Come suona la Storia?
Oggi la Storia è tornata a essere un campo di battaglia.
Vere e proprie fake news storiche impazzano sui social network e la politica spesso utilizza il nostro passato per fomentare politiche d’odio. In questa riscrittura della Storia, per fare degli esempi, i campi di concentramento non sono mai esistiti, gli italiani sono sempre stati ‘brava gente’ e vittime dello straniero, i partigiani tutti avventurieri spregiudicati.
È tempo di opporre a queste falsificazioni strumentali le verità che la Storia, con la sua ricerca e i suoi strumenti, ha individuato. Ed è importante che a farlo siano anche storici delle nuove generazioni, che più sentono la responsabilità della conoscenza del nostro passato, per la costruzione del mondo che verrà.
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Patria dei misteri. Terra delle mezze verità. Luogo di omertà e silenzi impenetrabili. È davvero questa l’Italia? Oppure negli anni giudici, giornalisti e poi storici sono riusciti, in mezzo a mille ostacoli e a mille difficoltà, a ricostruire, tessera dopo tessera, la verità sulle stragi che hanno insanguinato la nostra penisola?
Benedetta Tobagi, scrittrice e storica, collabora con “la Repubblica” ed è stata conduttrice radiofonica per la Rai. Si occupa di progetti didattici e formazione docenti sulla storia del terrorismo con la Rete degli archivi per non dimenticare. Tra le sue pubblicazioni: per Einaudi Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre (2009), Una stella incoronata di buio. Storia di una strage (nuova edizione 2019), Piazza Fontana. Il processo impossibile (2019), La Resistenza delle donne (2022, Premio Campiello 2023) e Segreti e lacune. Le stragi tra servizi segreti, magistratura e governo (2023); per Rizzoli La scuola salvata dai bambini. Viaggio nelle classi senza confini (2016).
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C’è un’alternativa tra accettare passivamente o distruggere per sempre le statue che, nello spazio pubblico, rendono visibile un pantheon di eroi e di esempi?
Esistono statue ‘giuste’? E quali sono?
Tomaso Montanari è professore ordinario di Storia dell’arte moderna presso l’Università per Stranieri di Siena, della quale è rettore. È presidente della Fondazione Museo Ginori e presidente onorario dell’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli. Scrive su “il Fatto Quotidiano”, “il venerdì di Repubblica” e “Altreconomia”. Tra le sue più recenti pubblicazioni: Costituzione italiana. Articolo 9 (2018) per Carocci; Dalla parte del torto. Per la sinistra che non c’è (2020) e Eclissi di Costituzione. Il governo Draghi e la democrazia (2022) per Chiarelettere; Chiese chiuse (2021) e Se amore guarda. Un’educazione sentimentale al patrimonio culturale (2023) per Einaudi.
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L’‘ideologia gender’ minaccia la nostra società! Confonde l’identità e le menti dei nostri figli, mette a repentaglio l’ordine naturale delle cose, quello che distingue in maschi e femmine! Ma davvero esiste un progetto globale per renderci tutti ‘fluidi’? Dove nasce l’ossessione per le questioni di genere e gli orientamenti sessuali non conformi? E quali sono le fratture politiche che si nascondono dietro a questi temi?
Laura Schettini è ricercatrice in Storia contemporanea presso l’Università di Padova, dove insegna anche Storia delle donne e di genere. È stata membro del direttivo nazionale della Società italiana delle storiche, è redattrice della rivista “Genesis” e collabora con l’Istituto dell’Enciclopedia Treccani come autrice, redattrice e consulente. Tra le sue pubblicazioni Il gioco delle parti. Travestimenti e paure sociali tra Otto e Novecento (Le Monnier 2011, premio Sissco 2012), La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI) (a cura di, con Simona Feci, Viella 2017) e Turpi traffici. Prostituzione e migrazioni globali 1890-1940 (Biblink 2019 e Viella 2023, premio Gisa Giani 2020-2021).
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Stiamo lasciando volontariamente aperte le porte della nostra civiltà ai barbari, dimenticando le nostre radici greche e romane? O forse siamo noi i barbari, quando utilizziamo il nostro passato per giustificare il peggio della nostra civiltà?
Ecco un piccolo ‘libro nero’ sull’uso politico dell’antichità, che ci aiuta a comprendere cosa c’è di vivo e cosa c’è di morto nel nostro legame con i Greci e i Romani.
Giusto Traina insegna Storia romana a Sorbonne Université. Si occupa attualmente di storia militare e geopolitica antica, in particolare dei rapporti tra Roma e l’Oriente. Per Laterza ha pubblicato: La tecnica in Grecia e a Roma (1994); 428 dopo Cristo. Storia di un anno (2007, tradotto in quattro lingue); La resa di Roma. 9 giugno 53 a.C., battaglia a Carre (2010, vincitore del Premio Cherasco Storia 2011); Il piccolo Cesare nella collana per ragazzi “Celacanto” (2014); Marco Antonio (edizione aggiornata 2022); I Greci e i Romani ci salveranno dalla barbarie (2023), La storia speciale. Perché non possiamo fare a meno degli antichi romani (2023).
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Davvero la cancel culture ha messo nel mirino il greco e il latino perché capisaldi di una cultura patriarcale e razzista? Davvero negli Stati Uniti si chiudono dipartimenti e si smette di studiare l’antichità perché sono solo storie di maschi bianchi morti?
E se non è così, cosa mette a rischio lo studio di quelle che fino a poco tempo fa venivano considerate le nostre radici, ovvero la cultura greco-romana?
Alice Borgna si è laureata a Torino e, come tanti della sua generazione, ha accumulato esperienze di studio e ricerca in università europee e statunitensi. Oggi insegna Lingua e Letteratura latina all’Università del Piemonte Orientale, dove si occupa prevalentemente di prosa storico-politica, Digital Humanities e della democratizzazione degli studi classici. All’attivo ha due monografie e decine di articoli e saggi.
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Il fascismo è finito con la morte di Mussolini. I fascisti non esistono più o sono irrilevanti. L’Italia ha rotto per sempre con quel passato. Siamo sicuri che sia così? E allora come spieghiamo le molte continuità tra il regime e la Repubblica? Le bombe, i pellegrinaggi a Predappio e le continue violenze?
È giunto il momento di smontare uno dei luoghi comuni più duraturo della storia repubblicana, ovvero quello secondo il quale il fascismo è morto e sepolto da fine aprile 1945.
Mimmo Franzinelli, studioso del fascismo e dell’Italia repubblicana, è membro della Fondazione “Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini” di Firenze. Tra i suoi più recenti libri, Fascismo anno zero (Mondadori 2019) e Il filosofo in camicia nera. Giovanni Gentile e gli intellettuali di Mussolini (Mondadori 2021). Per Laterza ha curato l’Epistolario 1943-1967 di Ernesto Rossi (2007) e Oltre la guerra fredda (2010) ed è autore di Storia della Resistenza (con Marcello Flores, 2019) e Storia della Repubblica Sociale Italiana 1943-1945 (2020).
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Davvero non si parla mai dei crimini del comunismo? Davvero nessuno ha mai sentito parlare dei milioni di morti prodotti da questa ideologia? Eppure sono stati scritti ‘libri neri’, fondati istituti di ricerca, istituiti musei ed eretti monumenti per ricordare queste vittime.
Allora, forse, si tratta di parlarne seriamente.
Gianluca Falanga, studioso di storia contemporanea, vive e lavora a Berlino come libero ricercatore e formatore presso il Museo della Stasi. Tra le sue più recenti pubblicazioni, Labirinto Stasi. Vite prigioniere negli archivi della Germania Est (Feltrinelli 2021) e La diplomazia oscura. Servizi segreti e terrorismo nella Guerra fredda (Carocci 2021).
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Prima dell’Unità il Sud era ricco e istruito. L’industria del regno di Napoli era la prima in Italia. Garibaldi era uno schiavista, Pisacane un disertore e Mazzini un terrorista. Il Risorgimento comportò il genocidio del popolo meridionale.
Tutte le bugie dei neoborbonici smascherate alla prova dei fatti.
Pino Ippolito Armino, ingegnere e giornalista, vive tra il Piemonte e la Calabria, dove è nato. Dirige la rivista “Sud Contemporaneo” ed è membro del comitato direttivo dell’Istituto “Ugo Arcuri” per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea.
Tra le sue pubblicazioni: Azionismo e sindacato. Vita di Antonio Armino (Rubbettino 2012); Brigantaggio politico nelle Due Sicilie(Città del Sole 2015); Quando il Sud divenne arretrato(Guida 2018); Cinque ragioni per stare alla larga da Pino Aprile (Pellegrini 2019); Storia della Calabria partigiana (Pellegrini 2020); Ritorno al futuro. Manifesto per l’unità d’Italia (con Tonino Perna, Castelvecchi 2020).
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‘Prima gli italiani’ è uno slogan di grandissimo successo. Lo abbiamo sentito ripetuto migliaia di volte e lo troviamo in rete in ogni dove. Prendiamolo sul serio, allora: chi sono questi italiani che devono venire prima? Gli eredi dei Romani o quelli che abitano la nostra penisola?
Insomma, quand’è che siamo diventati italiani?
Francesco Filippi, storico della mentalità e formatore, è co-fondatore dell’associazione Deina. Ha pubblicato, tra l’altro, il best seller Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (Bollati Boringhieri 2019, per oltre un anno ai vertici delle classifiche di vendita) e Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto (Bollati Boringhieri 2020).
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Avventurieri e ladri di polli. Protagonisti di una guerra inutile. Vigliacchi che colpiscono i nemici a tradimento. Terroristi. L’elenco dei luoghi comuni sulla Resistenza è lunghissimo e oggi continua a rafforzarsi a dispetto di ogni prova contraria. Perché? Come possiamo rispondere a questa offensiva ventennale?
Un libro per conoscere ciò che è stato senza retoriche fuori tempo massimo.
Chiara Colombini, storica, è ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”. Ha curato, tra l’altro, Resistenza e autobiografia della nazione. Uso pubblico, rappresentazione, memoria (con Aldo Agosti, Edizioni SEB27 2012) e gli Scritti politici. Tra giellismo e azionismo (1932-1947) di Vittorio Foa (con Andrea Ricciardi, Bollati Boringhieri 2010).
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«E allora le foibe?» è diventato il refrain tipico di chi sostiene il risorgente nazionalismo italico e vuole zittire l’avversario.
Ma come è potuto accadere?
Eric Gobetti è uno studioso di fascismo, seconda guerra mondiale, Resistenza e storia della Jugoslavia nel Novecento. Autore di due documentari (Partizani e Sarajevo Rewind), esperto in divulgazione storica e politiche della memoria, ha collaborato più volte con il canale televisivo Rai Storia. Per Laterza ha pubblicato Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943) (2013).
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Si dice: «Destra e Sinistra sono superate», «il fascismo è finito 75 anni fa». Quindi l’antifascismo non serve più a niente.
Ma è proprio così?
Carlo Greppi, dottore di ricerca in Studi storici all’Università di Torino, è co-fondatore dell’associazione Deina e membro del Comitato scientifico dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, che coordina la rete degli Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea in Italia. Tra le sue più recenti pubblicazioni, L’età dei muri. Breve storia del nostro tempo (2019) per Feltrinelli e La storia ci salverà. Una dichiarazione d’amore (2020) per Utet. Per Laterza è autore di 25 aprile 1945 (2018) e ha curato, con David Bidussa, Come farla finita con il fascismo di Ferruccio Parri (2019).
Famoso e celebrato per aver dato un’eccezionale forma retorica al ‘sogno americano’ dell’uguaglianza e della giustizia nelle relazioni sociali, King denunciò con grande forza l’incubo del razzismo, diventando portavoce del più ampio movimento nonviolento della storia americana. In contrasto non solo con la Casa Bianca ma anche con alcuni settori della comunità afroamericana, si schierò contro la guerra in Vietnam muovendo, con il passare degli anni, una critica sempre più radicale al sistema sociale ed economico degli USA.
In Martin Luther King. Una storia americana, Paolo Naso ricostruisce l’azione di King come parte integrante della storia americana senza nascondere il travaglio interiore, le debolezze e il progressivo isolamento di un leader che, denunciando la connessione tra razzismo, ingiustizia sociale e militarismo, firmò la sua condanna a morte.
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La Sicilia meno nota, quella lontana dalle coste più affollate e dalle celebri città barocche, è l’imprevisto palcoscenico di una vera e propria epopea. Protagonista: la gara automobilistica più antica al mondo. Ecco un estratto di Targa Florio. Le Madonie e la gara più bella, il nuovo libro di Francesco Terracina, accompagnato dalle splendide immagini d’archivio per le quali ringraziamo Targapedia.com.
La corsa voluta da Vincenzo Florio fu disputata tra il mare e le montagne, tra l’azzurro del Tirreno e il bianco candido dell’alta quota, dove col primo caldo si spalava la neve per farne commercio del refrigerio. Neve portata dai carretti, dentro sacchi isolanti di iuta e paglia, e consegnata nei palazzi dei signori. Quel battesimo dei motori diede ai muli un giorno di respiro e le strade accolsero cavalli vapore nascosti sotto i cofani delle dieci automobili arrivate in Sicilia dopo aver attraversato mari e monti. […] Nel racconto Morte di Giufà, pubblicato nel 1986, Gesualdo Bufalino dà un’idea di cos’era la Targa Florio delle origini:
La Corsa Grande, quella di cui chi sa leggere ha letto notizia su ogni intonaco, da Termini a Buonfornello. […] Giufà ne ha sentito parlare, di questi carri di ferro che corrono soli su quattro ruote, senza un mulo o cavallo che li tiri; e fanno rumore, e mandano lampi […] Allora corre incontro al nemico e non sa perché, corre incontro al diavolo a braccia aperte (Giufà, fermati, dove vai? Quell’ingegno di ferro non t’appartiene, l’hanno inventato gli altri contro di te, contro la tua felicità rusticana…), corre incontro al diavolo senza segnarsi, sente con ira e stupore le quattro zampe impennarglisi sopra e ricadergli sul petto, schiantargli le ossa, sbriciolargli insieme alle costole, nascosto fra pelle e camicia, il bottino d’una gallina… Era il 6 maggio 1906, giorno della prima Targa Florio, ma Giufà che ne sapeva?
Già, che ne sapeva il giullare della tradizione mediterranea? E che ne sapeva nel 1906 la popolazione contadina di quei luoghi? Sessant’anni dopo, la dimensione onirica, il senso d’irrealtà prodotto dalla kermesse sportiva, prevaleva ancora negli abitanti di quelle contrade.
Un episodio del ’66 rivela come il personaggio letterario Giufà avesse libero accesso al mondo reale.
In quell’anno Ignazio Capuano era in gara con una Carrera 6 della scuderia Pegaso, quando un guasto alla leva dell’acceleratore impedì al pilota di rallentare e con il motore al massimo dei giri finì fuoristrada inoltrandosi per quattrocento metri nella campagna. L’auto sparì tra le spighe di grano e si temette il peggio. Cominciò la ricerca, a cui prese parte anche il direttore della scuderia, Francesco Dessì, che si diede un gran da fare per individuare eventuali testimoni dell’incidente, qualcuno che avesse assistito a quel naufragio nel mare giallo oro dove il bolide bianco e piatto era sparito.
[…] Se nelle campagne la Targa stentava ad attecchire, nelle città la manifestazione raccoglieva sempre più successo. Non va sottovalutato che nella cultura contadina il divertimento è un’invenzione del diavolo: sottrarre tempo ed energie al lavoro per vedere quattro macchine inseguirsi era un capriccio da cittadini, sempre propensi a dedicarsi all’ozio. E poi c’era da vigilare sui campi, scoraggiare l’orda di spettatori a intrufolarsi nei terreni per rubare la frutta. Vedere un agricoltore con la roncola in mano, mentre con lentezza si china a tagliare un ciuffo d’erba e con la stessa lentezza si rialza per osservare il punto da dove poteva arrivare il pericolo, era una scena consueta.
L’emozione contenuta ha un fascino cinematografico, e come accade sullo schermo, c’è un momento in cui esplode: basta attendere. Il mutare dei movimenti non è repentino. Il 14 maggio del ’67 l’uomo con la roncola s’era svegliato che faceva buio. Aveva riempito il tascapane con una focaccia fatta in casa, una spessa fetta di mortadella, un po’ d’olive sott’olio e una bottiglia di vino, il suo rancio. Tra un colpo di roncola e l’altro, si era acceso una Sax. La situazione chiamava fumo: era passata la prima macchina, poi un’altra e altre ancora. Negli intervalli di silenzio sentiva i primi commenti degli spettatori arrivati dalla città. Li si riconosceva perché portavano gli occhiali da sole, come non accadeva ai provinciali, costretti a strizzare gli occhi per seguire controluce il passaggio delle macchine. Dal punto in cui si trovava fece qualche passo verso il circuito. Finita la sigaretta, sputò sulle mani e riprese a falciare.
L’unico altro nome che conosceva era quello di Vaccarella, ma quell’anno era stato una meteora: dopo il primo giro non s’era più visto, per lo sgomento dei fan che lo chiamavano confidenzialmente Nino o Ninni, come se avesse fatto il servizio militare con loro. Saranno state le undici passate e il lavoro che aveva fatto si riduceva a ben poco. Per colpa di Stommelen, forse. Si diede una mossa e fece ancora qualche passo in direzione della strada. E lì trovò un’altra sorpresa: una giovane donna distesa sull’erba, le gambe un po’ scoperte, che prendeva il sole e leggeva un libro, come se la corsa non la riguardasse. Si chinò ancora, falciò altra erba e poi decise che era arrivata l’ora del pranzo.
Tornò indietro a prendere il suo tascapane, cercò un albero, non distante da una fila di spettatori, e con il coltello da innesto tagliò una fetta della pagnotta poggiandola contro il torace. La proporzione tra pane e companatico, da quando sua madre l’aveva istruito sulla questione, era un’oliva per ogni fetta, e per questo bisognava centellinare bene ogni boccone, prima di ripulire anche il nocciolo. Dalla bottiglia bevve un sorso di vino. Tagliò un’altra fetta e poi una minuscola porzione di mortadella, quanto mezzo dito. E la corsa passava.
Lo sconosciuto si sedette accanto a lui e cominciò a dare fondo alle olive, fino a quel momento risparmiate a malincuore e invano, versando un po’ d’olio sul pane, come aveva visto fare al contadino. Poi chiamò i suoi amici, e anche la donna che prima se ne stava sdraiata. Arrivarono in cinque, forse sei. «A favorire», disse l’uomo con la roncola. E fu tutto un trangugiare e un parlare soffocato. In due tesero le braccia e lo tirarono su, insieme andarono verso la strada. «Chi vincerà?», chiese uno dei giovani. «Stommelen», disse il contadino mentre ripuliva il coltello sui pantaloni, negando a se stesso che era potuto finire in quella bolgia. La ragazza si era distesa di nuovo e aveva ripreso a leggere. Poi passò un’auto con un lampeggiante sul tetto, a segnalare che la corsa era conclusa, e gli spettatori si affrettarono a raggiungere le loro macchine. La più lenta a muoversi fu la giovane donna che nel frattempo si era addormentata con il libro che le copriva il viso. Il contadino accennò un saluto con la mano, ma lei ormai gli dava le spalle.
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Gli abbonati alle Lezioni di Storia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma – stagione 2019-2020 possono contattare il botteghino della Fondazione Musica per Roma per ricevere informazioni relative ai voucher.
Nani, fate, grifoni, statue, draghi: la tradizione occidentale è affollata di presenze inquietanti, entità sovrumane o animali fantastici posti a custodia dei più preziosi tesori.
I guardiani più immediati dei tesori sepolti, però, sono “per naturale prossimità” i morti che gli riposano accanto: nonostante la paura superstiziosa suscitata da sempre dai contesti funerari, la profanazione delle tombe è stata infatti una pratica sistematica per i cercatori di tesori.
“Le ricchezze nascoste, a cui queste creature sono intimamente legate, sono esse stesse entità fuori dall’ordinario, perché poste oltre a quella soglia invisibile che segna il confine fra il noto e l’ignoto, una linea che il cercatore deve superare, a rischio della vita, se vuole averle: scendere in una grotta, mettere la testa in una fonte, calarsi in una tomba sono tutte metamorfosi dello stesso viaggio pernicioso. A diretto contatto con i defunti, celati in una dimensione sotterranea e oscura, i tesori acquisiscono tratti sinistri, per la contiguità con il mondo dei morti e degli spiriti inferi. Appartati rispetto alla realtà dei vivi, sigillati in un altrove che è fisico ma in fondo anche temporale, sono quindi percepiti come speciali, dotate di una vitalità e di un potere che si riverbera, a volte in modo nefasto, su chi cerca di appropriarsene.”
Nel suo libro Cercar tesori, Allegra Iafrate racconta tre guardiani, tre morti con caratteristiche differenti ma ugualmente spaventose: la mummia, il vampiro e il fantasma.
“Un caso famoso è quello dell’apertura della cripta della cattedrale di Aquisgrana in cui riposavano le spoglie di Carlo Magno, voluta dall’imperatore Ottone III nell’anno Mille. Stando a quel che raccontano le cronache, il sovrano viene trovato seduto su un trono di marmo, con la corona e le vesti imperiali, lo scettro in mano e il libro dei Vangeli aperto sulle ginocchia.
‘Non aveva perduto nessuna delle sue membra, a parte solo la punta del naso. L’imperatore Ottone lo rimpiazzò con dell’oro, prese un dente dalla bocca di Carlo Magno, murò l’ingresso alla camera e si ritirò’, si legge nella Cronaca di Novalesa basata sul resoconto di un testimone oculare, il conte Ottone di Lomello.
La scena, così come la ricordano le fonti alto-medievali, echeggia altre storie, venate però di mistero. Un primo parallelo si può istituire con il ritrovamento della regina Tadmura, con i suoi ori e i suoi gioielli, nella leggendaria città di bronzo. Un secondo, forse ancora più stringente, è attestato per la prima volta in un testo arabo che si data all’825 d.C. in contesto abbaside, il Kitab Sirr al-Haliqa, il Libro del segreto della Creazione. Il passo descrive il rinvenimento della cosiddetta tavola di smeraldo da parte di Balinus, cioè il mago Apollonio di Tiana (ma altre versioni indicano Alessandro Magno) nella tomba del re-sacerdote Ermete Trismegisto, in una cripta sotto la statua di Thot, dio egizio della sapienza con cui Ermete viene spesso associato e sovrapposto. Secondo la tradizione, tutti i principi e i segreti fondamentali delle operazioni alchemiche erano stati incisi su una tavola di smeraldo che, al momento della scoperta, riposava sulle ginocchia del vecchio Ermete che ancora teneva in mano lo stilo di diamante con cui li aveva scritti.
[…] In tutti questi esempi, quindi, la figura della mummia assisa in trono protegge qualcosa di prezioso. È la stessa posizione del defunto, peculiare di alcune sepolture di rango, che segnala il prestigio del ritrovamento.”
“Un secondo esempio è narrato nei Gesta Danorum, opera del XII secolo di Sassone il Grammatico. Il cronista racconta la disavventura di una banda di guerrieri svedesi sbarcati sulle coste della Norvegia, i quali scoprono un tumulo funerario e decidono di profanarlo per estrarne i tesori. Si tratta della tomba del nobile principe Asvito, da poco sotterrato con il suo cavallo e il suo cane. Con lui, tuttavia, è stato seppellito vivo anche l’amico Asmundo, a causa di un giuramento di fedeltà che lo lega al defunto anche nella morte. Questo, però, gli svedesi non lo sanno. Forano la collina e scoprono l’ingresso a una caverna molto profonda. Con una corda calano allora uno degli uomini in un canestro: appena questo tocca il fondo, Asmundo è veloce a sostituirsi a lui e a risalire alla luce del sole, dove la sua apparizione viene presa per quella di un fantasma. Segue allora un dialogo estremamente potente, in cui Asmundo racconta agli astanti inorriditi come nelle notti precedenti lo spirito del morto si sia risvegliato e abbia divorato prima il cadavere del cane, poi il cavallo e infine abbia attaccato con ferocia anche lui, staccandogli di netto un orecchio e tentando di cibarsi del suo sangue.
L’episodio del draugr, il vampiro, riecheggia soprattutto nel folklore e trova paralleli anche in altre saghe del Nord. È un tema spesso legato alle violazioni delle sepolture, protette non solo dalle leggi degli uomini ma anche da una serie di credenze in eventi soprannaturali che riflettono le conseguenze tremende che avrebbero potuto scatenarsi all’atto sacrilego della profanazione.”
“Un terzo caso interessante riguarda le presunte apparizioni del fantasma di Attila nei pressi del suo sepolcro. […] Dopo le esequie, i festeggiamenti e il banchetto rituale, il corpo di Attila sarebbe stato posto in una bara di ferro, protetta da altri due coperchi, uno d’argento e uno d’oro, e sepolta in una località segreta assieme a un ricco corredo. Su questa base documentaria fioriscono nei secoli innumerevoli leggende che rimangono nelle tradizioni dell’Ungheria, della Slovenia, del Friuli, dell’Istria ma anche nel territorio veronese e che tendono a localizzare la tomba in vari luoghi: l’area vicina al fiume Tibisco, fra la Mura e la Drava, o nei pressi di Tolmino. Nel folklore sloveno (ma non solo) la storia della tomba di Attila si lega poi a quella dell’apparizione del suo spettro che ogni notte torna a contare le monete del proprio tesoro, per essere certo che nessuno le abbia portate via. L’idea che le anime in pena aleggino nei pressi di un tesoro, manifestandosi spesso sotto forma di fiammelle, è un elemento che ritorna nelle credenze di moltissimi popoli e con innumerevoli varianti. Può essere l’antico proprietario che non lascia per avidità le proprie ricchezze nemmeno dopo morto: è la sua stessa avarizia a dannarlo.
Altre volte è lo spirito di qualcuno che al tesoro è legato in modo violento, come chi è stato ucciso perché non rivelasse il nascondiglio e che diventa, suo malgrado, custode del sito fino a che un eventuale scopritore non lo liberi dal vincolo, ottemperando ad alcune particolari condizioni, come il fatto che una ragazza perda la verginità sul luogo del misfatto in una certa notte.”
“Tre morti, dunque, con caratteristiche differenti: la mummia, il vampiro e il fantasma. Fra questi, il primo è quello che presenta il minore scarto dalla realtà materiale, la maggior approssimazione, se così si può dire, rispetto a quella che può essere l’apparenza effettiva di un cadavere che, per qualche ragione, non si sia decomposto: ne mantiene le sembianze ma non si muove. Il morto-vivente, invece, è un corpo che si anima quel tanto che basta per nutrirsi e mantenersi in un’esistenza larvale e parassitaria. Il fantasma, poi, è un’immagine disincarnata, un’ombra. Tre diversi avatar, insomma, che si distinguono sostanzialmente per le diverse gradazioni di corporeità che mettono in scena e che ribadiscono, con variazioni sul tema, il ruolo centrale del defunto nel ruolo di guardiano.”
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Da Brescia a Bari, da Zeus a Fidel Castro, da Laura Pepe ad Alessandro Barbero, l’editore Giuseppe Laterza racconta perché si è scelto di realizzare questo ciclo speciale di lezioni di storia, dopo il successo che hanno registrato le lezioni in presenza, nei teatri di tutt’Italia, da più di dieci anni.
Qui più info e i biglietti: www.auditoriumplus.com.
Le lezioni saranno disponibili sempre, in streaming, a partire dal 7 marzo con la prima visione della prima lezione di Laura Pepe su Zeus e fino al 30 giugno 2021.
Un tempo si sognava il posto fisso. È ancora così?
Come sono cambiati il mondo del lavoro e le aspirazioni dei lavoratori, con l’avanzare della tecnologia, l’automazione, la precarietà, lo smartworking che alcuni dicono essere il futuro?
Che fine fanno i diritti in questo scenario?
Appuntamento mercoledì 3 febbraio alle 19.00 in diretta streaming sulla nostra pagina Facebook e sul nostro canale Youtube.
Insieme alla giornalista Silvia Boccardi, che modererà l’incontro, avremo con noi:
Antonio Aloisi (docente di diritto del lavoro all’Università IE di Madrid)
Tito Boeri (economista)
Giulia Pastorella (EU government relations director di Zoom)
Antonio Aloisi insegna Diritto del lavoro all’Università IE di Madrid, dove è anche Marie Skłodowska-Curie Fellow. Con Valerio De Stefano è autore di “Il tuo capo è un algoritmo. Contro il lavoro disumano” (Laterza, 2020). È stato Max Weber Fellow all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, ha insegnato all’Università Bocconi di Milano e ha svolto attività di ricerca presso la Saint Louis University negli USA. Ha collaborato a ricerche promosse da istituzioni internazionali e ha scritto articoli divulgativi per “il Mulino”, “Linkiesta” e “Pagina99”.
Tito Boeri è professore di economia presso l’Università Bocconi di Milano (dove era stato anche Prorettore per la ricerca fino all’autunno 2014) e Senior Visiting Professor alla London School of Economics (dove è stato Centennial Professor). È stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea, dell’Ufficio Internazionale del Lavoro oltre che del Governo italiano. Dal marzo 2015 al febbraio 2019 ha ricoperto la carica di Presidente dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS).
Giulia Pastorella (34), milanese, è attualmente EU Government Relations Director di Zoom. Si è occupata di strategia di cybersecurity e data policy a livello globale per HP, multinazionale del Tech. Ha lavorato in consulenza, think tanks e nel mondo del giornalismo. È responsabile per l’Innovazione e il Digitale in Azione, il partito fondato da Carlo Calenda. Ha un PhD in Affari Europei dalla London School of Economics e un Master da Sciences Po, dove ha insegnato. Si è laureata a Oxford in filosofia e letteratura francese. Nel 2016 Forbes l’ha selezionata come una dei 30 più influenti under-30 in Europa nel campo di Law & Policy.
Il 3 febbraio abbiamo parlato di emergenza climatica con Maria Virginia Bagnoli, Enrico Giovannini e Sofia Pasotto.
Il 17 febbraio, invece, abbiamo parlato di informazione con Marta Bernardi,
Alessandro Tommasi e Giorgio Zanchini.