Per sconfiggere la Rivoluzione napoletana i Borbonici mangiavano il nemico

Quando l’esercito di Ferdinando IV entrò a Napoli nel 1799 le violenze culminarono in episodi di antropofagia. Dal tardo Medioevo al secolo d’oro olandese un saggio ripercorre decine di impressionanti massacri

Gianfranco Marrone | TuttoLibri | 11 settembre 2021

«Il bravo storico somiglia all’orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda».

Questa singolare analogia, che Marc Bloch lasciava cadere quasi per caso nella sua Apologia della storia, fa da epigrafe a un libro storiografico a sua volta singolare: per la materia che tratta, per come lo fa, per gli esiti cui conduce. Lo ha scritto Luca Addante, e per farlo ha avuto un coraggio, o se si vuole un fegato, non comuni. Per quale ragione? Sostanzialmente perché ciò che per Bloch era un azzardato termine di paragone in questo libro diviene serissimo oggetto di indagine. Di modo che lo storico non è più come l’orco che fiuta carne umana poiché diviene esso stesso qualcuno che, semmai, va alla ricerca di orchi: e non nell’immaginario fiabesco bensì nel concretissimo passato dell’Europa moderna. Là dove, a dispetto dei tabù e delle reticenze che l’hanno da sempre ammantata, l’antropofagia veniva praticata con una certa regolarità in paesi ed epoche anche molti lontani fra loro.

A lungo si è creduto che il cannibalismo fosse prerogativa dei popoli considerati selvaggi, di quegli «altri» che, anche per questo, occorreva «civilizzare», colonizzare, permeandoli dei nostri illuministici valori europei, di quelle magnifiche sorti e progressive che l’Occidente ha spesso usato come giustificazione dell’imperialismo. Essere selvaggio significava mangiare altri uomini, e praticare il cannibalismo significava essere selvaggio (ricordate il Venerdì di Defoe?). Niente di più facile da comprendere: niente di più fallace da sostenere. Non solo difatti esistono nel mondo molteplici forme di antropofagia (alimentare, politica, magica, rituale, terapeutica…) che, pur mescolandosi fra loro, mantengono comunque significati e funzioni differenti; inoltre, spiega Addante con estrema cautela filologica e inappuntabili prove, tutto ciò non è stato affatto una prerogativa esclusiva dei popoli «selvaggi», quelli studiati dagli antropologi (occidentali), ma anche della nostra civilissima Europa.

Per riprendere un noto titolo di Claude Lévi-Strauss, siamo tutti cannibali. Prendiamone atto, facciamocene una ragione, cercando magari di capire dove, come, quando e perché tutto questo ha avuto luogo. Oggetto specifico dello studio di Addante è la Repubblica napoletana del 1799, durante la quale, com’è poco noto, lo scontro fra le forze giacobine, sostenute dall’esercito napoleonico, e quelle controrivoluzionarie, a difesa del re Ferdinando IV di Borbone (il famigerato Re Lazzarone), fu particolarmente cruento, violento fino all’inverosimile, dove l’inverosimiglianza sta soprattutto, appunto, nei numerosi casi di cannibalismo che vi furono praticati. Napoli non era stata ancora conquistata dai Francesi e già le forze controrivoluzionarie s’erano organizzate. Da Palermo, dove s’era rifugiato già dall’anno precedente, Ferdinando ordina al cardinale Fabrizio Ruffo di Baranello di metter su un esercito per riprendere la capitale; Ruffo risale la Calabria e la Puglia alla volta di Napoli; la sua armata, nel tragitto, si ingrossa sempre di più di irregolari inferociti ai quali, in mancanza di meglio, viene promesso il libero saccheggio dei territori attraversati. L’esercito sanfedista, così battezzato dai suoi avversari, dilaga rapidamente. Ma la situazione sfugge di mano al cardinale, che non riesce a trattenere le brutali violenze, gli stupri continui, le distruzioni generalizzate, i maldestri furti dei suoi uomini. I quali, entrati a Napoli, fanno comunella coi cosiddetti lazzari, popolani sempre pronti a schierarsi in difesa dei loro secolari dominatori, e fanno man bassa di uomini e cose, senza sottilizzare fra giacobini, amici dei giacobini, presunti giacobini, semplici passanti, gente comune, tutti insieme indiscriminatamente colpevoli d’aver rovesciato l’amatissimo Re – lazzarone, si capisce, proprio per questo.

La Repubblica, proclamata il 21 gennaio del ‘99, cade così il 13 giugno dello stesso anno. Pochissimi mesi, cui precedono e seguono lunghi momenti di totale anarchia, dove la mancanza di qualsivoglia autorità, da un lato come dall’altro, lascia il popolo a briglia sciolta. Quel che colpisce è che non ci si limita a uccidere alla rinfusa migliaia e migliaia di persone, ma ci si accanisce sui loro corpi, con sevizie d’ogni sorta che Addante, appoggiandosi su numerose testimonianze d’epoca, descrive accuratamente. In questo contesto gli episodi di antropofagia sono numerosi: corpi lacerati, i pezzi distribuiti fra la folla, che ora li getta per la strada e ora, crudi o cotti, li ingoia con ferocia. Come gli orchi delle fiabe, ma questa volta nella vita vera, la carne umana viene mangiata: non certo per fame, sostiene l’autore, ma per puro spirito di vendetta. Una vendetta per certi versi politica, ritualizzata come un terribile mondo alla rovescia che, una volta rimesso a posto, verrà maldestramente rimosso dalle coscienze europee. Comprese quelle degli storici. Ma su cui adesso occorrerà riflettere a lungo: attendiamo altri libri del genere.

Scopri il libro:

Andrea Boitani racconta “L’illusione liberista”

«Mercato, impresa e capitale, lasciati a se stessi, hanno tanti difetti che devono e possono essere corretti. La correzione di quei difetti spetta necessariamente allo stato.»

Secondo l’ideologia liberista il mercato lasciato a se stesso crea le migliori opportunità e il maggior benessere per tutti. È un’illusione di cui Andrea Boitani critica le premesse economiche ed esplora le conseguenze etiche, sociali e politiche. In questo video, Boitani racconta il suo nuovo libro, L’illusione liberista.

Scopri il libro:

 

 

Le opere dell’uomo – Bari, 2021

LE OPERE DELL’UOMO

Ritorna al Teatro Petruzzelli di Bari
l’appuntamento con la Storia

 

> BIGLIETTI

> ABBONAMENTI DISPONIBILI ONLINE FINO AL 17 OTTOBRE

 

Ci sono opere collettive che restano nei secoli a testimonianza di una civiltà. Opere che possono unire, come una piazza e un tempio, ma anche dividere, come un muro. Opere dal forte valore simbolico, come una statua, ma anche gigantesche imprese organizzative ed economiche, capaci di mobilitare migliaia di persone.

Le Piramidi, il Colosseo, la Mezquita di Cordoba, Versailles, il Muro di Berlino saranno oggetto del nuovo ciclo delle Lezioni di Storia Le opere dell’uomo che si terrà al Teatro Petruzzelli di Bari (sempre di domenica alle ore 11.30) dal 10 ottobre al 5 dicembre 2021.

Prendendo spunto dalla storia della realizzazione di queste opere, 5 studiosi d’eccezione, autorevoli per rigore scientifico e brillanti per efficacia comunicativa, ricostruiranno l’origine di un’idea, il suo farsi concreto, la continuità – o le trasformazioni – della memoria.

In ogni lezione si proverà a comprendere ciò che tiene insieme storia, potere, denaro, cultura e consenso.

Aprirà il ciclo domenica 10 ottobre Giuseppina Capriotti Vittozzi con una lectio sulle piramidi egizie.  Andrea Giardina il 24 ottobre condurrà il pubblico tra gli spalti del Colosseo, uno straordinario osservatorio sulla storia politica, sociale e antropologica dell’antica Roma. Amedeo Feniello il 14 novembre racconterà della Mezquita di Cordoba, foresta di simboli e luogo di mille contrasti. Luigi Mascilli Migliorini il 28 novembre proporrà un affascinante cammino nelle sale di Versailles ripercorrendo le sue innumerevoli vite. Chiuderà il ciclo il 5 dicembre Carlo Greppi con una lezione sul Muro di Berlino, emblema di tutte quelle frontiere che negano la libera circolazione degli esseri umani.

Il ciclo Lezioni di Storia Le opere dell’uomo ideato dagli Editori Laterza, organizzato in coproduzione con la Fondazione Teatro Petruzzelli, con il patrocinio della Regione Puglia, è realizzato con il contributo del Comune di Bari e il sostegno di Exprivia, Masmec, Unicredit.

A dicembre, dopo la chiusura del ciclo, sono previsti due appuntamenti speciali: il 19 dicembre con Alessandro Barbero e Dante e la guerra, e il 29 dicembre con Mystery Train. Un viaggio nell’immaginario americano, una speciale lezione in musica.

 

Abbonamenti e biglietti per le singole lezioni sono acquistabili online su vivaticket.

 

PROGRAMMA

 

Domenica 10 ottobre 2021 – ore 11:30 – SOLD OUT

LE PIRAMIDI

Giuseppina Capriotti Vittozzi

 A metà del terzo millennio a.C. i faraoni impiegano ingenti risorse nella costruzione delle loro gigantesche tombe. Si viene formando un paesaggio sacro, coerente con una visione del mondo rivelatrice della civiltà egiziana.

Giuseppina Capriotti Vittozzi è capo del Centro Archeologico Italiano dell’Ambasciata d’Italia al Cairo

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Domenica 24 ottobre 2021 – ore 11:30 (inizio prevendite: 18 ottobre)

IL COLOSSEO

Andrea Giardina

 Nella Roma imperiale i cittadini si divertono allo spettacolo dei gladiatori che uccidono le bestie feroci, delle bestie feroci che uccidono i gladiatori, dei gladiatori che si uccidono tra loro. Quando entriamo in uno dei monumenti più visitati al mondo, ci ritroviamo in uno straordinario osservatorio sulla storia politica, sociale e antropologica dell’antica Roma.

Andrea Giardina è professore emerito della  Scuola Normale Superiore di Pisa

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Domenica 14 novembre 2021 – ore 11:30 (inizio prevendite: 8 novembre)

LA MEZQUITA DI CORDOBA

Amedeo Feniello

 Simbolo della lunga vicenda musulmana in Spagna, cominciata nel 711, la Mezquita di Cordoba racconta, ancora oggi, di innumerevoli vicende di contrasti e lotte, di filosofie e bellezze, di musulmani e cristiani. Un monumento che è esso stesso una foresta di simboli, in una città, a cavallo dell’anno Mille, tra le più splendenti del mondo.

Amedeo Feniello insegna Storia medievale presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi dell’Aquila

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Domenica 28 novembre 2021 – ore 11:30 (inizio prevendite: 22 novembre)

VERSAILLES

Luigi Mascilli Migliorini

 Nata come vigoroso progetto politico capace di imporre l’autorità della monarchia su una Francia feudale, Versailles è condannata ad essere il segno di battaglie del potere. Devastata dai rivoluzionari, ‘snobbata’ da Napoleone, quartier generale dei prussiani durante l’assedio di Parigi, conosce un nuovo momento di gloria quando – nella celebre Galleria degli Specchi – ospita la firma della pace che chiude la Prima guerra mondiale.

Luigi Mascilli Migliorini è docente di Storia moderna presso l’Università di Napoli L’Orientale

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Domenica 5 dicembre 2021 – ore 11:30 (inizio prevendite: 29 novembre)

IL MURO DI BERLINO

Carlo Greppi

Inizialmente un’opera rudimentale ad altezza uomo, il Muro di Berlino è raccontato come un atto di difesa necessario, ma in realtà si rivolge fin da subito contro gli abitanti della Germania Est. Il testimone passerà idealmente alle democrazie liberali, uscite ‘vincenti’ dalla guerra fredda, che dagli anni Novanta daranno continuità alla pratica messa in atto dalla DDR, negando la libera circolazione.

Carlo Greppi è storico, scrittore e dottore di ricerca in studi storici

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Domenica 19 dicembre 2021 – ore 11:30 (inizio prevendite: 8 dicembre)

LEZIONE DI STORIA SPECIALE

DANTE E LA GUERRA

Alessandro Barbero

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Mercoledì 29 dicembre 2021 – ore 20:30 (inizio prevendite: 8 dicembre)

LEZIONE IN MUSICA

MYSTERY TRAIN. UN VIAGGIO NELL’IMMAGINARIO AMERICANO

Con Alessandro Portelli, Gabriele Amalfitano, Margherita Laterza e Matteo Portelli

 

Legenda. Libri per leggere il presente

Legenda è uno sguardo rapido ai fatti che hanno scandito la settimana e un invito a leggere il presente togliendo il piede dall’acceleratore.

Legenda è un tentativo di legare il mondo che corre alle parole che aiutano a capirlo.

 

Referendum. Al centro del dibattito lo straordinario successo della raccolta firme per il referendum cannabis, anche in virtù della nuova modalità di sottoscrizione con firma elettronica qualificata introdotta a luglio 2021.

«Sulla Stampa l’ex presidente della corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha ricordato che la raccolta delle firme è sempre stata un “un momento di discussione e partecipazione” e che faceva parte “del dibattito preliminare al voto sul merito della proposta referendaria”», ricostruisce Alessandro Calvi su Internazionale . «Il rischio, insomma, come anche altri hanno osservato, è di andare verso una democrazia meno consapevole. Inoltre, come ha scritto Andrea Fabozzi sul Manifesto, con la firma online “anche la proposta più demagogica e persino illegittima potrebbe incrociare la corrente ascensionale della rete”. Infine, secondo molti un eventuale eccesso di democrazia diretta, al di là della qualità delle proposte, sarebbe di per sé in grado di minare la legittimazione del parlamento.

D’altra parte, l’ampliamento della partecipazione che il progresso tecnologico consente “è sempre auspicabile se vogliamo essere buoni democratici”, ha osservato l’ex giudice della corte costituzionale Sabino Cassese in un’intervista al Mattino, tanto più che sulla corretta applicazione delle nuove norme, fa notare ancora Cassese, “si pronuncerà la corte di cassazione prima del controllo della corte costituzionale. Quindi vi è la sicurezza che vengano rispettate le norme”. E lo stesso si può dire in generale per l’intero meccanismo referendario. […] Alla fine per molti il tema è anche quello del populismo. Tuttavia, il collegamento tra populismo, delegittimazione delle camere e referendum non esaurisce la realtà. Semmai, sarebbe utile riflettere anche sulle ragioni che hanno eroso il terreno sotto i piedi di parlamento e forze politiche. E non da oggi.»

→ Rodotà, Il diritto di avere diritti
→ Azzariti, Diritto o barbarie
→ Ferrajoli, La costruzione della democrazia
→ Gentile, In democrazia il popolo è sempre sovrano – Falso!
→ Crouch, Combattere la postdemocrazia

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Morti bianche. Secondo Adnkronos, le denunce di “infortunio sul lavoro con esito mortale” presentate all’Inail nei primi otto mesi del 2021 sono state 772.

→ Fana, Non è lavoro, è sfruttamento

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Sinistre. Le elezioni di domenica scorsa in Germania hanno visto la SPD primo partito, con il 25,7% dei voti.

Il Riformista ha intervistato Massimo L. Salvadori sul rapporto tra sinistra europea e sinistra italiana. Il professore è autore, tra l’altro, di Democrazie senza democrazia, che Luciano Canfora ha definito “il punto di arrivo della riflessione di uno storico che ha dato le sue migliori prove in vari ambiti della ricerca riconducibili alla questione, centrale e dominante, del senso e del contenuto della moderna democrazia politica”.

→ Salvadori, Democrazie senza democrazia

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John Lennon. Secondo la Bbc, a Copenhagen è stata venduta all’asta per più di cinquantamila dollari una cassetta audio, registrata da John Lennon e Yoko Ono, che potrebbe contenere un brano inedito.

→ Assante-Castaldo, Beatles
→ Banti, Wonderland
→ McMillian, Beatles vs Stones

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Leggere in carcere.

Su Doppiozero si parla di libri e carcere, un rapporto reso più complicato dal Covid-19 e dall’inaccessibilità delle biblioteche.

«Ho sempre pensato che il carcere fosse un luogo molto compatibile con la lettura, visto il molto tempo a disposizione e le poche distrazioni. Ho capito che non è esattamente così quando ho cominciato a lavorarci. Di tempo ce n’è effettivamente tanto, tantissimo, addirittura troppo, ma mentre nella vita quotidiana è spesso la mancanza di tempo a impedire o rallentare le nostre letture, in carcere sono altre le cose che mancano. Innanzitutto il silenzio, sia dentro le celle, dove i detenuti vivono perlopiù insieme, in spazi angusti, spesso con il televisore sempre acceso e con ritmi imposti da una convivenza forzata che livella le esigenze di ciascuno; sia fuori, nei bracci delle sezioni, dove sbattono porte e blindi, rimbombano i carrelli metallici che trasportano il cibo o la biancheria sporca, risuonano le voci di agenti e detenuti che ne chiamano altri. Insomma, il silenzio prolungato necessario a un’adeguata concentrazione per la lettura è una condizione rara, così come era raro trovare un libro da leggere nel pieno della pandemia. Un altro ostacolo alla lettura è infatti legato alla difficoltà di reperire i libri, o alcuni libri in particolare, soprattutto per i detenuti che non possono contare su chi glieli fornisca dall’esterno, e con l’inizio della pandemia, in seguito alla sospensione dei colloqui con i familiari, nessuno poteva contarci. Certo, ci sarebbero state le biblioteche.»

→ Bortolato-Vigna, Vendetta pubblica
→ Di Paolo, Vite che sono la tua

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Una nuova forma di cosmopolitismo.

Su Sette, il settimanale del Corriere della Sera, Leonardo Caffo intervista Lea Ypi, autrice di Stato e avanguardie cosmopolitiche.

« Nel suo libro parla di una forma nuova di cosmopolitismo. Che spazio c’è fuori dalla filosofia,
nella politica reale, per agire in tal senso?

Serve realismo, ma non dobbiamo essere aggrediti dalle emergenze e delle ansie, dobbiamo lavorare con calma a favore di questo progetto. Cosmopolitismo significa introdurre negli Stati nazionali discorsi che eccedono lo Stato nazionale, ma usando gli strumenti giuridici che gli stessi Stati ci offrono. Non è dunque restare in un campo concettuale, bensì operare davvero nel mondo complessissimo della politica reale: il trucco è cercare meccanismi politici locali per ragionare non localmente. Operare una sintesi tra realismo e idealismo filosofico, operare cioè con ragionamenti che possono farci leggere conflitti globali a partire da situazioni nazionali […]».

→ Ypi, Stato e avanguardie cosmopolitiche

 

Ritorno dall’esilio

Gian Luca Favetto | il venerdì – la Repubblica | 3 settembre 2021

Che cos’è la poesia? È quella ricerca, quella traduzione del sentire in un’altra forma, che muove: smuove anche da fermi. È un suono, un senso che si fa pensiero; sono parole che generano immagini e mettono in movimento, un movimento interiore che poi diventa andare: verso le cose e le persone, dentro i sentimenti, a cavallo delle emozioni.

Se si vuole andare dalla A alla Z della poesia italiana, la cosa più semplice in questa fine estate è andare in Friuli, a Pordenone. Tra meno di due settimane. Fra il 15 e il 19 settembre. Prendersi un paio di giorni per abitare quella festa del libro con gli autori che è Pordenonelegge, giunta alla XXII edizione. Lì si potrà viaggiare da Dante Alighieri fino ad Andrea Zanzotto. Da un lato, ci si unisce alle celebrazioni del 700° anniversario del grande fiorentino; dall’altro, arrivano al culmine le manifestazioni dedicate al poeta veneto nel centenario della nascita, 10 ottobre 1921, un lungo omaggio cominciato a marzo nel suo paese natale, Pieve di Soligo, 11 mila abitanti in provincia di Treviso, nel cuore del territorio del Prosecco.

La sezione del Festival dedicata alla poesia va “Dai maestri al futuro”. E due grandi maestri, senza i quali non ci sarebbe futuro, sono proprio Dante e Zanzotto, di cui a ottobre ricorre anche il decimo anniversario della morte. Con la loro opera rimangono saldi nel presente della nostra poesia, della nostra letteratura. E vale la pena leggerli, rileggerli. Il padre Dante forse non ne ha bisogno, ma Andrea Zanzotto, «il più importante poeta italiano dopo Montale», come lo definiva il critico Gianfranco Contini, ha certo bisogno di essere scoperto o riscoperto. Uno che di sé dice: «Da un eterno esilio/ eternamente ritorno». Merita di non rimanere esiliato negli scaffali degli accademici.

Pordenonelegge gli rende omaggio attraverso un incontro e la presentazione di tre libri in uscita questo mese. Si comincia mercoledì 15 con Zanzotto 100, dedicato alla eredità del poeta. L’idea è di Andrea Cortellessa, che porta sul palco quattro poeti contemporanei (Stefano Dal Bianco, Giovanna Frene, Nicola Gardini, Marco Munaro) e li spinge a confrontarsi con il pensiero e la lezione formale di Zanzotto. Nei giorni seguenti, poi, vengono presentati la monografia Zanzotto. Il canto della terra edita da Laterza e scritta proprio da Cortellessa, nonché due volumi ricchi di inediti pubblicati da Mondadori: Andrea Zanzotto, Traduzioni Trapianti Imitazioni a cura di Giuseppe Sandrini, e Andrea Zanzotto, Erratici. Poesie disperse e altre poesie 1937-2011 a cura di Francesco Carbognin e Simona d’Orazio.

«Sin dalle prime edizioni Zanzotto è il nostro nume tutelare», dice Gianmario Villalta, poeta, scrittore, insegnante, dal 2002 direttore artistico di Pordenonelegge, co-curatore del Meridiano Mondadori dedicato all’autore di Pieve di Soligo. «Non si deve pensare che alla prima lettura dei suoi versi portiamo a casa tutto» avverte. «Per conoscerlo veramente, bisogna evitare di lasciarsi impressionare dalla sua perizia e peculiarità linguistica. Bisogna abbandonarsi alla sua grande libertà e cercare nei versi le semplici cose di cui parla, i fatti legati alla sua vita che uniscono le vite di tutti». Seguire il suo sguardo, tener dietro alla sua voce. È così che puoi rimanere sorpreso dal suono sottile di una chiocciola che mangia una foglia o vedere una pioggia che cancella l’orizzonte o sentire il rumore della neve che cade.

Per riassumerlo senza pretesa di classificarlo, si può dire che Zanzotto sia il poeta del paesaggio, della natura («Che grande fu/ poterti chiamare Natura/ ultima, ultime letture/ in chiave di natura, su ciò che fu detto natura/ e di cui sparì il nome»). Anche della reinvenzione della lingua, attraverso un trevigiano rustico, lingua della memoria che diventa strumento di visioni e interpretazione della realtà. «C’è in lui la dimensione dell’idillio con la natura» nota Villalta, «sempre disturbato però dalla violenza della guerra, dalle ingiustizie sociali e civili, da ciò che l’uomo produce. Si tratta di accogliere la reciproca donazione fra uomo e natura, di rifiutare quel rapporto di padronanza, sfruttamento e visione catastale che si è purtroppo generato. Su questo Zanzotto si confronta con Leopardi, Heidegger, Lucrezio, naturalmente con Dante». In fondo, è dall’incontro-scontro fra uomo e natura che si genera cultura.

A Dante, di cui è profondo conoscitore, è legata la sua intera opera, suddivisa in una dozzina di raccolte, da Dietro il paesaggio, primo significativo titolo uscito nel 1951, a La Beltà (1968), da Il Galateo in Bosco (1978) a Idioma (1986), da Sovrimpressioni (2001) a Conglomerati (2009). Nel settembre del 2011, poi, un mese prima che Zanzotto muoia, Mondadori pubblica l’Oscar con tutte le poesie. Sono 1200 pagine di scoperte, giochi verbali, approfondimenti, divertimenti, sperimentazioni, illuminazioni, lingua e dialetto, sogno e realtà, uomini e paesaggi, erudizione e quotidianità. Poesia colta e popolare. Difficile. Perché la comunicazione poetica, sosteneva Zanzotto, non è immediata. Passa attraverso impulsi sotterranei, fonici, ritmici. Il fatto nuovo della poesia, diceva, è frutto di attrito, resistenza, sforzo, fatica del sentire e della lingua, che è pur sempre «lode e collaudo del mondo».

Uno degli ultimi componimenti si intitola Parola, silenzio. Comincia così: «Siccome un bel tacer non fu mai scritto/ un bello scritto non fu mai tacere./ In ogni caso si forma un conflitto/ al quale non si può soprassedere». Dopo una seconda quartina, che parla del pro e del contro e gioca con ossimori e manfrine, l’ultimo verso è un beato sorriso: «Sì parola, sì silenzio: infine assenzio». Che fa il paio con un’altra accorata invocazione tutta zanzottiana: «Mondo, sii, e buono;/ esisti buonamente». Più che una preghiera, una necessità.

 

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Giuseppe Mendicino racconta “Mario Rigoni Stern”

“Il gioco di luci e ombre sulle pareti della sua camera ricoperte di brina, riflesso dei bagliori che la stufa di cotto emanava dalle prese d’aria, è uno dei primi ricordi di Mario. Le fiamme si riverberavano sul muro umido di galaverna, che allora, nelle notti più fredde, si cristallizzava anche all’interno delle case. Le pareti della stanza scintillavano come un cielo stellato e lo scoppiettio della legna gli faceva compagnia nelle lunghe sere invernali. Fuori fioccava la neve e, dalla piazzetta sotto casa, salivano a tratti canti natalizi. Accanto a quella stufa, prima di cena, la zia del nonno, Marietta, raccontava ai suoi pronipoti leggende di draghi e di fate, di orsi e di cervi, mescolando alcune parole in cimbro, dal suono evocativo, che aggiungevano magia a quelle fiabe.

[…] D’inverno il freddo è intenso e a volte, nella Piana di Marcesina o in certe doline, la temperatura è tra le più basse d’Italia. L’altipiano è privo di rilievi svettanti e di ghiacciai: la montagna più alta, Cima XII, raggiunge i 2.336 metri; la più nota, perché teatro di una sanguinosa battaglia durante la Grande Guerra, l’Ortigara, i 2.106 metri. Sono cime che disegnano curve morbide contro il cielo, si salgono, non si scalano. È un ambiente montano del tutto particolare, per l’estensione di boschi, alpeggi e pascoli, per la luce radente e i colori, per gli orizzonti lontani sulle Dolomiti di Brenta, sulle Alpi del Cevedale, sul Lagorai, sulle Pale di San Martino, e anche sulla laguna di Venezia nei giorni di cielo terso. «Così ampio, con questi boschi e queste colline sopra la pianura veneta, così a picco e così isolato, eppure così aperto e così largo, questo paesaggio ce lo portiamo dentro: non aspro come una montagna, ma dolce e malinconico, denso».

Mario nasce il 1° novembre del 1921 ad Asiago, un paese ancora profondamente ferito dalla guerra, situato a mille metri di altitudine nel cuore dell’Altipiano dei Sette Comuni.”

Mario Rigoni Stern è stato uno dei più grandi scrittori del 900 italiano, ma anche molto di più. Il sergente che guida i suoi uomini attraverso le steppe russe fino alle baite di casa. L’eterno esploratore dello splendido altipiano di Asiago, dove le meraviglie della natura convivono con le tracce dell’opera distruttrice dell’uomo in guerra. Il grande narratore che ha saputo restituire dignità letteraria alla vita degli umili e dei dimenticati dalla storia. Questo è stato Mario Rigoni Stern.

Mario Rigoni Stern. Un ritratto, il nuovo libro dello scrittore Giuseppe Mendicino, ce lo racconta ‘in parte intera’ a un secolo dalla sua nascita.

 

 

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“Sì ai brevetti liberi ma anche più dosi per i Paesi poveri”

Francesco Manacorda | la Repubblica | 7 maggio 2021

Esther Duflo insegna al Massachussets Institute of Tecnology, a Boston. A soli 47 anni, nel 2019, è diventata il più giovane premio Nobel per l’Economia nella storia per i suoi studi sperimentali sulla povertà. L’assenza di solidarietà dell’Occidente verso i Paesi poveri di fronte alla pandemia — dice l’economista di cui in questi giorni uscirà per Laterza Lottare contro la povertà — la lascia esterrefatta: «Non so come facciano i leader mondiali a guardarsi ancora allo specchio».

Professoressa, Biden che chiede la sospensione temporanea dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini va nella giusta direzione?

«Sì, mi pare una buona cosa. Non sappiamo ancora se porterà alla sospensione di quei diritti, ma di sicuro aumenta la pressione sulle società farmaceutiche e le spinge a trattare e a condividere i loro brevetti. Segnala il primo vero, grande passo fatto dagli Stati Uniti e dall’Europa. È vero, per ora sono solo parole, ma sono parole con un peso».

Solo parole, dice lei. E nei fatti l’Occidente come si è comportato verso il mondo più povero?

«Ogni Paese si è richiuso in se stesso, fatta salva la collaborazione all’interno dell’Unione europea. Ciascuno ha prima chiuso le frontiere e poi ha evitato di aiutare i Paesi più poveri. Il risultato è che i Paesi ricchi hanno stanziato circa il 20% del loro Pil per aiutare le economie nazionali, quelli poveri solo il 2%. Si può pensare che all’inizio della pandemia ciascun Paese fosse atterrito e si può forse capire il loro restare immobili. Ma poi, con l’arrivo dei vaccini, è successa la catastrofe».

Cioè?

«È stata creata subito Covax, grazie a organizzazioni internazionali e a individui come Bill Gates, per dare i vaccini ai Paesi poveri. Ma poi a Covax sono state consegnate meno di 50 milioni di dosi invece dei due miliardi di dosi almeno che erano necessarie».

Qualcuno le direbbe che è normale che in una pandemia ciascun Paese pensi a se stesso…

«Mostrando una miopia senza precedenti. Lo sforzo economico per aiutare i Paesi poveri sarebbe stato irrisorio: per far arrivare in quei Paesi 2 miliardi di dosi di vaccini ci vorrebbero 29 miliardi di dollari. Diciamo pure che ci vogliano 4 miliardi di dosi, con una spesa di poco superiore ai 50 miliardi. Ci rendiamo conto di quanto poco siano rispetto alle migliaia di miliardi che i soli Stati Uniti stanno mettendo nel loro piano di ripresa?».

Mancanza di solidarietà, dunque.

«Ma anche scarsissima lungimiranza. Quel che sta accadendo in India è una catastrofe umanitaria, non un problema dell’India o dell’Asia, ma del mondo. Quei 300 mila casi al giorno significano varianti diverse e più difficili da combattere, che sono già presenti in Europa. E chi ci assicura che ora non accadrà lo stesso in Africa?».

Come si spiega quanto sta succedendo nelle dinamiche tra Paesi ricchi e poveri?

«Non me lo spiego. Tutte le belle parole che si potevano dire sono state dette. “Siamo tutti nella stessa barca”. “Aiutare i Paesi più poveri è un imperativo morale”. L’hanno detto Biden, Merkel, Macron. E poi non hanno fatto nulla. E incredibile la distanza tra le parole e i fatti, un fallimento morale senza precedenti. I governi e le opinioni pubbliche dei Paesi più ricchi sono evidentemente così concentrati sul loro ombelico da non capire la portata globale della crisi».

Che eredità ci lascia la pandemia?

«Almeno due conseguenze. La prima è un’attitudine differente sul ruolo che possono avere i governi nell’affrontare emergenze. Si è capito che di fronte a episodi come questo c’è bisogno di governi forti per imporre lockdown e aiutare i cittadini. La seconda conseguenza, ancora da verificare, è una presa di coscienza generale dei rischi climatici. La pandemia è una catastrofe ambientale annunciata dalla scienza, ma a cui nessuno aveva prestato attenzione. Succede lo stesso per la crisi climatica, che adesso potrebbe essere più concreta ai nostri occhi. Ma anche in questo caso il comportamento dei Paesi ricchi sarà stato dannoso».

Perché?

«Abbiamo dimostrato che i governi possono essere forti e solidali, ma che la solidarietà si ferma ai confini nazionali e perché per combattere i cambiamenti climatici con accordi internazionali avremo bisogno anche dei Paesi più poveri. Dopo che ci hanno visto dire una cosa e fare l’esatto contrario non penso che si fideranno molto dei nostri impegni».

 

Scopri il libro:

L’Italia e i cervelli in fuga: G. Pastorella racconta “Exit only”

«Sono stufa del fatto che l’opinione pubblica e i politici considerino noi cervelli in fuga o privilegiati traditori o disgraziati vittime delle circostanze. Vorrei che questo libro facesse breccia nell’immaginario comune contribuendo a costruire una nuova narrazione

La storia della generazione perduta di talenti è davvero come la raccontano? L’Italia è colpita dal fenomeno dei cervelli in fuga quanto gli altri grandi paesi europei ma con alcune evidenze preoccupanti che rendono la situazione più drammatica, come l’accelerazione dell’emigrazione qualificata negli ultimi dieci anni e la scarsità di laureati prodotti dal nostro sistema educativo. Gli effetti negativi della fuga di cervelli sono particolarmente evidenti quando, come nel caso dell’Italia, tende a essere una fuga unidirezionale.

Anziché dare la colpa ai cosiddetti ‘cervelli in fuga’ bisogna comprendere e sanare le condizioni che ne causano la fuga e, soprattutto, che rendono l’Italia una meta non attrattiva per i talenti di altre nazionalità.

Exit only, di Giulia Pastorella, si propone di sfatare alcuni miti, indagare il fenomeno da una prospettiva internazionale più ampia e dare voce a chi è partito, grazie alle testimonianze raccolte dall’autrice.

 

Questo libro è prezioso, necessario, urgente. È ora che dell’emigrazione qualificata, dall’Italia verso il resto del mondo, si discuta in modo serio e senza stereotipi.
Dalla Prefazione di Federico Rampini

 

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L’egoismo non è razionale: critica dell’ideologia di mercato

Secondo l’ideologia liberista il mercato lasciato a se stesso crea le migliori opportunità e il maggior benessere per tutti. È un’illusione di cui questo libro critica le premesse economiche ed esplora le conseguenze etiche, sociali e politiche. Qui un estratto dal nuovo libro di Andrea Boitani, L’illusione liberista.

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Caro Professore,

abbiamo letto il suo articolo sul Sole 24 Ore dedicato ai guasti dell’egoismo razionale dell’8 dicembre 2017 e ne siamo rimasti incuriositi e interessati. Uso il plurale perché le scrivo a nome di un gruppo di lettura e discussione, che si occupa di cultura economica e finanziaria. Ci piacerebbe molto se lei potesse venire un pomeriggio da noi per sviluppare quello che sul Sole ha accennato e rispondere alle nostre domande.

Le anticipo che non tutti sono d’accordo che l’egoismo razionale presenti dei seri problemi etici per l’economia e le altre scienze sociali. Alcuni di noi si dicono convinti che si tratti di una ipotesi pienamente fondata e che, anzi, aiuti a capire i comportamenti umani in generale e soprattutto quelli dei politici, che a tanti sembrano molto più interessati ai propri vantaggi privati che al bene comune. Certo, pochi dei nostri associati sono disposti a seguire gli economisti quando cercano di spiegare coi loro strumenti i comportamenti criminali o il matrimonio. Ma anche tra chi non è disposto mi sembra che l’opinione più diffusa sia che queste escursioni degli economisti in altri campi della conoscenza siano tutto sommato innocue provocazioni. Quindi, se accetterà il nostro invito (come mi auguro), deve aspettarsi un dibattito aperto e assai vivace.

Molto cordialmente,
Glauco Mentore

La prospettiva di discutere in piena libertà mi fece accettare subito l’invito del gruppo di Glauco Mentore. Cominciai a lavorare per irrobustire i miei argomenti, cercando più fili da aggiungere e annodare all’esile trama imbastita per il quotidiano. Dopo tre o quattro mesi mi presentai all’incontro (all’epoca gli incontri erano ancora “in presenza”) con un testo un po’ più ampio di quello apparso sul Sole 24 Ore. La discussione che venne fuori fu davvero interessante (almeno per me) e presi parecchi appunti. Grazie ai quali rielaborai quel canovaccio per pubblicarlo poi nella rivista Vita e Pensiero (2019) col titolo “Egoismo ed empatia nelle scienze sociali”. Su molti temi c’erano ancora esili ponti di corde sospesi sul vuoto. In questo capitolo voglio consolidare qualche passaggio e andare un po’ più in profondità. Spero che lo sforzo di astrazione che la lettura di queste pagine richiede qua e là sia compensato dalla soddisfazione di arrivare al nucleo più profondo e problematico dell’ideologia di mercato.

Bene chiarire subito cosa intendo per “egoismo razionale” e quale sia il mio punto di vista in proposito. Un comportamento egoista è motivato esclusivamente dall’interesse personale, sia che quell’interesse sia misurato in termini di profitto ricavato da un’attività produttiva, di rendimento derivante da un certo impiego finanziario, di soddisfazione (o utilità) per il consumo di un insieme di beni e servizi, ecc.

Il comportamento è poi razionale se il nostro soggetto egoista, tra le tante alternative possibili di consumo, produzione o impiego finanziario, sceglie sempre quella che rende massimo il suo tornaconto, ignorando le conseguenze delle sue scelte per il resto del mondo, salvo che le sue azioni non mettano in moto reazioni che possano in qualche modo danneggiarlo (o favorirlo). L’egoismo razionale è la materia di cui è fatto l’uomo economico, quel “mammifero sgradevole” che popola i modelli degli economisti e che questi usano per spiegare fatti e fenomeni dell’economia, e poi anche fatti e fenomeni sociali un tempo ritenuti molto al di fuori del campo di studi dell’economia.

In questo capitolo cerco di convincere i lettori della bontà di cinque idee che mi stanno a cuore:

1) l’egoismo razionale non è una visione del comportamento umano riconducibile al padre fondatore dell’economia, Adam Smith, come molti economisti hanno voluto far credere per darsi un pedigree rispettabile;

2) l’esistenza e il buon funzionamento del mercato non si basano tanto sull’egoismo quanto sulla fiducia, che a sua volta è figlia dell’empatia e della natura di “animale sociale” dell’essere umano;

3) ci sono moltissimi e seri dubbi che anche nelle scelte economiche più elementari gli umani di carne e ossa agiscano come uomini economici, e, quindi, ipotizzare che lo facciano condurrebbe le imprese e gli investitori a previsioni e a decisioni sbagliate (con conseguenti perdite di soldi), per non parlare degli errori di previsione in cui cadrebbero (e in cui sono veramente caduti) gli economisti;

4) l’imperialismo degli economisti, fondato sull’esportazione dell’uomo economico in altre scienze sociali e nella politica, ha fatto danni, conducendo sia a gravi errori di interpretazione e previsione, sia a un significativo degrado dello “spirito pubblico” nell’attività politica;

5) la congiunzione dell’egoismo razionale con la trasformazione di tutte o quasi le cose buone della vita in merci che si possono vendere e comprare rischia di guastarle, di stravolgerne e corroderne il senso e il valore.

Meglio, molto meglio, se il mercato rimanesse il principale luogo (certamente non l’unico) in cui si organizzano e coordinano le molteplici attività di produzione e allocazione dei beni e servizi materiali. Un luogo in cui non operano egoisti uomini economici ma esseri umani, mossi da motivazioni complesse, che hanno radici tanto nell’interesse personale, quanto nell’empatia, nella lealtà, nel desiderio (e forse bisogno) di cooperazione. Per fortuna alcuni economisti – con l’aiuto di psicologi sperimentali, di sociologi e di filosofi morali – si sono incamminati su questa strada con risultati promettenti. A presidiare il fortino dell’egoismo razionale e dell’ideologia di mercato sono però ancora in tanti.

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Francesca Nava vince il Premio Estense 2021

Francesca Nava è la vincitrice della 57esima edizione del Premio Estense. Il verdetto è arrivato alla terza votazione, con 27 preferenze, e ha messo d’accordo la giuria tecnica presieduta da Guido Gentili e quella popolare, riunite al Teatro Comunale di Ferrara.

Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale è un libro che mette in crisi le ricostruzioni ufficiali di autorità sanitarie e decisori politici. Ma anche il racconto di uomini e donne che non ci sono più a causa del Covid e di scelte non fatte o fatte troppo in ritardo.

“Sono felice ed emozionata per questa vittoria che mi onora moltissimo. Ho scelto di raccontare quattro storie emblematiche di morti da Covid nella bergamasca. Tutte fondamentali per mettere a fuoco quelle che considero le reali criticità del sistema. Sono quelle di Claudio, Marisa, Manuel e Giuseppe: persone dai 40 agli 80 anni. Il racconto del loro calvario e di quello vissuto dai loro famigliari mi ha lacerato a tal punto da non farmi dormire la notte. Una di queste riguarda una parte della mia famiglia: è la storia di Manuel, 47 anni, padre di tre figli, infettatosi sul lavoro a inizio marzo. Morto nel giorno della Festa del Papà. L’ho scritta piangendo di rabbia”.

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