo ultimo libro, Roma, camminando.

 

Il libro:

RADAR | Un podcast originale degli Editori Laterza

Viviamo in un’epoca di sovra-informazione, siamo bombardati da continue notifiche, dati, cifre, titoli… quello che sembra mancare è il tempo di rimettere tutti questi elementi in un contesto più generale, ‘unire i puntini’ e provare a capire il prima e il dopo, la dimensione meno istantanea dei grandi temi del nostro tempo: l’informazione, i diritti, il clima, l’economia… Radar vuole essere questo: uno spazio di approfondimento che, captando nell’attualità i segnali più urgenti, va in profondità, rimette ordine e prova a orientarci.
Ogni settimana, in conversazione con un esperto. Radar è un podcast originale degli Editori Laterza, condotto da Giuseppe Laterza e ideato, scritto e prodotto dagli Editori Laterza. Postproduzione e musica originale a cura di Matteo Portelli, con la partecipazione di Piero Lanzellotti.

Radar  è disponibile su:
Spotify | Spreaker | Deezer | Podcast Addict

[Ep.1] L’informazione in tempo di guerra, con Giorgio Zanchini

La guerra fra Russia e Ucraina – come altre guerre in precedenza e come ancora di più ha fatto la pandemia da Covid 19 – ha sbaragliato la gerarchia delle notizie su tutti i media, italiani e non, occupando uno spazio assolutamente preponderante sui notiziari radio e tv, sui feed social, nei talk show televisivi e in tutti gli altri spazi d’informazione. Il rischio è di venire travolti da questa marea di informazioni, spesso scioccanti, magari di assuefarsi o al contrario di decidere di ‘spegnere tutto’. Questa settimana, quindi, ci chiediamo: quale deve essere il ruolo dell’informazione in tempi di guerra?
Ad accompagnarci in questo episodio abbiamo invitato Giorgio Zanchini, giornalista della Rai che ha condotto rubriche radiofoniche e televisive di grande successo come Radio anch’io e Quante storie e che da anni studia il giornalismo. Per la casa editrice Laterza è autore di La cultura orizzontale insieme a Giovanni Solimine (2020) e ha scritto uno dei saggi che compongono Il mondo dopo la fine del mondo (2020).
A questo episodio hanno contribuito Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, e Marina Lalovic, giornalista di Rainews24.

Per garantire l’accessibilità del podcast, seguendo questo link potete trovare la trascrizione integrale dell’episodio.

 

[Ep.2] Il fascino del nazionalismo, con Alberto Mario Banti

La guerra in Ucraina ha riproposto in maniera drammatica la questione nazionale. Putin rivendica l’esistenza di un ‘mondo russo’ – il Russkij Mir che comprende i paesi in cui si parla russo, tra cui l’Ucraina, o almeno la sua parte orientale, mentre l’Ucraina difende la propria autonomia in quanto nazione.

Ma in realtà negli ultimi decenni la nazione come forma politica e ancor prima come costruzione culturale e ideologica è tornata prepotentemente al centro della scena.
Da un lato in tutto il mondo si sono affermati leader che hanno fatto del sentimento nazionale il centro del proprio discorso politico, da Orban a Trump, dall’altro sono cresciuti i movimenti cosiddetti ‘sovranisti’ che contestano la riduzione dell’autonomia nazionale da parte di forme istituzionali ed economiche ‘globali’.
Ma in che cosa consiste esattamente il nazionalismo del XXI secolo? Come funziona il discorso nazionalista e perché continua ad affascinare e riscuotere così tanto successo fino ai nostri giorni?

Ne abbiamo parlato con lo storico Alberto Mario Banti, che insegna Storia Contemporanea all’Università di Pisa, autore di libri importanti sul nazionalismo come La nazione del Risorgimento (Einaudi, 2000) e Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo (Laterza, 2011).

Per garantire l’accessibilità del podcast, seguendo questo link potete trovare la trascrizione integrale dell’episodio.

 

[Ep.3] Lettori e no, con Marino Sinibaldi

I dati del mercato editoriale nei primi quattro mesi del 2022 sono negativi: secondo l’Associazione Italiana Editori, la cosiddetta ‘varia’ – cioè romanzi e saggi venduti nelle librerie fisiche e online – è in flessione del 3,7% a valore e 2,5 % nel numero di copie. Un dato che preoccupa, ma che va letto in controluce con quello con cui si confronta, relativo al primo trimestre dell’anno scorso in cui il mercato aveva registrato una crescita significativa. Dunque un avvio dell’anno difficile che segue però un anno molto positivo, anzi un biennio, quello della pandemia di COVID 19, in cui – a differenza di tutti gli altri settori – il mercato del libro non ha subito flessioni, anzi è cresciuto del 19%.

Una situazione tutta da comprendere, con alcuni dati certi e molte cose ancora da spiegare, soprattutto nel rapporto tra il mercato e la lettura. Che cosa è accaduto a chi legge negli ultimi anni? Le abitudini sono cambiate? L’Italia ha perso o guadagnato nuovi lettori?

Lo abbiamo chiesto a Marino Sinibaldi, presidente del Centro per il libro e la promozione della lettura, già direttore di Rai Radio 3, col quale abbiamo anche parlato di com’è cambiato il nostro rapporto con la lettura e di come il libro sia rimasto un alleato fondamentale per lo sviluppo sociale e civile di un paese e di ciascun individuo.

 

[Ep.4] Globalizzazione addio?, con Innocenzo Cipolletta

Mentre il mondo – almeno quello occidentale – stava faticosamente riemergendo dalla crisi della pandemia, e mentre nel corso del 2022 noi europei pensavamo di riprendere il sentiero della crescita, il 24 febbraio scorso la Russia ha invaso l’Ucraina. Dopo poche settimane è risultato chiaro che non si trattava di una guerra lampo, ma di un conflitto protratto nel tempo, con enormi costi umani e materiali. Costi per l’Ucraina in primo luogo, ma anche per il mondo intero. Stiamo assistendo alla fine della globalizzazione, che prometteva di far cessare le guerre in nome dei vantaggi offerti dalla rete mondiale dei commerci?

A ragionare su questo abbiamo invitato Innocenzo Cipolletta, economista e manager, per molti anni direttore di Confindustria, poi al vertice di aziende importanti tra cui Ferrovie dello Stato e Marzotto, oggi presidente di FeBAF e di AIFI, oltre che di Confindustria Cultura Italia. Tra i libri pubblicati con Laterza, Banchieri, politici e militari. Passato e futuro delle crisi globali (2014) e In Italia paghiamo troppe tasse. Falso! (2014). L’ultimo, nel 2021, è La nuova normalità. Istruzioni per un futuro migliore.

 

 

[Ep.5] Energia, fra guerra e cooperazione, con Valeria Termini

Quando il 24 febbraio le truppe russe hanno invaso l’Ucraina, il tema dell’energia è entrato nelle notizie e nelle vite di tutti e ha colto molti di noi impreparati. La dipendenza dell’Europa e in particolare modo dell’Italia dal gas russo ha risvolti economici e politici, ci mette di fronte a delle scelte, spesso a degli ostacoli, e richiede di fare chiarezza sulla situazione in cui ci troviamo.

Questa settimana, ad accompagnarci in questo tentativo di orientamento abbiamo Valeria Termini, professore ordinario di Economia politica all’Università Roma Tre, già commissario dell’Autorità per l’Energia e vicepresidente del Consiglio dei Regolatori Europei dell’Energia (CEER), insignita negli Stati Uniti dell’International Public Administration Award.
È autrice per gli Editori Laterza di Energia. La grande trasformazione, pubblicato nel 2020.

A questo episodio ha collaborato Stella Levantesi, giornalista e autrice per Laterza de I bugiardi del clima.

 

[Ep.6] Se mi offendi ti cancello, con Alessandro Portelli

Da qualche tempo anche in Italia si parla di cancel culture, un fenomeno che da molti anni caratterizza la scena culturale americana.
Sulla definizione di questa espressione c’è molto dibattito, ma oggi si intende comunemente l’idea che vadano esclusi dall’arena pubblica personaggi che si esprimono offendendo la sensibilità di minoranze. Questo fenomeno colpisce opere del passato, come monumenti, ma anche film e libri, che secondo alcuni andrebbero cancellati o ridimensionati quando contengono messaggi razzisti, o se in generale esprimono contenuti e simboli violenti e discriminatori.

Ne abbiamo parlato con Alessandro Portelli, uno dei maggiori storici della cultura americana: con Donzelli ha pubblicato due libri dedicati a Bruce Springsteen e Bob Dylan. Con Laterza ha realizzato un podcast e uno spettacolo intitolati Mystery Train, dedicati al mito del treno nella cultura americana. Alle questioni di cui parleremo oggi ha dedicato una sezione del libro Il ginocchio sul collo. L’America, il razzismo, la violenza tra presente, storia e immaginari.

Interviene anche la giornalista del Corriere della Sera Costanza Rizzacasa d’Orsogna, autrice per Laterza di Scorrettissimi. La cancel culture nella cultura americana.