Pandemia. Lezioni dal Medioevo

Nel Trecento il mondo venne devastato da inondazioni, pestilenze, carestie. Ma le tre grandi civiltà del tempo costruirono dei “paesaggi adattativi”. E riscrissero il futuro

Emanuele Coen | L’Espresso | 9 gennaio 2022

Per quanto terribile, la pandemia di Covid-19 è solo una delle crisi che ha conosciuto l’umanità nel corso dei secoli. Nel 1300, ad esempio, sul finire del nostro Medioevo, il mondo viene attraversato da una serie di eventi naturali drammatici e devastanti: pestilenze, inondazioni, carestie. Da un capo all’altro dell’Eurasia si avvertono le conseguenze di un improvviso mutamento delle temperature e l’inizio di quella che viene chiamata “piccola glaciazione”. Eppure le tre grandi civiltà del tempo, quella europea, quella islamica e quella cinese, seppero costruire veri e propri “paesaggi adattativi” per affrontare le sfide e gettare le basi per il futuro. Amedeo Feniello, docente di Storia medievale presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila, ricostruisce il secolo della dinastia Ming e della peste nera nel suo libro “Demoni, venti e draghi” (Editori Laterza).

Professor Feniello, in cosa consistono i “paesaggi adattativi”?

«L’idea nasce negli anni Trenta dei secolo scorso. Il primo ad usarla è stato il genetista Sewall Wright, seguito da molti altri che l’hanno trasformata in una metafora globale dell’evoluzione, con l’idea dell’esistenza, in natura, di infiniti paesaggi ecologici, differenti ma interrelati tra loro, ognuno con le proprie asperità e i propri picchi, che tuttavia si adeguano e rispondono in modo sempre diverso all’ambiente circostante. Tante nicchie, come tante sono le nicchie sociali umane che, come vediamo oggi, seguono percorsi autonomi per rispondere alla pandemia».

Quali sono le differenze sostanziali tra le crisi del Trecento nel mondo islamico, in Cina e in Europa?

«Il mondo era molto più slabbrato di quanto lo sia oggi. Le distanze erano pressoché incolmabili per i mezzi dell’epoca. Ad esempio, in Cina prevalse prima un sistema assistenziale di massa che, sotto la dinastia mongola degli Yuan, fu, a causa del continuo esborso di carta moneta per garantire soccorso, una delle molle che fece completamente saltare il banco, innescando una spirale inflattiva cui non si riuscì a porre rimedio. Politica su cui prevalse, dopo la dura e terribile fase di instaurazione del nuovo governo Ming alla metà del Trecento, una sorta di new deal, con la realizzazione di enormi opere pubbliche, come il Gran Canale o la Grande Muraglia. Diversa fu invece la situazione europea, dove i grandi shock ambientali ed epidemici accelerarono molti dei processi in corso, trasformando l’Occidente cristiano in un grande laboratorio di innovazione politica, finanziaria, sociale. Frutto di quell’epoca sono l’invenzione della holding e la nuova impalcatura degli Stati nazionali».

E nel mondo musulmano?

«La più straordinaria rivoluzione riguardò l’attuale Indonesia, che nel giro di un secolo si trasformò in un universo islamico. Un’ondata di conversioni non dovuta all’esercizio della violenza, ma pacifica, importata da frotte di mercanti che attraversavano l’ampio spazio tra Oceano Indiano e mar della Cina. Una trasformazione religiosa figlia dei tempi, forse perché la spinta messianica insita nell’Islamismo ben si addiceva a un’epoca turbolenta e difficile come quella del Trecento. Ma, senza dubbio, una trasformazione trasportata dai monsoni, i venti dell’espansione commerciale dei mercanti islamici».

La storia non è maestra di niente, scrive lei, perché se insegnasse davvero vivremmo nel migliore dei mondi possibili. È così pessimista?

«No, non sono pessimista. Sono realista. Ma, leggendo la storia, mi resta una percezione chiara: che ogni crisi è strumento, allo stesso tempo, di vita e di morte. Ricorda le “distruzioni creatrici” di Schumpeter? Ecco, quella è una formula che mi convince. Prendo un esempio legato all’attualità: il mondo dopo il Covid-19 non è più quello di appena due anni fa, del febbraio 2020. I cadaveri lasciati dalla pandemia, non solo quelli concreti, reali, ma parlo di quelli metaforici, sono una miriade».

Come sostiene lo storico Carlo Maria Cipolla, che lei cita nel libro, «ai primi del Trecento il solo modo di essere ottimisti era quello di credere che nel futuro le cose sarebbero continuate ad andare come erano andate nel passato, il che nella storia non è mai vero». È una considerazione valida anche oggi?

«Non ho scelto a caso questa frase di uno storico straordinario come Carlo Maria Cipolla che aveva spesso una lente peculiare per leggere l’evoluzione dello spazio economico europeo. Quello che pensavano quegli uomini del Trecento non mi meraviglia: anche noi abbiamo la percezione che il mondo in cui viviamo sia non solo l’unico possibile ma, al contempo, immuta- bile. Pure per noi, all’inizio di questo millennio, sembrava che tutto fosse regolare, preciso, scandito a lettere di fuoco nell’evoluzione perfetta della “fine della Storia”. Mai parole furono più inette e inutili. La “fine della Storia” è stato un fraintendimento durato un attimo, trascinato via dalla crisi del 2008 e poi dal primo contagio Covid-19 nella città di Wuhan».

Nel caso della Cina, le strategie messe in atto nel Trecento dalla dinastia Yuan si rivelarono disastrose, mentre la dinastia successiva, i Ming, misero a segno opere di rilevanza fondamentale per i secoli successivi. Come avvenne il cambio di passo?

«Avvenne con una violenta e profonda rivoluzione, anche se quello di “rivoluzione” per i cinesi è un termine improprio: essi preferiscono quello di “geming” che non significa rivolta ma “revocare il mandato”, ossia sostituire una dinastia immeritevole del mandato del Cielo con una migliore. Ciò non toglie che, nel corso del Trecento, ciò avvenisse con una serie turbinosa di guerre dove diversi signori della guerra e il movimento dei cosiddetti Turbanti rossi e il potere Yuan si contendessero il potere e provocassero morte e distruzione. Quando vince e si consolida, la nuova dinastia Ming riesce a ristabilire l’ordine dal caos, con una serie di opere che intervengono dal basso, a partire dai villaggi rurali: un modello che non lasciò indifferente anche Maso Zedong».

L’emergenza ambientale, tra le priorità della nostra epoca, è stata cruciale anche in altre fasi storiche. Ad esempio in Egitto, dove il sistema si basava sull’unica risorsa delle piene del Nilo, quando arrivò la crisi demografica saltò l’intero sistema. Come si riorganizzò l’economia egiziana?

«Non si riorganizzò e l’Egitto entrò in una crisi irreversibile dopo essere stato per secoli uno dei bacini industriali e produttivi del Mediterraneo e del mondo islamico. Si interruppe il sistema di gestione delle piene del Nilo, indispensabili per la produzione agricola e per la distribuzione delle risorse nelle varie parti del Paese. Quando la peste nera fece irruzione nel paesaggio egiziano e trascinò con sé centinaia di migliaia di persone, venne a mancare la massa di manovra che doveva sovrintendere alle strutture del Nilo. Ebbero luogo impaludamenti, ingolfamenti, innalzamenti e abbassamenti inaspettati. Un disastro».

Il Trecento, dunque, è anche il secolo della peste nera. Dalla Cina fino all’Europa si diffonde un’epidemia che sembra annunciare l’apocalisse, accompagnata da furiose inondazioni e giganteschi sciami di cavallette. Come ne uscì l’umanità?

«La peste nera fu uno shock epidemico di una natura non comparabile con quanto stiamo vivendo oggi. Le proporzioni furono terribili, con un tributo di vite umane pari a un terzo dell’intera popolazione euroasiatica. Inoltre, la peste nera non fu che l’inizio e tornò in forme altrettanto virulente nei secoli a venire: basti pensare alla peste del Seicento raccontata nei “Promessi sposi”. II mondo non poteva essere più quello di prima e uscì dall’epidemia boccheggiante. Tuttavia, il nuovo avanzò. L’Europa, ad esempio, cominciò a liberarsi di alcuni fardelli culturali, si riscoprì il latino classico, la filologia la fece da padrona. Soprattutto si avvertì il fastidio verso l’epoca passata che esprimeva valori in cui il mondo dono I peste non si riconosceva più e nacque un’idea nuova di Medioevo: una lunga stagione compressa tra due splendori, quello dell’epoca classica greco-romana e quella rinnovata degli umanisti tre-quattrocenteschi. Risposte e accelerazioni che furono anche figlie della crisi ambientale e pandemica».

Il libro:

Vaccini covid-19: proposta di un fondo di solidarietà fra UE ed Africa

Pubblichiamo questo appello scritto da Massimo Florio e Giuseppe Remuzzi e promosso congiuntamente dal Corriere della Sera e dagli Editori Laterza.

Questo il link per partecipare e firmare.

[english version below]

PROPOSTA DI UN FONDO DI SOLIDARIETÀ FRA UNIONE EUROPEA ED AFRICA PER UN PROGRAMMA URGENTE SUI VACCINI COVID-19

7 Febbraio 2022

Massimo Florio * e Giuseppe Remuzzi **

  • I dati relativi alla somministrazione di vaccini contro il virus Sars Cov-2 nei paesi a basso reddito (definizione Banca Mondiale) sono allarmanti: solo il 10% della popolazione ha ricevuto almeno una dose.
    In Africa su 1,37 miliardi di abitanti in 55 stati dell’Unione Africana, comprendenti anche vari paesi a reddito intermedio, quasi il 90% della popolazione non è completamente vaccinato, e in paesi come il Burkina Faso, il Burundi, il Camerun, il Chad, l’Etiopia, il Madagascar, il Malawi, il Mali, il Niger, la Nigeria, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia, il Sud Sudan e la Tanzania le dosi somministrate sono meno di 10 per 100 abitanti ed in alcuni di questi paesi non arrivano neppure a 5 ogni 100 abitanti.
  • I dati sulla diffusione della pandemia in Africa sono incerti e quelli disponibili ad oggi (circa 11 milioni di casi e oltre 241mila decessi (dati Africa CDC) potrebbero essere sottostimati per mancanza in molti paesi di sistematicità delle diagnosi, tracciamento dei contagi, sequenziamento delle varianti. Non si può escludere che una bomba ad orologeria pandemica possa esplodere dalle coste del Mediterraneo fino all’Africa Australe, per quanto l’età media giovane possa essere un fattore protettivo dalla malattia grave.
  • Come dimostra il caso Omicron, il virus Sars Cov-2 nel replicarsi su larga scala in popolazioni non vaccinate crea mutazioni potenzialmente in grado di parzialmente evadere le difese immunitarie anche delle popolazioni vaccinate. Per contiguità geografica e legami storici, l’Unione Europea contribuendo alla vaccinazione dell’intera popolazione dell’Africa, non solo dimostrerebbe una concreta solidarietà, ma metterebbe maggiormente in sicurezza anche la popolazione degli Stati Membri.
  • Gli strumenti di solidarietà in essere, quali il meccanismo COVAX ed accordi bilaterali fra singoli paesi, non stanno funzionando in misura adeguata. A dispetto dei grandi annunci, le dosi somministrate nel 2021 nei paesi che ne hanno più bisogno sono state molto limitate. Proponiamo che il Governo Italiano insieme ad altri governi degli Stati Membri della UE chieda urgentemente al Consiglio dell’Unione Europea tramite la Presidenza di turno della Francia (semestre 1 Gennaio-30 Giugno 2022) di mettere in agenda un piano straordinario di solidarietà Europa-Africa per la campagna vaccinale, creando un fondo dedicato, per un importo pari a circa 8 Euro per ogni cittadino africano, per un totale di 10 miliardi di Euro.
  • Tale fondo dovrebbe finanziare direttamente i piani vaccinali dei paesi dell’Africa su tre assi:
  1. Disponibilità di vaccini: il quadro sta velocemente cambiando, rispetto allo scorso anno. A titolo di esempio si segnala l’importanza dell’iniziativa di vaccino open source Corbevax sviluppato da Peter Hotez, Maria Elena Bottazzi ed altri scienziati del Baylor College of Medicine (Texas). Questo vaccino, per il quale i ricercatori hanno rinunciato a depositare brevetti, è approvato in emergenza in India (dove la produzione è già iniziata) ed altrove. Ne è quindi possibile la produzione ovunque vi siano capacità e infrastrutture adeguate. Qualora questa strada non si rivelasse percorribile fino in fondo in tempi brevi (o si scelga di non essere vincolati a una sola opzione) si dovrebbe pensare comunque all’acquisto di almeno due miliardi di dosi di vaccini a prezzi accessibili. I contratti dovrebbero privilegiare in tutto o in parte vaccini adatti ad essere prodotti in paesi emergenti, in collaborazione con imprese farmaceutiche che si impegnino al completo trasferimento tecnologico e/o ad investimenti diretti in Africa, dove già esiste una potenziale base produttiva sia per vaccini a mRNA che di altro tipo (eventualmente con licenze di produzione o con la temporanea sospensione dei brevetti).
  2. Contributo alla logistica di stoccaggio locale e distribuzione capillare dei vaccini, finanziando sia le organizzazioni già presenti sul territorio sia eventualmente inviando un contingente di personale volontario sotto l’egida dell’Unione Europea (laddove le risorse locali non possano essere reperite e formate in tempi brevi) e dotando tutto il personale sia dei dispositivi di protezione individuale, sia dei mezzi di trasporto e di supporto all’attività vaccinale.
  3. Finanziamento di un’ampia campagna di informazione della popolazione, con il coinvolgimento delle comunità locali e di esperti di comunicazione sanitaria nei singoli paesi, che conoscendo a fondo i contesti possano aiutare le autorità sanitarie a realizzare il piano vaccinale.
  • Il Fondo Europeo di Solidarietà con l’Africa che proponiamo non dovrebbe sostituirsi alla partecipazione della Unione Europea e dei singoli paesi ad altri meccanismi solidali, dovrebbe essere addizionale, gestito direttamente dalla Commissione Europea insieme ai singoli paesi africani, in consultazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità ed altri soggetti.
  • Più a lungo termine, il Parlamento Europeo (Science and Technology Options Assessment STOA Panel), ha promosso recentemente uno studio che propone una infrastruttura pubblica sovranazionale di iniziativa della Unione Europea per la ricerca e sviluppo di vaccini e farmaci, pensando alle prossime pandemie e ad altri rischi sanitari. Proponiamo che tale progetto, di cui auspichiamo l’adozione, rivolga una particolare attenzione alla collaborazione con i ricercatori del continente africano e a meccanismi che affrontino il prezzo proibitivo dei farmaci, particolarmente quelli per le malattie rare, che arrivano a costare anche 400 mila dollari per paziente per un anno di trattamento.

 

*Professore ordinario di scienza delle finanze, Università degli studi di Milano. Per Laterza ha scritto La privatizzazione della conoscenza.

**Direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e professore di nefrologia per “chiara fama”, Università degli studi di Milano. Per Laterza ha scritto La salute (non) è in vendita.

 

Tra i primi firmatari: 

Andrea Boitani, economista, Università Cattolica
Innocenzo Cipolletta, economista
Silvio Garattini, Presidente Istituto ‘Mario Negri’
Donato Greco, infettivologo
Lucio Luzzatto, ematologo
Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica
Roberto Saviano, giornalista e autore
Gianluca Vago, patologo, già Rettore dell’Università di Milano

 

Fonti*:

 

*Per le fonti online l’accesso è del 7 Febbraio 2022

 

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PROPOSAL FOR A SOLIDARITY FUND BETWEEN THE EUROPEAN UNION AND AFRICA FOR AN URGENT COVID-19 VACCINE PROGRAMME

7 February 2022

Massimo Florio* and Giuseppe Remuzzi**

  • The data concerning the administration of vaccines against SARS-CoV-2 virus in low-income countries (World Bank definition) are alarming: only 10% of the population has received at least one dose. Of the 1.37 billion inhabitants of the 55 African Union countries, which also include some middle-income countries, almost 90% have yet to be fully vaccinated. In countries like Burkina Faso, Burundi, Cameroon, Chad, Ethiopia, Madagascar, Malawi, Mali, Niger, Nigeria, Democratic Republic of Congo, Somalia, South Sudan and Tanzania, fewer than 10 doses per 100 inhabitants have been administered. In some of these countries the rate is lower than 5 doses per 100 inhabitants (Our World in Data, Oxford).
  • The data on the spread of the pandemic in Africa are unclear and the figures available so far (roughly 11 million cases and over 241,000 deaths, Africa CDC data) may underestimate the true figure due to a lack of systematic diagnosis, infection tracing and variant sequencing in many We cannot rule out the possibility that a pandemic time-bomb could explode from the Mediterranean coast down to Southern Africa, although the low average age of the population may be a protective factor against serious disease.
  • As the Omicron variant case shows, when it replicates on a large scale among non-vaccinated populations, the SARS-CoV-2 virus creates mutations that are potentially capable of partially evading immunity, even in the vaccinated population. Given its geographical proximity and historical ties, the European Union could demonstrate concrete solidarity and offer the population of its own Member States greater protection by contributing to the vaccination of the entire African population.
  • Existing solidarity tools, such as the COVAX mechanism and bilateral agreements between countries, are not working well enough. In spite of momentous announcements, in 2021 the number of doses administered in the countries that needed them the most was very We propose that national governments urgently ask the Council of the European Union through the rotating presidency of France (1 January to 30 June 2022 semester) to include an extraordinary Europe-Africa solidarity plan for a vaccination campaign in its agenda. The plan would involve creating a dedicated fund, amounting to about €8 per African citizen, for a total of €10 billion.
  • This fund should directly finance African countries’ own vaccination plans through three axes:
    1. Vaccine availability: the range of vaccines available on a global scale is evolving rapidly. A good example is the Corbevax open-source vaccine initiative developed by Peter Hotez, Maria Elena Bottazzi and other scientists from Baylor College of Medicine (Texas) who waived any intellectual property rights. This vaccine has been emergency-approved in India (and elsewhere) where production has already started. It is, therefore, possible to manufacture it wherever capacity and infrastructures Should this option prove not to be available in the short term (or if there is a preference not to be bound to a single option), African countries should be allowed to purchase at least two billion doses of vaccines at affordable prices. The contracts with suppliers should favour, completely or at least in part, vaccines that are suitable for manufacture in emerging countries. Priority should be given to pharmaceutical companies that are committed to completing technology transfers and/or direct investments in Africa where a potential production base already exists for both mRNA and other types of vaccines (possibly with production licenses or with the temporary suspension of patents).
    2. Local storage logistics and widespread distribution of the vaccines: the organisations already on the ground should receive funding and a contingent of volunteers could be dispatched, under the aegis of the European Union (where local resources cannot be found and trained fast enough). All personnel must be equipped with personal protective equipment and means of transport and support for vaccination
    3. Extensive information campaign for the population: this should be financed with the involvement of local communities and health communication experts in individual countries who, with their in-depth knowledge of the contexts, can help local health authorities to implement the vaccination
  • The European Solidarity Fund for Africa that we propose should not replace the European Union’s and individual countries’ participation in other solidarity mechanisms. It should be an additional measure, managed directly by the European Commission with individual African countries, in consultation with the World Health Organization, the African Union and other international
  • For the longer term, the European Parliament (Science and Technology Options Assessment STOA – Panel) recently launched a study proposing a supranational public infrastructure as a European Union initiative for research into and the development of vaccines and drugs, to plan for future pandemics and other health We suggest that this project, which we hope will be adopted, should focus particularly on collaboration with researchers from the African continent and on mechanisms that address the prohibitive cost of drugs, particularly for treating rare diseases, which can cost as much as US$ 400,000 per patient per year.

 

*Professor of Public Economics, Jean Monnet Centre of Excellence, University of Milan

**Director, “Mario Negri” Institute for Pharmacological Research and Professor of Nephrology, University of Milan

 

Sources:***

 

*** Online sources were accessed on 7 February 2022

Valentine Lomellini racconta “Il «lodo Moro»”

Dalla ‘prigione del popolo’ dove era stato rinchiuso dalle Brigate rosse nel 1978, Aldo Moro chiedeva di trattare per la sua liberazione, svelando che questa era una prassi abituale per i terroristi palestinesi arrestati in Italia. Da allora, per «lodo Moro» si intende l’accordo che consentiva ai palestinesi di utilizzare il territorio italiano come base per armi e guerriglieri in cambio della garanzia di preservare la penisola dagli attentati.

Ma davvero il «lodo» fu riferibile solo alla figura di Moro? E quale sicurezza garantiva? Quella legata all’incolumità dei cittadini dagli attentati o quella dello Stato, assicurando approvvigionamenti energetici in tempo di shock petrolifero e stabilità sul fronte sud del Mediterraneo?

La classe dirigente italiana si trovò a fare i conti con questo dilemma in una delle fasi più difficili della storia repubblicana.

Valentine Lomellini racconta Il «lodo Moro». Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986.

 

Il libro:

Versus. La Storia a duello

Luciano Canfora ed Eva Cantarella a duello per Versus, la nuova rubrica in diretta sulla pagina Facebook delle Lezioni di Storia Laterza.

Appuntamento mercoledì 9 febbraio alle 19

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La Storia è costellata non solo di battaglie, ma anche di scontri ideologici: nasce la nuova rubrica Laterza Versus. La Storia a duello, condotta da Alessia Amante. Ricalcando il costume degli agoni classici, due storici si scontreranno nel difendere la propria causa o il loro personaggio. E, come nella corte di un’antica democrazia, sarà il pubblico a decidere volta per volta il vincitore. Ecco a voi il Tribunale della Storia… almeno quello social.

Primo appuntamento mercoledì 9 febbraio:

la sfida coinvolgerà le due poleis greche, in una disputa fatta di stoccate lunghe secoli.
A difendere le due cause saranno Luciano Canfora per Atene e Eva Cantarella per Sparta, in diretta sulla pagina Facebook delle Lezioni di Storia Laterza.

A vincere sarà il culto del Bello ateniese o la morigeratezza spartana?

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Appuntamento quindi mercoledì 9 febbraio alle 19, in diretta dalla pagina Facebook delle Lezioni di Storia Laterza con Luciano Canfora, Eva Cantarella e la nostra Alessia Amante!

5 domande su Joe Biden a Massimo Gaggi

Perché la superpotenza americana ha scelto di affidare il suo governo a un leader privo di carisma, di età avanzata e con una storia politica piena di contraddizioni?
Come è potuto diventare una sorta di ultima spiaggia della democrazia americana, l’uomo su cui puntare per scuotere un Paese che vive da tempo un lento declino e a cui affidare il difficile compito di reinventare una sinistra in crisi?
A un anno dall’insediamento di Joe Biden, abbiamo chiesto un bilancio a Massimo Gaggi, autore de La scommessa Biden.

Il libro:

Ebrei. Il lungo viaggio del popolo errante

Una storia mondiale in 80 tappe, tra figure e avvenimenti dimenticati, pagine drammatiche e vicende sorprendenti. Un percorso per date che ribalta i luoghi comuni

Emanuele Coen | L’Espresso | 14 novembre 2021

La distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo, l’espulsione degli ebrei dalla Spagna, nel 1492, la nascita dello Stato di Israele, nel 1948. La storia del popolo ebraico, lunga tre millenni, è scandita da alcune tappe fondamentali. Date da segnare in rosso che si alternano con date meno eclatanti ma altrettanto significative come il 1290, l’anno in cui Edoardo I Plantageneto espelle gli ebrei per secoli da tutto il suo regno, la civilissima Inghilterra, primo re cristiano ad adottare una simile misura, seguito poi da altri sovrani. Un momento storico complesso eretto a simbolo dall’antigiudaismo medievale. Oppure il 1920, quando il Parlamento ungherese vara una legge che introduce il numero chiuso universitario in Ungheria, che istituzionalizza per la prima volta in Europa un antisemitismo razziale di Stato, dal momento che considera gli ebrei non una confessione, ma una nazionalità a parte. Una lunga storia, quella del popolo ebraico, popolata da personaggi noti e altri semisconosciuti come Regina Jonas, la prima donna rabbino, nominata nel 1935 a Berlino, caduta nell’oblio per quasi mezzo secolo dopo la sua morte ad Auschwitz, divenuta in seguito l’emblema dell’ebraismo riformato.

Per realizzare la “Storia mondiale degli Ebrei” (Laterza) il curatore Pierre Savy, direttore degli studi per il Medioevo presso l’Ècole française de Rome, ha coinvolto una schiera di storici e si è imbarcato in una sfida ambiziosa e appassionante, mettendo insieme avvenimenti e personaggi, un’ottantina in tutto, una selezione inevitabilmente incompleta ma non per questo meno interessante. «Non è una enciclopedia ma un testo divulgativo, rivolto non solo agli eruditi ma anche al grande pubblico. È il frutto di scoperte testuali e archeologiche, una materia in continua evoluzione», sottolinea Savy. Uscito in Francia l’anno scorso, realizzato con la collaborazione di Katell Berthelot, direttrice di ricerca al CNRS e specialista dell’ebraismo nelle età ellenistica e romana, e Audrey Kichelewski, docente di Storia contemporanea all’Università di Strasburgo, il volume esce ora nell’edizione italiana, rivista e adattata con il coordinamento di Anna Foa, già docente di Storia moderna all’università La Sapienza. «Una prima scommessa è stata quella di dare spazio alle date classiche ma insieme anche ad altre date meno scontate e addirittura quasi sconosciute, che permettono di presentare interi squarci della storia ebraica», dice Savy, che aggiunge: «Abbiamo dovuto trovare l’equilibrio fra le date che marcano la storia dell’antigiudaismo e le date che segnano relazioni più complesse, a volte addirittura felici, con la società maggioritaria, in modo da non sprofondare in quella storia “lacrimosa” giustamente denunciata dalla storiografia contemporanea da quasi un secolo». Le pagine dedicate alla Shoah, ad esempio, si concentrano sull’insurrezione del ghetto di Varsavia (1943), la conferenza di Wannsee (1942), in cui venne definita la soluzione finale della questione ebraica, e il ritorno dei deportati sopravvissuti, tralasciando altri fatti rilevanti.

Tra le voci del libro, inoltre, destano particolare interesse quelle che contribuiscono a ribaltare luoghi comuni: come quella, scritta da Giacomo Todeschini, dedicata al IV Concilio Lateranense, nel 1215, un evento cruciale che afferma l’importanza dell’osservanza delle regole cristiane per l’identificazione civica e politica degli individui, che accusa gli ebrei di spogliare delle loro ricchezze i cristiani, e soprattutto le chiese, designando gli ebrei come usurai pericolosi perla cristianità. Oppure la voce, realizzata per l’edizione italiana da Francesca Trivellato, che rievoca la leggenda delle origini ebraiche della finanza europea. In sostanza, nel 1647 un volume di norme di diritto marittimo stampato a Bordeaux diffonde il racconto secondo cui gli ebrei medievali, cacciati dalla Francia, avrebbero inventato l’assicurazione marittima e le lettere di cambio, vale a dire i due strumenti finanziari del capitalismo preindustriale, per esportare furtivamente i propri patrimoni nell’Italia centro-settentrionale. «Priva di fondamento ma destinata a riscuotere ampio successo, questa leggenda a lungo dimenticata è l’anello che nell’immaginario cristiano congiunge l’ebreo usuraio medievale al finanziare ebreo moderno», prosegue Savy: «È un cliché di cui si nutre l’antigiudaismo. E, come spesso avviene, chi crede nello stereotipo dimentica la sua origine precisa. Un meccanismo molto pericoloso perché alimenta l’antisemitismo».

Una vicenda complessa, quella del popolo ebraico, segnata da episodi tragici e fasi importanti di emancipazione e integrazione nel tessuto sociale, di relazioni felici con la società maggioritaria. Vengono in mente due date emblematiche: il 212 dopo Cristo, quando l’editto di Caracalla riconosce la cittadinanza romana a tutti gli abitanti non schiavi dell’impero, dunque anche agli ebrei. E, in un contesto del tutto diverso, il 1791, quando in Francia il re Luigi XVI firma il decreto in base al quale gli ebrei prestano giuramento ed entrano nella modernità politica, si possono presentare alle diverse funzioni elettive, candidarsi agli impieghi nella funzione pubblica. Un fatto che segna la fine della “nazione ebraica” e l’accesso, per la prima volta nella modernità, alla cittadinanza. «Si tratta di due date importanti, che pur nella loro diversità sottolineano la tensione tra l’integrazione e la rinuncia alla propria autonomia parziale», sottolinea Savy: «Una ambivalenza che si ritrova nell’editto di Caracalla, che infatti fu duramente criticato dai rabbini di Galilea, proprio perché insieme l’integrazione portava con sé l’abbandono di una certa fetta di autonomia giuridica».

Nell’edizione italiana sono state aggiunte alcune voci, tra cui quella dedicata a Primo Levi (scritta da David Bidussa), quella del viaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa (di Andrea Riccardi), nel 2000, e del processo Eichmann (1%1) con Hannah Arendt, a cura di Anna Foa. Una selezione che, naturalmente, taglia fuori date e personaggi importanti, tra cui Albert Einstein. «Non si tratta di negare la rilevanza di questa e di altre figure, ovviamente, tuttavia occorre mettersi in una prospettiva lunga», conclude Savy: «Se per la storia della scienza Einstein è fondamentale, non è detto che lo sia anche per la storia complessiva del popolo ebraico».

Il libro: 

#CasaLaterza: Andrea Boitani discute con Enrico Letta e Chiara Mio

Secondo l’ideologia liberista il mercato lasciato a se stesso crea le migliori opportunità e il maggior benessere per tutti.

Questo miraggio è fonte di danni gravissimi, e deve essere smentito.

Ne abbiamo discusso in diretta Facebook e YouTube per Casa Laterza, a partire da L’illusione liberista di Andrea Boitani.

Insieme all’autore, Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, e Chiara Mio, professoressa ordinaria di Economia aziendale.

 

 

Il libro:

Come una bufala diventa “verità”

Nel ‘600 Étienne Cleirac sostenne che «i furbi infami» avevano inventato le lettere di cambio, con le conseguenti speculazioni: tesi che si è sedimentata negli anni

Giulio Busi | Domenica – Il Sole 24 Ore | 5 dicembre 2021

La storia si fa con i fatti o la si racconta mettendo una leggenda dopo l’altra, come si montano le tessere di un mosaico irreale, misterioso?

La maggior parte di noi, senza pensarci troppo su, risponderebbe sicura che uno storico deve tenersi il più lontano possibile da invenzioni, favole, apologhi. A ciascuno il suo mestiere. Al romanziere le novelle, allo storico i dati verificabili, questa la vulgata corrente. E un’opinione sensata, che vale nella maggior parte dei casi ma non sempre. Nel suo Ebrei e capitalismo, uscito per Laterza, Francesca Trivellato ci offre un esempio di ottima storiografia imbastita su fraintendimenti e stereotipi.

Tutto è “serio” e ben documentato, ci mancherebbe. A essere fuori fase, prive di fondamento sono le fonti, e il compito dell’autrice è risalire, con spirito da esploratrice, lungo le sorgenti bugiarde, per portare alla luce invenzioni e imbrogli. Immaginate il classico sassolino, che si metta a rotolare quasi per caso. Dopo pochi metri, la pietruzza è diventata una cascata di sassi. Più in là, i sassi si sono trasformati in slavina. Il sassolino in questione l’ha gettato, con malizia, un rispettabile giurista francese del Seicento. Etienne Cleirac, questo l’iniziatore di tanto trambusto, un nome che nessuno, o quasi, ricorda più.

Trivellato ha un debole per i personaggi minori, le comparse della storia, e non lo nasconde. Anzi, della ricerca dei contributi dimenticati e delle voci marginali ha fatto uno dei punti di forza del suo metodo. Con scoperte assai interessanti. Del resto, le leggende hanno bisogno dell’ombra per attecchire, e sono più forti se vanno di bocca in bocca, figlie di tutti e di nessuno.

Cleirac, all’età sua, godeva di una certa fama, ma non era sicuramente un gigante intellettuale. Colto ma non troppo, sfoggiava una vena da imbonitore, che gli faceva mescolare con disinvoltura verità e finzione. Il sassolino di cui parliamo si trova in un denso volume sugli usi di mare e sul diritto marittimo. Cosa c’entrano gli ebrei, con la giurisprudenza in mare? Nulla o quasi, e così deve essere, altrimenti che leggenda campata in aria sarebbe mai? Di sicuro Monsieur Cleirac gli ebrei non li poteva soffrire, come del resto non gli stavano simpatici mercanti e uomini d’affari italiani, e tanto gli bastò per lanciare la fatidica pietruzza.

Non si sa bene in che epoca, se nell’alto o nel basso Medioevo, comunque a dar retta al nostro giurista gli ebrei, cacciati dal suolo francese, avrebbero escogitato una trovata ingegnosa: «la necessità insegnò a questi furbi infami a servirsi di lettere segrete, e di biglietti scritti con poche parole e sostanza, come sono ancora le lettere di cambio, indirizzate a coloro cui avevano affidato quei beni, e che tenevano loro bordone. E tutto ciò lo fecero tramite … mercanti stranieri … gli italiani lombardi, spettatori e ministri di questo intrigo ebraico, ne ritennero il formulario [di queste lettere] e da allora seppero ben servirsene». Vi siete persi? E normale, poiché Cleirac ha uno stile involuto e una mente contorta. Il messaggio di fondo è però semplice. Sono stati gli ebrei a inventare le lettere di cambio, e i banchieri “lombardi”, ovvero provenienti dalla penisola italiana, famosi per aver diffuso questo sistema di pagamento, sarebbero stati solo gli allievi della “malizia giudaica”.

Per quanto strampalata e priva di fondamento, la trovata pseudo storica, escogitata a metà Seicento dal nostro pietruzzaro, ha cominciato a rotolare di libro in libro. Trivellato ricostruisce minuziosamente prestiti, scopiazzature, fraintendimenti di fraintendimenti. Oltre a una sciarada di altri illustri sconosciuti, c’è qualche grande, come Montesquieu, che prende per buona la sparata di Cleirac ma ne ribalta il tono. Con l’introduzione delle lettere di cambio, afferma, gli ebrei avrebbero permesso al commercio di eludere la violenza e di mantenersi ovunque.

Sono le capriole a rendere così insidiosi gli stereotipi. Positivi, negativi, neutri, poco importa, basta che riescano a rigirarsi, ovvero a moltiplicarsi e a trasformarsi in luogo comune. Se anche gli autori che simpatizzano con gli ebrei attribuiscono loro l’ideazione di un metodo finanziario così sofisticato e sfuggente come le lettere di cambio, in grado di spostare grandi somme per vie invisibili, senza lasciare tracce, allora sarà vero che le leve del denaro sono saldamente e occultamente nelle loro mani, o almeno così pensano in molti nell’Ottocento, e lo vanno declamando a piena voce.

Di stupidaggine in malevolenza, di benevolenza in partito preso, la frase avvelenata di Cleirac è diventata una valanga quasi inarrestabile. «La cambiale è il Dio reale dell’ebreo. Il suo Dio è soltanto la cambiale illusoria». Lo scrive Karl Marx nel 1844. Rampollo di una dinastia di rabbini, fresco convertito al protestantesimo, grande rivoluzionario e ancor più grande credulone, almeno per quanto riguarda le leggende sulle cambiali, Marx s’impossessa di un abbaglio storico e lo trasforma in propaganda politica.

La ricerca di Trivellato è una lettura istruttiva, puntuale, documentata. Ed è anche un esperimento con un materiale altamente pericoloso. La storia è lastricata di leggende e di travisamenti. False le leggende, vere le violenze e le persecuzioni.

 

Il libro:

L’assurdo mito di un popolo incorrotto

Nel 1992, trent’anni fa, cominciava il crollo della prima Repubblica e il passaggio alla seconda, segnato dalla scomparsa di un’intera classe politica che dal 1945 in poi aveva governato la democrazia repubblicana; un passaggio cruciale che nell’opinione pubblica italiana resta legato alle inchieste sulla corruzione del pool Mani Pulite.

Attraverso una scrittura agile e un linguaggio sintetico, in Passatopresente Simona Colarizi ricostruisce una fase cruciale della storia d’Italia che ha lasciato una così difficile eredità nel presente.

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Relativamente poco percorsa nelle analisi sulla caduta del sistema, l’ondata populista è invece a mio giudizio centrale non solo per interpretare l’ultima fase della prima Repubblica, ma anche per una lettura della seconda Repubblica, nella quale gli elementi di continuità con il passato sono così numerosi da ridurre la portata della rottura intervenuta nel ’92-’93 alla pura e semplice liquidazione forzata dei partiti al potere. Non a caso alle modalità del crollo va legata la gran parte dei fenomeni caratterizzanti il nuovo sistema politico, a cominciare dalla difficoltà di uscire dalla transizione aperta dopo il ’94 che solo in superficie era sembrata chiusa con il nuovo secolo. A tutt’oggi restano evidenti infatti le fragilità dei soggetti politici presenti sulla scena alla continua ricerca di una solida identità mai raggiunta, mentre non si restringe la divaricazione della forbice tra gli elettori e i loro rappresentanti, come testimonia l’astensionismo dilagante insieme alla sfiducia nella classe politica al governo e all’opposizione.

Debolezza dei partiti che rende inefficace la governance di fronte alle sfide e alle crisi del nuovo secolo – ad esempio quella devastante del 2008 – con risultati allarmanti per la tenuta del tessuto democratico. Lo dimostrano i fenomeni, in continua crescita dopo il ’94, di populismo, giustizialismo, razzismo, xenofobia, oblio dei diritti, delle libertà e dei valori civili; ma anche l’evolversi delle polemiche antipartitiche o per meglio dire antiestablishment che si riassumono in un antagonismo pregiudiziale contro chi ha istruzione, competenze, educazione e persino fede nei valori non negoziabili alla base del vivere civile. Pulsioni antipolitiche estese anche ai governanti europei, gli “spregevoli burocrati di Bruxelles” contro i quali si scagliano i sovranisti.

Un magma antidemocratico e qualunquista era sempre esistito in una democrazia giovane come l’Italia, ma la responsabilità di averlo fatto lievitare pesa sulle forze politiche che hanno abbattuto la prima Repubblica. Il lievito principale è stata la leggenda di una società politica malata in contrapposizione a un paese sano, per quarant’anni dominato da partiti corrotti, collusi con la criminalità organizzata, colpevoli di averne dilapidato le risorse economiche e persino di aver tramato contro le istituzioni democratiche. Accuse infamanti, risuonate sul palcoscenico delle Tv pubbliche e private, reati veri e propri contestati dai magistrati inquirenti, ingigantiti dalla stampa, potente cassa di risonanza delle inchieste giudiziarie.

Si era così consolidato – e si perpetuava poi anche negli anni a venire – l’assurdo mito di un popolo incorrotto contro l’evidenza, invece, di una cittadinanza afflitta dagli stessi mali dei suoi governanti, con i quali per mezzo secolo aveva stretto patti taciti che ai cittadini garantivano una sorta di diritto all’evasione, ma anche assunzioni e promozioni nel pubblico impiego svincolate da meriti e da esigenze di servizio, nonché il posto a vita, l’assenteismo, l’inefficienza, il passaggio ereditario del ruolo tra i membri delle famiglie, clientele fedeli dei politici al governo. Per non parlare di quanto fossero diffuse piccole illegalità e pratiche spartitorie in tutte le istituzioni pubbliche, nei sindacati, nell’associazionismo privato. Molto spesso a rileggere le cronache degli anni precedenti alla caduta del sistema non sembra esserci alcuna differenza tra passato e presente, persino in relazione alla degenerazione del linguaggio e della gestualità volgari e violente in Parlamento o tra gli “odiatori” della rete oggi, del popolo dei fax ieri.

 

Il libro: