Il “Festival internazionale dell’economia” parte da Torino

IL “FESTIVAL INTERNAZIONALE DELL’ECONOMIA” PARTE DA TORINO

Merito, diversità, giustizia sociale

Dal 2 al 5 giugno 2022

 

Il Festival internazionale dell’economia parte dal Piemonte e più precisamente dalla città di Torino.

Gli Editori Laterza, Tito Boeri e Innocenzo Cipolletta hanno accolto l’invito della Regione Piemonte e della Città di Torino, insieme alla Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Camera di Commercio, Università degli Studi di Torino, Politecnico di Torino e Collegio Carlo Alberto.

“La Stampa”, che per prima ha lanciato la candidatura della città a ospitare il Festival raccogliendo l’adesione di tutti i candidati sindaco (quale che fosse il loro colore politico), sarà media partner.

Gli Editori Laterza, Tito Boeri e Innocenzo Cipolletta ringraziano tutte le città – più di venti – che nelle scorse settimane si sono candidate a ospitare il nuovo Festival, con una straordinaria mobilitazione di istituzioni pubbliche, associazioni e imprese, a testimonianza della volontà di non disperdere ed ampliare un’esperienza avviata nel 2006.

E ringraziano i relatori che, in gran numero, hanno fatto pervenire segni di stima e di convinta adesione al nuovo progetto, insieme al pubblico e alle persone che a Trento (e da tutta Italia) li hanno seguiti e sostenuti per sedici anni.

Ringraziano anche i partner e gli sponsor che hanno confermato il loro prezioso sostegno.

Il Festival si terrà da giovedì 2 a domenica 5 giugno e avrà come tema Merito, diversità, giustizia sociale.

La crisi del Covid ci ha restituito un mondo più disuguale e soprattutto diversamente disuguale. Nuove forme di disuguaglianza si sono sovrapposte a quelle già esistenti. Ai divari di reddito si sono aggiunti i divari nello stato di salute e nelle condizioni abitative (sempre più rilevanti nel condizionare il proprio successo nel mercato del lavoro). Si tratta di disuguaglianze che hanno spesso ben poco a che vedere col merito individuale, che sono legate a diverse condizioni di partenza oppure alla fortuna. In che misura l’uscita dalla pandemia può riassorbire queste disuguaglianze o, quantomeno, allinearle maggiormente al merito individuale anziché al fato? Riconoscere che all’origine di alcune disuguaglianze ci sono anche livelli di impegno diversi, performance individuali differenti, può ridurre il senso di ingiustizia che molte persone nutrono nei confronti di società così disuguali?  Le discriminazioni di genere e quella etnica rimangono un tratto importante dietro a molte disuguaglianze. Le si combatte anche con la discriminazione positiva che vuole attribuire più opportunità a chi è stato storicamente svantaggiato nella propria carriera lavorativa. Gli sforzi messi in campo sono sufficienti? E quali sono le difficoltà nello stabilire in che misura e per quanto tempo quote che premino gruppi storicamente poco rappresentati vadano mantenute?

Questioni essenziali che verranno affrontate – come in passato – su scala globale, con relatori provenienti da tutto il mondo, in particolare dalle più prestigiose università dell’Europa e degli Stati Uniti. I relatori del Festival internazionale dell’economia non saranno solo economisti, ma anche sociologi e storici, giuristi e filosofi, in generale ricercatori impegnati in diverse discipline, protagonisti delle ricerche più avanzate sul tema.

Al tempo stesso, il Festival avrà quella caratteristica di divulgazione informale e rigorosa con cui Laterza e Boeri hanno portato l’economia in piazza, consentendone la fruizione a un grande pubblico.

Il Festival internazionale dell’economia, progettato e realizzato dagli Editori Laterza con la direzione scientifica di Tito Boeri, avrà un Comitato editoriale coordinato da Innocenzo Cipolletta.

Le istituzioni locali si riuniranno in un comitato locale coordinato dal Collegio Carlo Alberto.

La guerra dei sessi

LA GUERRA DEI SESSI

Ritornano le Lezioni di Storia
all’Auditorium Parco della Musica di Roma e in streaming 

Dal 28 novembre 2021 al 27 marzo 2022

 >> BIGLIETTI DISPONIBILI, ONLINE E PRESSO IL BOTTEGHINO <<

Gli abbonamenti sono acquistabili presso il botteghino dell’Auditorium Parco della Musica.
I biglietti singoli per le lezioni in presenza, gli abbonamenti e i biglietti per le dirette streaming sono acquistabili online
su www.auditorium.com e www.ticketone.it

 

Le Lezioni di storia tornano in presenza all’Auditorium Parco della Musica di Roma, dal 28 novembre 2021 al 27 marzo 2022. Il nuovo ciclo vedrà il pubblico tornare nella Sala Sinopoli che per sedici anni ha registrato il tutto esaurito.

Quest’anno il progetto è ancora più ampio perché si potrà assistere alle Lezioni da tutta Italia in diretta streaming tramite la piattaforma auditoriumplus.com.

La guerra dei sessi è il tema scelto per la nuova edizione in cui si racconterà il conflitto tra donne e uomini nel corso della storia dell’umanità, nelle sue tante forme: dalla famiglia alla politica, dall’economia alla letteratura, dall’arte allo spettacolo.

Storie straordinarie e controverse, dalle più note a quelle sconosciute, dimostreranno soprattutto la forza, il talento, l’astuzia e l’immaginazione di alcune grandi donne che hanno combattuto le disuguaglianze di genere nei vari campi, allontanandosi dagli stereotipi sociali delle diverse epoche.

Il ciclo di Lezioni di Storia La Guerra dei sessi è ideato dagli Editori Laterza e realizzato in coproduzione con la Fondazione Musica per Roma.

Come nelle edizioni precedenti, tutte le lezioni saranno introdotte da Paolo Di Paolo.

Info biglietti e abbonamenti

 

Costi

Lezioni in presenza: Abbonamento 95 euro; biglietto singolo 14 euro; abbonamento studenti 40 euro; biglietto singolo studenti 5 euro
Lezioni in diretta streaming sulla piattaforma AuditoriumPlus: abbonamento 40 euro; biglietto singolo 6 euro; abbonamento iscritti Club Laterza 30 euro

Dove e quando acquistare

Gli abbonamenti sono acquistabili e rinnovabili presso il botteghino dell’Auditorium Parco della Musica
I biglietti singoli per le lezioni in presenza, gli abbonamenti e i biglietti per le dirette streaming sono acquistabili online su www.auditorium.com e www.ticketone.it

Rinnovo abbonamenti lezioni in presenza: da lunedì 25 ottobre 2021 compreso, fino al 3 novembre 2021 compreso

Vendita nuovi abbonamenti: da lunedì 8 novembre 2021

Vendita biglietti singoli: da lunedì 8 novembre 2021

Orari biglietteria – Botteghino Auditorium Parco della Musica

  • Per rinnovo abbonamenti: da lunedì 25 ottobre a mercoledì 3 novembre, tutti i giorni dalle ore 11:00 alle 19:00
  • Per nuovi abbonamenti e biglietti singoli: lunedì 8 novembre 2021 dalle ore 08:30 alle ore 20:00. (Nel solo giorno di lunedì 8 novembre 2021, se necessario, verranno distribuiti numeri elimina coda a partire dalle ore 08:00.) Da martedì 9 novembre 2021, tutti i giorni dalle ore 11:00 alle 18:00

 Orari biglietteria online

  • per i biglietti singoli a partire dalle ore 12:00 di lunedì 8 novembre 2021

 

 

Il Programma

 

Domenica 28 novembre 2021, ore 11.00

Eva Cantarella

ARMI E POTERE: LE REGINE GUERRIERE

 Sia nel mito – come nel caso delle Amazzoni – sia nella realtà – come nel caso di Zenobia, regina di Palmira – le donne del mondo antico all’occasione hanno praticato anche l’arte della guerra, infliggendo agli uomini severe sconfitte.

Eva Cantarella ha insegnato Istituzioni di Diritto romano e Diritto greco antico all’Università Statale di Milano.

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Domenica 5 dicembre 2021, ore 11.00 

Francesca Cenerini

POLITICHE MATRIMONIALI: L’ONORE E IL SANGUE DI CLAUDIA LIVIA GIULIA

Nella Roma del I secolo dopo Cristo la lotta per il potere attraversa le grandi famiglie e investe direttamente le relazioni sessuali e matrimoniali. Come dimostra la storia di Claudia Livia Giulia, fra complotti, tradimenti e morti cruente.

Francesca Cenerini insegna Storia romana ed Epigrafia e Istituzioni romane all’Università di Bologna

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Domenica 19 dicembre 2021, ore 11.00 

Amedeo Feniello

LA BATTAGLIA DEL DENARO: SYBILLE E I BANCHIERI

A metà del XIV secolo – quando a Firenze dominano i banchieri – una vedova provenzale li sfida, facendo causa alla potente famiglia Bonaccorsi che l’ha truffata.

Amedeo Feniello insegna Storia medievale al Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila.

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Domenica 16 gennaio 2022, ore 11.00 

Alessandro Barbero

LA LEGGE DEL DESIDERIO: LE NOVELLE DI BOCCACCIO

Il Medioevo non era come lo immaginiamo, e anche i rapporti fra uomini e donne, raccontati con estremo realismo nelle novelle di Boccaccio, sfuggivano a tutti gli stereotipi.

Alessandro Barbero insegna Storia medievale presso l’Università del Piemonte Orientale.

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Domenica 30 gennaio 2022, ore 11.00 

Costantino D’Orazio 

VIOLENZA FAMILIARE: ARTEMISIA, AGOSTINO E ORAZIO

 Il talento di Artemisia Gentileschi è spesso oscurato dalla fama del processo pubblico seguito alla violenza subita da ragazza ad opera di un amico di famiglia, il paesaggista Agostino Tassi. Una vicenda ancora piena di nodi irrisolti, legati soprattutto al ruolo di suo padre, il pittore Orazio Gentileschi.

Costantino D’Orazio, storico dell’arte e curatore presso la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

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Domenica 13 febbraio 2022, ore 11.00 

Maria Giuseppina Muzzarelli

VENIA, VENUS, VENENUM: STORIE DI AVVELENATRICI

A fine Settecento a Palermo si celebra il processo contro Giovanna Bonanno, una vedova accusata di vivere vendendo veleno alle malmaritate, perché potessero somministrarlo agli uomini attraverso gustose pietanze. Ma la storia delle avvelenatrici inizia molto prima…

Maria Giuseppina Muzzarelli insegna Storia medievale, Storia delle città e Storia e patrimonio culturale della moda all’Università di Bologna.

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Domenica 27 febbraio 2022, ore 11.00 

Fernanda Alfieri

AMORI IMPENSABILI: DONNE CHE SPOSANO ALTRE DONNE

Un giorno di aprile dell’anno 1725, Giovanna Maria Wincklerin si presenta al tribunale romano del Sant’Uffizio per autodenunciarsi. Dice di essere figlia del Re di Polonia e di avere una moglie, lasciata a Vienna. Come era potuto accadere che le due si fossero sposate? E come era possibile che una donna ne amasse un’altra? Dietro gli interrogativi delle autorità c’è un mondo di credenze antiche e ancora attuali sulla sessualità femminile, sull’identità e sul desiderio.

Fernanda Alfieri, ricercatrice di Storia moderna all’Università di Bologna.

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Domenica 13 marzo 2022, ore 11.00 

Federico Rampini

IL GIOCO DEGLI SPECCHI: LA GEISHA CHE STREGÒ L’OCCIDENTE

 Nel 1897 Madame Sadayakko – la geisha più famosa del Giappone – sbarca a San Francisco e inizia una tournée attraverso l’America e l’Europa che la porterà a incontrare le stelle dell’epoca, da Isadora Duncan a Claude Debussy, da André Gide a Pablo Picasso… in un gioco di specchi erotici tra Oriente e Occidente.

Federico Rampini, giornalista e saggista, da decenni corrispondente e scrittore dall’Asia e dall’America.

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Domenica 27 marzo 2022, ore 11.00 

Valeria Palumbo 

PENNE COME ARMI: VIRGINIA WOOLF E LE ALTRE

Era stato loro concesso di leggere e addirittura scrivere romanzi. E ne hanno subito approfittato: Virginia Woolf scardina i principi del mondo e dello sguardo maschile, ma non è la sola intellettuale, tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, a svelare i meccanismi del dominio degli uomini. Né l’unica a pagare per averlo sfidato.

Valeria Palumbo, storica e giornalista.

QUI UNA BIBLIOGRAFIA

Maschi bianchi arrabbiati

Dal secondo dopoguerra si sono ottenuti risultati straordinari a difesa dell’inclusione democratica. Oggi c’è un vento conservatore che spira in direzione contraria, la cui origine è da ricercare in altri processi che il Novecento ha innescato: dalla deregolamentazione dell’economia all’ideologia dell’individualismo competitivo.

Questo libro propone una lettura originale che mette insieme la crisi dell’ordine neoliberale, evidenziata anche dalla catastrofe planetaria della pandemia, e l’avanzata di progetti politici di segno antiegualitario e autoritario. I leader della destra radicale populista devono il loro successo alla promessa di proteggere le ‘maggioranze silenziose’ dei loro paesi dai sentimenti di insicurezza e spaesamento indotti dalle dinamiche dell’economia. Non offrono però, in risposta, ricette redistributive contro la crescita delle diseguaglianze. Piuttosto, fanno appello all’identità nazionale, etnica, religiosa o sessuale, ergendosi a difesa dei ‘nativi’ contro gli stranieri e della famiglia ‘tradizionale’ contro nuovi modelli di vita affettiva. Le destre radicali minacciano di acquisire nuova forza nell’incertezza generata dalla crisi pandemica e la risposta delle forze progressiste potrà passare solo attraverso una rinnovata lotta contro ogni forma di diseguaglianza.

Un estratto da Il vento conservatore, il nuovo libro di Giorgia Serughetti.

> Ne discuteremo con l’autrice e con l’editor Lia Di Trapani martedì 16 novembre alle 19.00, in un incontro su Zoom riservato agli iscritti al Club Laterza. Sarà possibile registrarsi a partire dal 4 novembre.

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Maschi bianchi arrabbiati

Considerato il forte carattere di genere della reazione conservatrice, una sua radice importante è da individuare nel vittimismo maschile e nel revanchismo che ne consegue. Le spinte nazional-conservatrici esprimono infatti anche l’esigenza da parte di alcuni uomini, principalmente bianchi e della classe media, di riaffermare una superiorità che vedono compromessa.

Come mostra efficacemente Stefano Ciccone nel suo studio sugli usi discorsivi della «crisi del maschile», questo è un topos che torna ciclicamente in ogni frangente storico in cui l’ordine tradizionale si incrina, il rapido mutamento delle condizioni della vita sociale provoca inquietudine, e i gruppi dominanti avvertono l’indebolirsi del proprio sistema di potere come una forma di spossessamento. I padri di una volta che non ci sono più, le donne «aggressive», i maschi «zerbini», i «mammi»: sono solo alcune delle figure di questo racconto, che vede nel femminismo e nella liberazione sessuale l’inizio della fine di un ordine capace di dare senso alla vita dei singoli e della collettività.

La «crisi» è l’espressione retorica di questo senso di smarrimento, ma è anche un concetto che serve a neutralizzare la potenzialità dirompente del cambiamento, a conferire all’analisi del presente una torsione reazionaria. Se ne sono avute testimonianze numerose nella reazione maschile alla campagna #MeToo. Sui giornali, in tv, sui social network, per voce di persone comuni e di uomini autorevoli, si sono moltiplicate le espressioni di disagio o fastidio per la presa di parola delle donne. Il senso di smarrimento – qual è il confine tra corteggiamento e molestia? – non ha generato, se non in casi eccezionali, un’autoanalisi maschile sul modo di intendere il desiderio, sul rapporto tra desiderio e potere, sull’importanza del consenso. Piuttosto, ha prevalso una postura vittimistica, piena di rancore verso le donne testimoni di violenza, e verso la «dittatura del politically correct».

Il populismo sovranista e conservatore offre una sponda politica alle frustrazioni che attraversano il mondo maschile. In particolare, gli «uomini forti» della destra radicale intercettano questo disagio identitario, offrendo come risposta il sogno nostalgico di una presunta età dell’oro in cui il posto degli uomini nel mondo e il loro privilegio erano garantiti dalla cultura, dalle istituzioni, dalla legge.

Per capire, per esempio, come abbia potuto Donald Trump vincere la corsa presidenziale nel 2016 contro la prima candidata donna, appare illuminante lo studio che il sociologo americano Michael Kimmel ha dedicato agli «angry white men» del suo paese. Partendo dalla premessa che viviamo in un tempo in cui il diritto maschile ad esercitare il proprio privilegio storico in ogni campo è messo in discussione – e che per questo è stato spesso descritto come «post-patriarcale» e «post-razziale» – saltano agli occhi i molti fenomeni di resistenza contro questo cambiamento inesorabile, che si esprimono in desideri rabbiosi di rivalsa.

I maschi bianchi arrabbiati sono «quegli uomini che rifiutano persino di essere trascinati a calci e urla in questo futuro inevitabile. Sono uomini bianchi che non sono affatto contenti del modo in cui sono cambiate le maree. Vedono una piccola serie di onde come un gigantesco tsunami che sta per travolgerli». Le piccole onde sono quelle generate dalla partecipazione sociale crescente dei gruppi storicamente svantaggiati – le donne, le minoranze sessuali e quelle razziali –, favorita anche dalle politiche positive e antidiscriminatorie.

Da molti uomini questo avanzamento è vissuto come una «discriminazione al contrario». Si chiedono, costoro: di che privilegio stiamo parlando? Non vedete che ormai sono gli altri ad essere privilegiati, che siamo diventati le vittime di questo nuovo corso? Però, scrive Kimmel, bisogna comprendere che

Non si tratta tanto dell’‘avere’ [il privilegio], quanto di una postura, una relazione con esso. Anche se non ci pensavamo come dei privilegiati, pensavamo però di avere diritto al privilegio, diritto a occupare le posizioni di comando. Solo perché chi è al potere è etero, bianco e maschio, non significa che ogni uomo bianco etero si senta potente. […] Ma il fatto che gli uomini bianchi etero non si sentano potenti non rende meno vero che, rispetto ad altri gruppi, essi beneficiano della disuguaglianza e sono, in effetti, privilegiati.

Il presunto diritto a occupare posizioni privilegiate all’interno del proprio universo sociale di riferimento non conosce insomma distinzioni di classe. Ogni uomo bianco cresce in un sistema che è attraversato da disuguaglianze di genere e razziali, ed è abituato a pensare che il mondo gira nel verso giusto solo se risponde alle proprie aspettative di guadagno economico e riconoscimento sociale. Ci sono, certo, uomini che vivono quietamente il cambiamento, e che riconoscono i benefici del vivere in una società più equa. Tuttavia, per tanti la fine dell’epoca del potere maschile indiscusso rappresenta un insopportabile tradimento delle aspettative connesse alla propria appartenenza di genere, un’offesa al proprio presunto diritto.

Le manifestazioni di amarezza e rabbia degli uomini bianchi etero, secondo Kimmel, sono «dita infilate nelle dighe che si sgretolano, cercando, inutilmente, di trattenere la marea montante di una maggiore uguaglianza e di una maggiore giustizia». Insomma, battaglie di retroguardia. L’autore, però, scrive queste pagine nel 2013, alcuni anni prima che simili sentimenti fossero intercettati da un imprenditore politico come Trump e capitalizzati in forma di consenso. «Essenzialmente», ha dichiarato nel 2017 in un’intervista a «The Guardian», «ho scritto un libro sui seguaci di un leader che non si era ancora manifestato».

Vittimismo e revanchismo maschile animano anche in Italia le battaglie di partiti e movimenti di destra contro la libertà delle donne e i diritti delle minoranze sessuali. Basti pensare alla sponda che un partito come la Lega offre da anni alle organizzazioni dei padri separati, miranti a ottenere attraverso la legge il riconoscimento di un diritto – il diritto del padre – che avvertono come perduto.

Il sessismo caratteristico delle ideologie della destra radicale può presentare tanto un volto «benevolo» quanto un volto «ostile», e spesso entrambi in riferimento a diverse categorie di donne. Il sessismo benevolo è quello che porta a esaltare le donne nel loro ruolo di moglie, madre e riproduttrice della nazione. Questo repertorio discorsivo è abilmente impiegato anche da donne leader di partiti di destra, come Marine Le Pen e Giorgia Meloni. L’associazione tra cura dei figli e cura del popolo intero funziona in questo caso come un dispositivo simbolico molto forte, che può servire a offrire un volto rassicurante ai contenuti politici più aggressivi.

Il sessismo ostile, invece, lancia accuse di corruzione morale e manifesta disprezzo verso categorie come le attiviste progressiste, le avvocate per i diritti di migranti e rifugiati, le lesbiche, e soprattutto le femministe. La destra radicale, spiega Cas Mudde, vede quasi sempre negativamente il femminismo contemporaneo. «Al di fuori dell’Europa del Nord, la maggior parte dei gruppi di ultradestra, ma anche molti gruppi conservatori, sostengono che le femministe siano un gruppo intollerante e oppressivo (le cosiddette ‘femminazi’) che vuole controllare la società imponendo ‘una nuova forma di totalitarismo’».

Il femminismo è considerato una minaccia per la famiglia e, di conseguenza, per la sopravvivenza della «nazione». Tanto più quando la causa dei diritti delle donne si intreccia con quella antirazzista, aprendo un varco nella rigidità dei muri sovrani e così mettendo a repentaglio tanto l’ordine interno quanto quello esterno.

 

Scopri il libro:

Il capo e la folla: le Lezioni di Storia a Padova

Lezioni di Storia

IL CAPO E LA FOLLA

Teatro Verdi – Padova

7 novembre 2021 / 6 febbraio 2022

 

Le Lezioni di Storia tornano a Padova con un nuovo ciclo, Il capo e la folla, a partire dal 7 novembre 2021.

Le Lezioni di Storia sono promosse dal Comune di Padova, ideate dagli Editori Laterza, realizzate con il supporto del Teatro Stabile del Veneto e con la media partnership de “Il Mattino di Padova”.

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, previo controllo del green pass. Prenotazione obbligatoria sul sito del Teatro Verdi www.teatrostabileveneto.it

 

PROGRAMMA 

domenica 7 novembre 2021 – ore 11:00
Luciano Canfora
CATILINA, IL POTERE DEL CONGIURATO
Militare e senatore, è rimasto noto soprattutto per il tentativo di sovvertire la Repubblica romana, e in particolare il potere oligarchico del Senato. Lo storico e uomo politico Sallustio ha voluto – nel suo celebre ritratto – evidenziarne le caratteristiche del criminale perfetto, spingendosi ben oltre il già terrificante ritratto delineatone da Cicerone. Ma chi fu davvero Catilina? E perché, per un momento non breve, resta al centro della vita politica di Roma?
Luciano Canfora è professore emerito dell’Università di Bari

domenica 28 novembre 2021 – ore 11:00
Amedeo Feniello
COSTANTINO, IL POTERE ALL’OMBRA DI DIO
Un personaggio mai simile a se stesso, abilissimo a manovrare la propaganda. Prima tollerante e alla ricerca di una prospettiva religiosa in grado di conciliare culture e dottrine diverse; poi persuaso, negli ultimi anni di vita, di essere stato accompagnato e protetto dal Dio Cristiano. L’uomo della leggenda su cui si elabora la costruzione della “Donazione di Costantino”, il falso documento su cui per secoli poggerà il diritto della Chiesa al potere temporale.
Amedeo Feniello, medievista e scrittore, insegna Storia medievale all’Università degli Studi dell’Aquila.

domenica 16 gennaio 2022 – ore 11:00
Alessandro Vanoli
CARLO MAGNO, IL POTERE IN UNA CORONA
È la mattina di Natale dell’anno 800: Carlo Magno avanza in San Pietro e china la testa davanti al Pontefice per ricevere dalle sue mani la corona imperiale. Un evento senza precedenti: l’atto di nascita di uno spazio geopolitico completamente diverso da quello dei Romani. Un’Europa che ha perduto il Mediterraneo e che si è aperta verso il Nord. Una riflessione sul potere e sulla nascita di quello spazio politico in cui ancora oggi viviamo.
Alessandro Vanoli, storico e scrittore

domenica 6 febbraio 2022 – ore 11:00
Maria Giuseppina Muzzarelli
SAVONAROLA, IL POTERE DEI PREDICATORI
Il potere dei predicatori è quello delle parole rese “pesanti” dal collegamento con la divinità. Parole ma anche gesti, reperti originali ritrovati, oggetti suggestivi proposti alle piazze blandite e insieme minacciate, e persino… lingue di fuoco: falò, come quello “delle vanità”, promosso a Firenze da Gerolamo Savonarola il 7 febbraio 1497. Sapersi rivolgere alla folla consegna a chi è in grado di maneggiare sapientemente parole e gesti un grande potere. Ieri e oggi.
Maria Giuseppina Muzzarelli insegna Storia medievale, Storia delle città e Storia e patrimonio culturale della moda all’Università di Bologna.

 

Tutti gli incontri sono introdotti da giornalisti de “Il Mattino di Padova”.

 

Gaetano Savatteri racconta “Le siciliane”

Una lunga tradizione letteraria e cinematografica ha rappresentato le donne siciliane come delle figure stilizzate: vestite di nero, segregate dalla gelosia, costrette dai familiari a castigare i propri istinti.

Ovviamente è un’immagine lontanissima dalla realtà, che si compone invece di tante storie del tutto estranee a questo archetipo.

Il quadro è ricchissimo: dalla santa patrona Rosalia a Franca Viola che fece cambiare leggi e costumi; dalla giornalista e scrittrice Giuliana Saladino alla ‘vecchia dell’aceto’ che nel ʼ700 preparava pozioni per avvelenare i mariti; dalla cantautrice Rosa Balistreri all’editrice Elvira Sellerio e alla prima miss Italia. Scopriremo in queste pagine che, se pure qualcosa di vero c’è nel personaggio di fantasia interpretato da Claudia Cardinale in I soliti ignoti («Carmelina, ricomponiti»), un secolo prima nella realtà c’erano le temibili combattenti socialiste di Piana degli Albanesi, donne che scendevano in piazza e non avevano alcuna intenzione di ricomporsi.

Se dobbiamo trovare un carattere comune nei secoli alle donne della più grande isola del Mediterraneo, questo va forse cercato nella volontà di reinventare il proprio destino.

Gaetano Savatteri racconta il suo nuovo libro, Le siciliane.

 

 

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Carlo Greppi racconta “Il buon tedesco”

Il capitano Jacobs è un buon soldato, rispettoso delle gerarchie, onesto. Improvvisamente nel 1944, assieme al suo attendente, decide di passare, armi in pugno, dalla parte dei partigiani. Sceglie di combattere contro i propri camerati. Perché lo fa?

Inseguendo la parabola di quest’uomo viene alla luce una grande storia dimenticata: furono centinaia i tedeschi e gli austriaci a percorrere lo stesso cammino. Un piccolo esercito senza patria e bandiera, una pagina unica nella storia d’Italia.

Carlo Greppi racconta il suo nuovo libro,  Il buon tedesco.

 

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Raoul Pupo racconta “Adriatico amarissimo”

Le terre dell’Adriatico orientale sono state uno dei laboratori della violenza politica del ʼ900: scontri di piazza, incendi, ribellioni militari come quella di D’Annunzio, squadrismo, conati rivoluzionari, stato di polizia, persecuzione delle minoranze, terrorismo, condanne del tribunale speciale fascista, pogrom antiebraici, lotta partigiana, guerra ai civili, stragi, deportazioni, fabbriche della morte come la Risiera di San Sabba, foibe, sradicamento di intere comunità nazionali.

Queste esplosioni di violenza sono state spesso studiate con un’ottica parziale, e quasi sempre all’interno di una storia nazionale ben definita – prevalentemente quella italiana o quella jugoslava (slovena e croata) –, scelta questa che non può che originare incomprensioni e deformazioni interpretative. Infatti, è solo applicando contemporaneamente punti di vista diversi che si può sperare di comprendere le dinamiche di un territorio plurale come quello dell’Adriatico orientale, che nel corso del ʼ900 oscillò fra diverse appartenenze statuali. Inoltre, le versioni offerte dalle singole storiografie nazionali non fanno che rafforzare le memorie già a suo tempo divise e rimaste tali generazione dopo generazione.

Nel suo nuovo libro, Adriatico amarissimo, Raoul Pupo, uno dei massimi esperti della storia di quei luoghi, ricostruisce una panoramica complessiva delle logiche della violenza che hanno avvelenato quelle terre – e non solo – nell’intero Novecento, per ricominciare a discuterne con cognizione di causa.

 

 

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pupo

 

#CasaLaterza: Maurizio Viroli dialoga con Enzo Bianchi

Nella storia d’Italia, i profeti hanno ispirato le lotte per l’emancipazione sociale e politica; esortato uomini e donne a non affidarsi al destino o al fato e ad assumersi la responsabilità della scelta morale; li hanno incoraggiati a liberarsi dalla servitù; hanno sofferto per le ingiustizie del loro tempo e dato un senso alla sofferenza con l’annuncio del riscatto. Con il tramonto della profezia sono tramontate anche le visioni e le speranze di emancipazione sociale.

Maurizio Viroli, accademico, saggista e filosofo, autore di Tempi profetici, ne ha parlato con Enzo Bianchi, monaco e teologo, fondatore della comunità di Bose.

 

Scopri il libro:

Gli Alleati li chiamavano ‘Special Germans’

Il capitano Jacobs è un buon soldato, rispettoso delle gerarchie, onesto. Improvvisamente nel 1944, assieme al suo attendente, decide di passare, armi in pugno, dalla parte dei partigiani. Sceglie di combattere contro i propri camerati. Perché lo fa?

Inseguendo la parabola di quest’uomo viene alla luce una grande storia dimenticata: furono centinaia i tedeschi e gli austriaci a percorrere lo stesso cammino. Un piccolo esercito senza patria e bandiera, una pagina unica nella storia d’Italia.

Un estratto da Il buon tedesco, il nuovo libro di Carlo Greppi.

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“Per i traditori della Patria e per i disertori, che magari si sono anche vantati di aver combattuto al fianco dei partigiani e di aver ucciso dei soldati tedeschi, non c’è alcuno spazio tra di noi. Siffatti apprendisti senza onore non devono aspettarsi alcun rispetto nemmeno da quelli che sono stati fin’ora nostri avversari. Verranno isolati e trattati nel modo che si sono meritati […] Le nostre leggi militari hanno piena validità, oggi come ieri. Chi le trasgredisce deve portarne inesorabilmente le conseguenze”. Queste parole senza possibilità di fraintendimento sono vergate a giugno 1945 nel Deutsches Hauptquartier Bellaria, il quartier generale tedesco del campo di prigionia di Bellaria, dal comandante Karl von Graffen, che negli ultimi giorni di guerra era stato nominato comandante del LXXVI Panzerkorps sullo scacchiere italiano. Siamo alla fine di quella che molti definiscono la Guerra dei Trent’anni del Novecento, tre decenni e qualche mese dopo le parole con cui il Kaiser Guglielmo II, a Berlino, auspicava – intimava – che davanti a lui ci fossero “soltanto tedeschi”. E sette anni dopo il boato con cui una folla di 250.000 persone nell’Heldenplatz di Vienna invocava l’annessione tedesca dell’Austria, prima di certificarla con oltre il 99 per cento dei voti in un plebiscito che nel 1938 aveva saldato le due nazioni in un solo destino, in quella che sarà un’unica “comunità di popolo armata in guerra”. Così non è stato, almeno in parte: davanti al comandante del LXXVI Panzerkorps non ci sono solamente soldati che hanno inseguito quel sogno di dominio nazionale.

Alle spalle delle spietate minacce di von Graffen, sul suolo italiano e su tutto il globo terracqueo, quel “cumulo di rovine e di fallimenti” previsto dalla baronessa von Suttner quarant’anni prima. Eppure – c’è sempre un “eppure” – queste parole lasciano trasparire qualcosa di immenso. E cioè che von Graffen minaccia inesorabili conseguenze per chi, tedesco, con spudorata doppiezza o vestito di sincera convinzione, ha “combattuto al fianco dei partigiani”. E più in generale per chi si è macchiato del più infamante dei gesti che si possano immaginare, in tempo di guerra: la resa ai nemici, la diserzione, il tradimentoSpecial Germans, li chiamano gli Alleati. Tedeschi e austriaci speciali, con traiettorie imprevedibili, come molto più spesso erano stati imprevedibili i percorsi di tutte le nazionalità da loro arruolate più o meno a forza: soprattutto cecoslovacchi, polacchi e sovietici di varie provenienze.

In quello stesso campo di prigionia – il lager 12 – erano infatti presenti diversi soldati della Wehrmacht che durante il conflitto avevano disertato, e si erano uniti alla Resistenza italiana. Alcuni dei loro nomi li sappiamo: il sottufficiale Karl Berger, il caporalmaggiore Oskar Blümel, il caporalmaggiore Erich Stey, il caporale austriaco Franz Maier. Dubito che abbiano conosciuto Rudolf, eppure qualcosa li univa. Innanzitutto il fatto che, a differenza di Quidde e della baronessa von Suttner, a loro nessuno avrebbe neanche mai pensato di dare un premio Nobel. Anzi. Il futuro avrebbe riservato, a quegli uomini, quasi solo sguardi e parole taglienti come quelli del comandante von Graffen – quasi solo disprezzo, e al massimo poche briciole di compassione. “Lui ha combattuto con loro”, avrebbero detto i concittadini, i parenti, gli amici: “Ha rivolto le armi contro di noi”.

 

Quando ti uccidono più volte, forse non sarai mai morto per davvero. Se hai dimostrato di saper essere un uomo protagonista del tuo tempo ma guidato da valori universali, che trascendono quel tempo stesso, il tuo nome resterà scolpito da qualche parte – nella memoria dei luoghi, in una lapide dimenticata, tra documenti accartocciati, nei sussurrii della gente del posto. Si dirà “lui aveva combattuto con i nostri. Lui, che era tedesco”. Si tramanderà un racconto, che così manterrà viva la tua storia, finché qualcuno non la spolvererà per raccontarla battagliando con l’oblio. Questo è quanto accaduto a chi, vestendo la divisa delle forze armate tedesche, ha saputo dire di no, seguendo non gli ordini liberticidi e criminali della “patria” ma la propria coscienza, pur sapendo che avrebbe potuto morire non una ma due volte. Se da un lato avrebbe potuto essere ucciso in battaglia, combattendo contro i suoi ex commilitoni e i loro alleati fascisti, dall’altro il suo nome – questo invece era pressoché certo – sarebbe stato a lungo cancellato dalla memoria pubblica del suo paese. Sarebbe stato complicato, anche se si fosse persa la guerra, celebrare i disertori, queste anime rinnegate che avevano scelto il lato giusto della storia, intralciando la cavalcata del Reich millenario per inseguire, al contrario, un altro ideale.

Già nella riedizione della prima grande narrazione della guerra partigiana di Roberto Battaglia, uscita postuma, sono inserite ex novo alcune pagine dedicate al tema su cui lo storico scrive in maniera pionieristica negli anni Sessanta. E tra gli stranieri che si unirono alla Resistenza ricorda anche i disertori dell’esercito tedesco (nati nel Reich o altrove), che appaiono “nelle file del movimento partigiano in quasi tutte le regioni del Nord”. Stiamo parlando di un nucleo numericamente non trascurabile anche secondo gli storici tedeschi che avrebbero proseguito questo filone di ricerca, arrivando a suggerire l’ipotesi che fossero centinaia. Come avrebbe sottolineato Claudio Pavone molto tempo dopo, si sarebbe addirittura tentato di costituire reparti composti integralmente da disertori della Wehrmacht, e le stime più aggiornate confermano le sensazioni dei primi storici della Resistenza: questi uomini capaci di scarti improvvisi e senza possibilità di ripensamento erano certamente svariate centinaia, questo è il dato dal quale devo e dobbiamo partire. E lo stesso vale per diversi altri teatri di guerra, come la Francia, la Jugoslavia e la Grecia (dove furono oltre mille), anche se in questi casi come in quello dell’Europa orientale è difficile raggiungere delle stime certe: va detto che le biografie a nostra conoscenza hanno raggiunto ormai da tempo, allargando lo sguardo al continente, un ordine complessivo quantificabile in diverse migliaia.

Per la sola 10a armata di stanza in Italia i dati disponibili parlano di 3.582 casi di diserzione e allontanamento non autorizzato, circa la metà dei quali di nazionalità tedesca o austriaca, e una parte considerevole di loro si unì al partigianato italiano – era uno stillicidio continuo, come rilevava la giustizia militare tedesca nel corso del conflitto. Schegge, in confronto a storie epiche confrontabili, come quella dei molti ex soldati italiani che si unirono alla Resistenza francese o greca, o come quella della Divisione partigiana Garibaldi, in Montenegro, dove 20.000 italiani prima appartenenti all’esercito fascista combatterono fianco a fianco ai partigiani locali, e tra i 6.500 e gli 8.500 di loro morirono per la libertà degli ex nemici. Ma schegge commoventi, che si fanno ossessionanti e irrompono brutalmente, con costanza, nei pensieri di chi studia questi anni. Schegge che, a un certo punto, non lasciano più scampo, e pretendono di essere indagate.

Un giovane studioso cui va il merito di essere stato il primo a provare a operare una ricognizione sistematica su questi disertori nella penisola, Francesco Corniani, ha osservato che in termini assoluti si tratta di un numero limitato, “se rapportato al milione di soldati circa dell’esercito tedesco che furono presenti tra il 1943 e il 1945 in Italia” – uno su mille, a spanne. Eppure l’esistenza di questa nutrita minoranza dimenticata, sulla quale non ha svolto “nessuna ricerca mirata” neanche la Commissione storica italo-tedesca (2009-2012), è un dato dal portato storico, civile, etico e simbolico strabiliante. Rivoluzionario. “Dopotutto, chi controlla i valori del mondo?”, chiede un commilitone di Walter Proska, il riluttante disertore del romanzo di impianto autobiografico di Siegfried Lenz, Der Überläufer, scritto nell’immediato dopoguerra ma uscito solo nel 2016: “Tu e tu soltanto”, si risponde.

L’aspetto più entusiasmante della storia, in fin dei conti, si cela nelle traiettorie biografiche dei suoi protagonisti, come l’archetipico Walter Proska, o come Rudolf. E, in questo caso più che in molti altri, si possono – si devono – ricostruire. Sapendo che saranno innumerevoli i vuoti, gli inciampi, le informazioni che vorremmo e che non potremo avere. Fin dalla riedizione del 1964 della Storia della Resistenza italiana di Roberto Battaglia il simbolo anche problematico, tra gli addetti ai lavori, di queste vite utopiche di veri e propri “partigiani dell’umanità” che scelsero il loro versante della lotta senza adagiarsi sui confini imposti alla nascita, è Rudolf, quell’uomo nato a Brema nella “crisi di luglio” del 1914. Ma chi era veramente? È possibile scoprirlo? E quali domande pone a noi oggi la sua parabola umana?

Per quelle inaspettate coincidenze che l’indagine del passato spesso ci fornisce, quell’uomo portava un nome, Rudolf, che molti anni dopo avrebbe raccontato una storia non accomunata solamente dall’omonimia. Una storia di un altro Rudolf, una storia diversa.

Ma – per gli interrogativi che scatena – non poi così tanto.

 

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