Pierluigi De Palma – Bari calling

Bari calling copertina
Novità Contromano: Bari calling di Pierluigi De Palma

Bari calling è un racconto generazionale grottesco come la vita stessa e una irriverente ballata rock.

Io e mio fratello ci guardavamo con occhi sbarrati, totalmente sopraffatti. A dire il vero, quello sguardo tradiva una punta di estraneità rispetto alla frenesia che ci circondava, un disagio che si stava sovrapponendo alla tristezza e al dolore, un principio di fastidio per una ritualità percepita come eccessiva e che insinuava il dubbio dell’ipocrisia, dell’apparenza anteposta alla semplicità di quel momento così triste e altrettanto naturale.

Eravamo andati via da Bari da più di trentacinque anni. Quando ci eravamo trasferiti a Roma avevo dieci anni. È stata un’altra cosa tipica della mia vita, un’altra condizione a cui mi sono mirabilmente adattato, tramortendo le mie emozioni con uno stringente ragionamento su quanto quel trasferimento da Bari a Roma mi avrebbe aperto possibilità che sarebbero rimaste altrimenti precluse.
Ineccepibile, non faceva una grinza, e infatti così è stato.
Non avrei potuto fare il lavoro che faccio, a Bari.
Ma altrettanto ineccepibile era il fatto che io a Bari stavo benissimo, ero proprio felice.

Il senso delle radici era ancora fortissimo, ma quei trentacinque anni non erano passati invano e adesso ci rendevamo plasticamente conto delle differenze che la distanza aveva creato, delle diverse abitudini, delle diverse reazioni, pure delle diverse prospettive da cui guardavamo alle cose e, perché no, anche dei pregiudizi che potevano assalirci. Era un gusto amaro e inaspettato che provammo ad arginare limitandoci a guardare e basta, senza giudicare, senza opporre resistenza, senza disturbare. In fondo dovevamo solo eseguire degli ordini: «Vatti a cambiare», «Scrivi il necrologio, che tu scrivi bene», «Accogliete gli ospiti».

Ecco, questa era la cosa più difficile. La maggior parte delle persone che stavano per arrivare non le avevamo più viste dal giorno in cui ci eravamo trasferiti a Roma; altre, non le avevamo proprio mai viste.
Loro però, tutti, ci conoscevano perfettamente.

In rigoroso ordine di età, si avvicinavano prima a mio fratello: «Pasquale! Quanto ti sei fatto grande!» (per la cronaca, mio fratello quel giorno aveva cinquantun’anni). Invariabilmente lo abbracciavano, commossi per la perdita della Signora Maria ma felici di ritrovare Pasquale, e io vedevo la faccia di mio fratello contratta nel tentativo improbo di ricordarsi chi cazzo fosse quello o quella che l’abbracciava.

A un certo punto, decidemmo di darci delle regole di base. Stabilimmo che tutti quelli che avrebbero mostrato grande confidenza e pari commozione sarebbero stati chiamati «zio» o «zia», così, genericamente, senza cadere nella trappola del nome; quelli che invece ci avrebbero abbracciati con compostezza sarebbero stati salutati con un affettuoso «amico mio» ovvero «signora mia», aggiungendo anche un «quanto tempo…» che era, tra l’altro, una constatazione oggettivamente vera. A tutti gli altri, a quelli che ci avrebbero soltanto stretto la mano ossequiosi, avremmo detto semplicemente «grazie», facendo catenaccio emotivo e verbale sino al distacco della mano e limitandoci a indicare la salma della Signora Maria verso cui l’ospite poteva dirigersi per il giusto omaggio.

Con queste poche regole riuscimmo a reggere l’urto. Scoprimmo per esempio l’esistenza di decine di cugini di qualsiasi grado, salvo il primo perché i miei genitori erano figli unici. Si chiamavano tutti Peppino. Sembrava che nella mia famiglia la qualifica di cugino potesse essere declinata solo con il nome di Peppino. Se Pasquale esitava un attimo nelle formule d’accoglienza che avevamo studiato, quello subito lo riprendeva: «Meh Pasquale… non mi riconosci? Sono il cugino Peppino!». Andammo avanti così per ore. Pian piano, però, le cose dentro di noi stavano cambiando. Il tempo passava e l’imbarazzo iniziale svaniva, la tensione calava e noi, abbraccio dopo abbraccio, iniziavamo a trovarci a nostro agio, sempre più credibilmente calati nel ruolo di unici figli maschi della Signora Maria, protagonisti e non più comparse di quel rito. Poco alla volta, avevamo recuperato le distanze, il dialetto era tornato a fluire con la cadenza giusta e quell’iniziale senso di estraneità era sparito. Un saluto dopo l’altro, un cugino dopo l’altro, un pezzo di focaccia dopo l’altro, uno sguardo tenero alla Signora Maria e una carezza alle mie sorelle, una battuta di Luisa: minuto dopo minuto riemergevano i legami verso quel mondo da cui ci eravamo distaccati solo fisicamente ma che continuava a essere il nucleo centrale della nostra esistenza emotiva.

Alla fine ci fu tutto chiaro: dopo tanto tempo eravamo ritornati a casa e ora avvertivamo con certezza che non c’era mai stata casa più casa di quella.

Adesso riuscivamo ad avvertire il calore e la sacra potenza di tutta quella ritualità ed eravamo pronti a riprenderci la nostra identità, ciò che eravamo stati sino a trentacinque anni prima e che, in realtà, non avevamo mai smesso di essere: due ragazzi di Bari che tra quelle mura, in quelle strade, con quelle persone, avevano vissuto gli anni più belli, quelli non sfiorati da alcun pensiero.

Il groppo in gola arrivò, puntuale, quando, avvisati dalle locandine già apparse sui muri di via Putignani, si presentarono, in comitato, il pescivendolo, il fruttivendolo, il salumiere, il giornalaio e il macellaio. Arrivò perché in quelle visite sincere c’era tutta mia madre, c’era tutta la generosità del suo sguardo, il rispetto che lei e il Professore si erano guadagnati; c’era, soprattutto, il riflesso di quel senso di comunità e di famiglia, quel senso infinito di amore, gentilezza, comprensione e solidarietà che quei due avevano costruito. Come diceva Smokey Robinson: «The way you do the things you do», il modo in cui fai le cose, la maniera in cui vivi. Ho sempre pensato che in quell’espressione c’è l’unica cosa che conta: il merito delle cose, i comportamenti non le parole, i sentimenti non gli innamoramenti, il vivere di esempi e non di richieste e neppure di ordini; il senso del dovere, la responsabilità verso gli altri, il senso della comunità, la gentilezza e una generosità che non è esercizio di narcisismo.

Eccole, le lacrime che aspettavo. In quel preciso istante, guardando il Comitato in visita raccolto intorno alla Signora Maria, guardando il Professore che ci osservava da decine di fotografie, realizzai di essere ufficialmente e irrimediabilmente orfano. Avevo scampato la morte del Professore e adesso era successo l’imponderabile: era morta mia madre, l’essere Immortale per antonomasia. Non c’era più nessuno dietro di me, nessuno che avesse il compito e l’obbligo di pensare a me, accudirmi, proteggermi, giudicarmi, comprendermi, aspettarmi, consigliarmi e assolvermi. Da quel momento avrei avuto solo persone al mio fianco; e davanti a me tre piccoli esseri umani che, piuttosto incredibilmente, si sarebbero relazionati a me nello stesso modo in cui io mi sono relazionato ai miei genitori. Nessuno alle mie spalle.

Mi arrivò una botta terribile di tristezza.
Fu solo un attimo, però.

Subito dopo, quella stanza, quella casa, quelle persone, quel dialetto, quel che rimaneva della nostra grande famiglia del Sud mi convinsero che ce l’avrei e ce l’avremmo fatta e che, da quel momento, avremmo tentato disperatamente di non disperdere il patrimonio che avevamo ricevuto dal Professore e dalla Signora Maria. Ci saremmo arrangiati come potevamo, avremmo provato noi a fare loro, sbagliando e riprovando, a volte orgogliosi del risultato raggiunto, a volte miseramente sconfitti dal confronto con una storia irripetibile a cui però, adesso mi fu chiarissimo, non avremmo mai rinunciato. D’altra parte, oltre a tutto il resto, da loro avevamo ricevuto la fiducia in noi stessi e nella vita, una naturale predisposizione all’ottimismo, la confidenza che le cose, in un modo o nell’altro, si sarebbero sempre aggiustate. Era stato così anche quando era morta mia sorella. La Signora Maria aveva smesso di sorridere e di cucinare la parmigiana di melanzane, ma l’imprinting era rimasto: da qualche parte saremmo ripartiti, avremmo ballato di nuovo, avremmo sperato di nuovo. Le cose si sarebbero aggiustate. Non avremmo cambiato il nostro modo di guardare alle persone, la nostra voglia di metterci tutti a tavola, il desiderio di ospitare, di aprire le nostre case. Così facemmo allora e così avremmo fatto a partire da oggi.

Ma la commozione arrivò anche perché questa volta gli ospiti me li ricordavo tutti, ne ricordavo i nomi e gli sguardi: erano la mia infanzia, il bambino che ero stato, il mio tempo più bello, quello in cui non mi ero mai sentito un adattato, quello in cui c’era solo il presente, il passato non esisteva e il futuro era ancora troppo lontano per poter essere immaginato.

Quel tempo che adesso era tornato a salutarmi nel momento in cui il cerchio si chiudeva e mi separavo definitivamente dai miei genitori.

A Bari, a casa mia.

Pierluigi De Palma, Bari calling


Pierluigi De Palma è un avvocato, esperto di copyright in campo musicale.

Festival dell’Economia on line

Festival Economia on line

AL VIA IL FESTIVAL DELL’ECONOMIA ON LINE

Dal 29 maggio incontri e confronti sugli effetti della pandemia sull’economia globale

In attesa del Festival dell’Economia, che si svolgerà a Trento dal 24 al 27 settembre sul tema ‘Ambiente e crescita’, da venerdì 29 maggio si apre online un laboratorio virtuale di riflessione sugli avvenimenti che in poche settimane hanno cambiato il mondo e che hanno già iniziato a manifestare enormi effetti sull’economia globale.

In questo modo il festival quest’anno vivrà da giugno fino a settembre, offrendoci una guida preziosa per capire le profonde trasformazioni in corso nell’economia europea e globale. Con appuntamenti giornalieri sul sito web www.festivaleconomia.it e sui canali social collegati (Facebook, Instagram, Twitter e YouTube) riflessioni e approfondimenti saranno svolti da economisti italiani e stranieri, studiosi di altre discipline, giornalisti e operatori economici, rappresentanti delle istituzioni politiche italiane e internazionali.

L’inaugurazione si svolgerà venerdì 29 maggio alle 16.30 sul sito del festival. Coordinati dalla giornalista Eva Giovannini interverranno Maurizio Fugatti, Presidente della Provincia Autonoma di Trento, Alessandro Andreatta, Sindaco di Trento, Paolo Collini Rettore dell’Università degli Studi di Trento, Tito Boeri, Direttore scientifico del Festival, Giuseppe Laterza, Editore, Innocenzo Cipolletta, Coordinatore del Comitato Editoriale del Festival, Gregorio De Felice Head of Research and Chief Economist di Intesa Sanpaolo.

Alle ore 18.00 il primo appuntamento: Tito Boeri dialoga con Paolo Gentiloni, Commissario Europeo per gli Affari Economici. Alle 18.45 Tito Boeri conversa con Vittorio Colao, Dirigente Azienda, Presidente Comitato Esperti Ec-S. Alle ore 19.30 lancio del format “L’economia ai tempi del COVID” in cui Tito Boeri e Jean Pisani Ferry saranno intervistati da Regina Krieger, giornalista di Handelsblatt.

Nelle settimane successive al 29 maggio una serie di rubriche giornaliere.

L’economia ai tempi del COVID: conversazioni tra economisti condotte dal direttore scientifico del Festival Tito Boeri, in cui si discuteranno tematiche di attualità e proposte per rilanciare l’economia italiana, europea e globale. Tra i primi ospiti Guido Tabellini, Roberto Gualtieri, Francesco Giavazzi, Olivier Blanchard.

Intersezioni: conversazioni che spaziano tra le discipline: dalla scienza alla storia, dall’antropologia alle neuroscienze e non solo, politici, studiosi e accademici discuteranno la situazione economica con gli approcci più diversi. Tra gli ospiti Stefano Mancuso, Nadia Urbinati, Walter Ricciardi, Carlin Petrini, Colin Crouch, Gianni Toniolo, Sabino Cassese.

Appunti per la ripartenza: analizzare l’economia dal punto di vista delle imprese. Come i diversi settori hanno affrontato la pandemia e le opportunità di innovazione che la crisi ha aperto. A cura di Innocenzo Cipolletta.

Le parole chiave dell’economia: podcast audio a cura de Lavoce.info con la partecipazione dell’Università di Trento. Qui docenti universitari spiegheranno e commenteranno, in maniera semplice ma puntuale, i termini che stanno trasformando le nostre vite.

Consigli di lettura: Tonia Mastrobuoni segnalerà e commenterà i libri di economia più significativi nel dibattito economico politico nazionale ed internazionale.

Cineconomia: anche il cinema parla di economia, a cura di Marco Onado.

Tra le novità più importanti la creazione dell’Archivio digitale del Festival, dove verranno caricate le conferenze di tutte le edizioni passate. Si tratta di oltre 700 video/audio (dalla lezione di Zygmunt Bauman del 2006 fino alle lezioni più recenti), un ricchissimo patrimonio di idee e contributi reso disponibile a tutti.

Il Festival dell’Economia di Trento è promosso dalla Provincia autonoma di Trento, dal Comune di Trento e dall’Università degli studi di Trento. Progettato dagli Editori Laterza.

Partner stabile dell’iniziativa si conferma, anche quest’anno, Intesa Sanpaolo. Top Sponsor è TIM. Main sponsor Dolomiti Energia.

Sponsor del Festival dell’Economia di Trento 2020: Autostrade del Brennero, EF Solare Italia, Exprivia, Fidelity International, Grant Thornton, LeasePlan, Mezzacorona, Rotari.

Sostenitore del Festival: Cassa Depositi e Prestiti.

Vanessa Roghi – Lezioni di Fantastica

Gianni Rodari
Lezioni di Fantastica: la biografia di Gianni Rodari

Gianni Rodari non ha ‘soltanto’ inventato favole e filastrocche, ha fatto molto di più: ha inventato un nuovo modo di guardare il mondo.
Vanessa Roghi ricostruisce e racconta la vita di un grande intellettuale a partire dai grandi ‘insiemi‘ che l’hanno riempita – la politica, il giornalismo, la passione educativa, la scrittura e la letteratura – con l’ambizione di raccontare un Gianni Rodari tutto intero, di sottrarlo allo stereotipo dello scrittore ‘facile’.

Uno degli esercizi di fantasia più noti di Gianni Rodari è il gioco degli insiemi, risponde alla domanda formulata «dal bambino che vuol sapere chi è, e la mamma gli dice ‘figlio’, lo zio ‘nipote’, ma è anche un ‘fratello’, un ‘pedone’, uno ‘scolaro’ eccetera eccetera; e ogni volta fa un nodo su una corda; insomma, scopre (matematica) gli ‘insiemi’ di cui fa parte». Ognuno di noi, così, è figlio, amico, fratello, ma anche di Manziana o di Bolsena, ha gli occhi verdi, va in bicicletta, mangia il gelato a colazione.

Chi è, dunque, Gianni Rodari, a quale insieme, a quanti insiemi, appartiene? Partiamo da un ricordo di Antonio Faeti, studioso e amico di Rodari: «Rodari aveva quasi vent’anni più di me: giusto l’arco di un’intera generazione. Tuttavia in molti dibattiti, in convegni, in tavole rotonde a cui abbiamo entrambi partecipato, accadeva che la parte del vecchio dovessi inevitabilmente interpretarla io, come se avessimo preso in questo senso un ammiccante accordo, mai più tradito». È una sera romana del 1973, a Gianni Rodari è stato chiesto di presentare Guardare le figure, saggio sulle illustrazioni dei libri per l’infanzia, uscito per Einaudi l’anno precedente. «Con la grazia inimitabile, l’umorismo, l’arguta imprendibile profondità che metteva in queste cose, Rodari, per quanto fosse lì presente, davanti ai sorridenti ascoltatori, mi descrisse come un vecchio professore, forse impazzito a causa dei troppi libri letti e riletti in continuazione. Una specie di maniaco cacciatore di farfalle che rinunciava agli insetti per collezionare antiche stampine di cui si era follemente innamorato, in un’infanzia remota».

Quei libri di cui parla Faeti, infatti, Rodari da bambino non li ha letti, e pure se li avesse letti forse non li avrebbe amati, così come era accaduto alla grandissima maggioranza dei bambini appartenenti alla sua generazione e a quelle precedenti. Le storie della letteratura per l’infanzia, e anche Guardare le figure, hanno sempre dimenticato di tener conto di un dato fondamentale, cioè che l’«infanzia storica» in Italia non aveva mai letto nulla, «presa com’era da altri problemi: la denutrizione, la pellagra, la fame, il lavoro minorile, il disambientamento causato dalle frequenti emigrazioni. I libri per bambini, ‘storicamente’, erano destinati ai figli dellamedia e alta borghesia (con qualche eccezione, ridacchiava Rodari, costituita dagli incontri fortunosi e particolari, come quello dell’autore di Guardare le figure), non certo appartenente alle due classi privilegiate, con nutritissime e vecchie biblioteche».

Una riflessione che Rodari riprende l’anno successivo, nel 1974, invitato al primo convegno internazionale su Pinocchio, dove ricorda come, negli anni in cui il libro di Collodi viene scritto, i bambini delle classi povere non andassero a scuola, ma a zappare la terra o a badare alle pecore; e anche nelle regioni più progredite, dopo la prima o la seconda elementare, entrassero in fabbrica:

Le vecchie del mio paese, e anche quelle di famiglia, ricordavano bene come a sette, otto anni, fossero andate in cartiera o in filanda a lavorare. Le filande erano lontane. Donne e bambine partivano la domenica sera, cantando le litanie per farsi coraggio nel buio delle strade, venivano alloggiate in dormitori comuni, tornavano al paese il sabato sera con la paga avara, ma preziosa come gli zecchini d’oro di Pinocchio. Le bambine facevano il turno in cartiera dalle otto di sera alle sette di mattina. Da vecchie ci raccontavano queste cose con una strana allegria. Esisteva allora una netta e largamente accettata ‘divisione del lavoro’ tra i ragazzi, pochi, che potevano commuoversi, leggendo Pinocchio, nel punto in cui il burattino cuor d’oro lavorava giorno e notte per mantenere Geppetto malato, la fata all’ospedale e l’improduttiva lumachina per soprammercato, e gli altri ragazzi che, in più gran numero, trascorrevano faticando l’età della fiaba. Di qua, insomma, i piccoli vetrai, i piccoli vagabondi, che recitavano la loro disavventura in prima persona, senza sospetto di letteratura; di là i fortunati lettori della loro storia, o di storie simili, come se ne trovano nel Cuore.

L’«infanzia storica», nata in un’Italia con pochi libri, figlia di analfabeti ma ricca di una tradizione orale, fatta di veglie in stalle affollate, un’infanzia a cui appartiene anche Gianni Rodari. «Non c’erano libri per bambini in casa mia, ce n’erano ancora meno in casa di mia madre. A sette anni è andata a lavorare in cartiera e non credo avessero dei libri». Non era lei a raccontare le favole, dirà Rodari in un’intervista a Nico Orengo del 1979, la zia, la nonna semmai; la mamma no, non aveva tempo.

Crescere in una casa senza libri per poi diventare uno scrittore non è un’esperienza così rara nel Novecento. Indagare sul momento in cui scoppia l’amore fra il bambino e la pagina di un libro è, tuttavia, sempre, un’esperienza interessante perché getta luce su un angolo buio della storia, quello dell’infanzia di famiglie che non posseggono la parola scritta.

A maggior ragione se poi il bambino, da adulto, scriverà per i ragazzi, allora «è naturale che incuriosiscano soprattutto l’infanzia e l’adolescenza: è in quelle stagioni della vita che possono infatti annidarsi le possibili motivazioni a dedicarsi più tardi a un ‘mestiere’ così singolare, e dai ricordi di quel periodo è comprensibile che lo scrittore attinga spunti da rielaborare sul piano fantastico».

È stato Marcello Argilli, il primo biografo di Gianni Rodari, a farsi questa domanda e raccontare al grande pubblico da dove fosse spuntato quello scrittore così noto a tanti al momento della sua morte, il 14 aprile 1980, ma così sconosciuto ancora oggi, a quarant’anni da allora. Eppure Rodari, come Pollicino, ha disseminato di indizi le sue filastrocche, i suoi articoli e anche i suoi libri per raccontarci la sua storia: tutti racchiudono un preziosissimo archivio di memorie private, sassolini bianchi che ci consentono di ripercorrere a ritroso la strada fino alla casa dove tutto ha avuto inizio.

E l’inizio non può che essere questo: c’era una volta un lago, circondato da alte montagne, e sul lago una città che si chiamava e si chiama Omegna.

Vanessa Roghi, Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari


Vanessa Roghi, storica, è autrice di documentari per La Grande Storia di Rai Tre.

Stefano Allievi – La spirale del sottosviluppo

Particolare di copertina
Il nuovo saggio di Stefano Allievi: una riflessione
sui problemi strutturali del nostro Paese.

Questo libro è stato scritto prima dell’emergere della pandemia legata al coronavirus. Ma è stato ripensato dopo. E alla luce di quanto successo è stato riletto, rivisto e aggiornato.
Se ne è valutata persino l’opportunità. Ma non abbiamo dubbi: è ancora più urgente di prima – perché, purtroppo, non solo le analisi sono confermate, ma le risposte necessarie sono diventate ancora più urgenti, cogenti, stringenti, dirimenti.
È infatti ancora più indispensabile di prima leggere i segni dei tempi, discernere le priorità, affrontare i problemi sul tappeto, selezionare gli investimenti prioritari: con ancora maggiore radicalità di quella che ipotizzavamo in tempi che, col senno di poi, possiamo definire, nonostante tutto, normali.

Lo scenario resta quello descritto: solo, purtroppo, si è ulteriormente e improvvisamente aggravato. Anche il titolo l’avevamo pensato “prima”, e ci sembrava descrittivo della situazione di allora. Ora, “dopo”, ci stringe il cuore (ma ci spinge ancora di più all’azione) pensare quanto, forse, non lo sia abbastanza. Tutto dovrà essere più incisivo, d’ora in poi.
Quale che sia la durata della fase di emergenza, comunque se ne esca, per quanto prevedibili possano essere alcune ricadute, diverse cose le sappiamo già con certezza, sugli effetti economici, sociali e culturali di Covid-19. E tutti i temi qui trattati (demografia, immigrazione, emigrazione, istruzione, lavoro) subiranno un impatto molto forte da quanto accaduto. Per questo, oltre a quanto già scritto nei vari capitoli, affrontiamo il tema, partendo proprio dagli ultimi drammatici sviluppi, nella Postfazione.

Il paese tutto risulterà di molto impoverito. Ma con prevedibili differenze. È per questo che, a fronte di questi sconquassi, bisognerà immaginare già oggi una gigantesca operazione di ripensamento dei propri obiettivi, e anche di redistribuzione delle opportunità. Questo paese ne aveva già parecchio bisogno. Ora deve semplicemente accettare l’idea che non può più procrastinare la ricerca coraggiosa di soluzioni anche drastiche, altrimenti non ne uscirà proprio, non se la caverà, non ce la farà, soccomberà sotto il peso delle proprie contraddizioni. Ma per reagire nel modo giusto ha bisogno di un onesto discorso di verità: sulla gravità della situazione, i dati, le cifre, e anche le responsabilità. In questo testo proviamo a farlo.

Dovremo fare scelte difficili, definire priorità che non tutti condivideranno, programmare operazioni di ingegneria sociale profonde, far finalmente partire riforme spesso evocate come necessarie in passato, ma mai affrontate davvero con coraggio. Dovremo, infine, mantenere il timone nella stessa direzione, con una fermezza che non ci è abituale, senza le giravolte che ci hanno troppo spesso caratterizzato: come ceto politico, ma anche come pubblica opinione, troppo irresponsabilmente ondivaga e leggera, nelle sue mutevoli e superficiali propensioni.

Oggi, tuttavia, c’è un diverso clima culturale nel paese. Se maturerà anche la consapevolezza adeguata dei problemi, ce la si può fare. E il coronavirus potrà diventare così l’occasione emergenziale per affrontare temi che in tempi normali non avremmo avuto il coraggio e la forza di aggredire con la stessa determinazione. La patologia che ci consente di vedere meglio le perversioni di quella che consideravamo fisiologia.

Per parte nostra, ce lo auguriamo. Ora e sempre, resilienza.

Stefano Allievi, La spirale del sottosviluppo. Perché (così) l’Italia non ha futuro


Stefano Allievi è professore di Sociologia e direttore del Master in Religions, Politics and Citizenship presso l’Università di Padova. Si occupa di migrazioni in Europa, di analisi del mutamento culturale e di pluralismo religioso.

Casa Laterza – fase 2

Casa Laterza
#CASALATERZA. Il nuovo calendario

Continuano gli appuntamenti in diretta
sui profili Instagram e Facebook @EditoriLaterza

Proseguono i dialoghi a #CasaLaterza e #conilibrai: presentazioni delle novità in uscita e approfondimenti. Ecco qui il calendario aggiornato. 

PROGRAMMA (può subire variazioni):

martedì 14 luglio ore 17.30 su FB @editorilaterza – Marco FERRARI dialoga con Federico RAMPINI.

venerdì 17 luglio ore 11sui canali Laterza e Ansa –  per “Il mondo dopo la fine del mondo” dialogo con Stefano Allievi, Andrea Gavosto e Paola Dubini  su ‘Formazione, cultura e rapporti fra le generazioni’.

 

EVENTI PASSATI

mercoledì 18 marzo – Enrico GIOVANNINI – economista

giovedì 19 marzo – Alessandro BARBERO – storico

venerdì 20 marzo –  Marta FANA – economista

lunedì 23 marzo – Andrea GIARDINA – storico

martedì 24 marzo – Amedeo FENIELLO – storico

martedì 24 marzo – Walter RICCIARDI – medico, OMS

mercoledì 25 marzo – Giorgio ZANCHINI – giornalista

giovedì 26 marzo – Simone PIERANNI – giornalista

venerdì 27 marzo – Carlo GREPPI – storico

lunedì 30 marzo – Alessandro PERISSINOTTO – docente di storytelling

martedì 31 marzo – Stefano MANCUSO – scienziato

mercoledì 1 aprile – Simona COLARIZI – storica

giovedì 2 aprile – Stefano VELLA – medico e scienziato

giovedì 2 aprile – Alessandro MARZO MAGNO – giornalista e scrittore

venerdì 3 aprile – Salvatore ROSSI – economista, presidente TIM

lunedì 6 aprile – Maurizio FERRARIS – filosofo

martedì 7 aprile – Gino RONCAGLIA – docente di Editoria digitale, esperto di nuovi media

mercoledì 8 aprile – Andrea MARCOLONGO – scrittrice

giovedì 9 aprile – Guido SCORZA – avvocato, docente di diritto delle nuove tecnologie

venerdì 10 aprile – Tito BOERI – economista

martedì 14 aprile – Claudia DE LILLO (ELASTI) – scrittrice e giornalista

mercoledì 15 aprile – Francesca CRESCENTINI (TEGAMINI) – traduttrice e blogger

mercoledì 15 aprile – Federico RAMPINI (alle 17 sulla pagina FB @editorilaterza)

giovedì 16 aprile – Laura PEPE – storica

venerdì 17 aprile – Rocco PINTO – libraio

lunedì 20 aprile – Paolo CORNAGLIA FERRARIS – medico

martedì 21 aprile – Nora MERCURIO – rights director Suhrkamp

mercoledì 22 aprile – Pietro Del Soldà – giornalista

giovedì 23 aprile – Maurizio VIROLI – filosofo

giovedì 23 aprile – Luciano CANFORA (alle ore 17 sulla pagina FB @editorilaterza)

venerdì 24 aprile – Marcello FLORES – storico

lunedì 27 aprile – Vanni SANTONI – scrittore

martedì 28 aprile – Gianmarco OTTAVIANO – esperto di Economia internazionale

mercoledì 29 aprile – Costantino D’Orazio – storico dell’arte

giovedì 30 aprile – Enzo CIPOLLETTA  – economista

lunedì 4 maggio – Hervé BARMASSE – alpinista

mercoledì 6 maggio – Paola DUBINI – professore di Management all’Università Bocconi di Milano

giovedì 7 maggio – Eva CANTARELLA – storica (alle ore 17 su FB)

venerdì 8 maggio ore 12 su IG – Natalino RUSSO – giornalista e scrittore

lunedì 11 maggio ore 17 su FB @festivalsaluteglobale  – Giuseppe REMUZZI, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.

martedì 12 maggio ore 18 su FB @ErtFondazione – Simona COLARIZI e Giuseppe LATERZA: “L’invenzione dell’Europa. Dal sogno alla realtà”.

martedì 12 maggio ore 19 su IG @fahrenheit451piacenza – Laura PEPE, Gli eroi bevono vino.

mercoledì 13 maggio ore 18 su  FB – Stefano ALLIEVI, La spirale del sottosviluppo. Perché (così) l’Italia non ha futuro .

mercoledì 13 maggio ore 19 su IG @librerialazzarelli – Simone PIERANNI, Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina.

giovedì 14 maggio ore 17 su FB – Anna Maria MONTINARO, presidente dei Presìdi del Libro.

venerdì 15 maggio ore 18 su FB – Simone PIERANNI con Andrea GERLI, Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina.

lunedì 18 maggio ore 17 su FB @festivalsaluteglobale – Marina TOSCHI (rete Pro-Choice) dialoga con Serena FIORLETTA (ass. AIDOS).

martedì 19 maggio ore 18 su IG – Carlo GREPPI dialoga con Roberto SAVIANO a partire da L’antifascismo non serve più a niente.

mercoledì 20 maggio ore 16 su FB – Giusto TRAINA dialoga con Amedeo Feniello a partire da La storia speciale.

mercoledì 20 maggio ore 19 su FB (https://www.facebook.com/stefano.milano3) – Marta FANA, Basta salari da fame!

venerdì 22 maggio ore 18 su FB – Ilvo DIAMANTI politologo

lunedì 25 maggio ore 17 su FB (www.facebook.com/festivalsaluteglobale/) – Alberto CESTER e Daniel DELLA SETA

martedì 26 maggio ore 18 su FB – Massimo MONTANARI – storico

mercoledì 27 maggio ore 18 su FB – Vanessa ROGHI dialoga con Christian RAIMO a partire da Lezioni di Fantastica

mercoledì 27 maggio ore 18.30 su FB (www.facebook.com/NinaLibreriaPietrasanta) – Giusto TRAINA,  La storia speciale

giovedì 28 maggio ore 18 su IG – Pierluigi DE PALMA dialoga con Fiorella MANNOIA a partire da Bari calling

venerdì 29 maggio inaugurazione dell’iper-Festival dell’Economia: ore 17.45 saluti istituzionali e dialogo tra Tito BOERI e Paolo GENTILONI; ore 19 Tito BOERI dialoga con Jean PISANI-FERRY. In diretta su 2020.festivaleconomia.eu/ – www.facebook.com/festivaleconomiatrento/ – www.instagram.com/festivaleconomia/

mercoledì 3 giugno ore 17 su FB  (www.facebook.com/festivalsaluteglobale/) Filippo Giorgi dialoga con Davide Michielin.

mercoledì 3 giugno ore 18 su FB Stefano Nespor dialoga con Giovanni Carletti, a partire da La scoperta dell’ambiente.

mercoledì 3 giugno ore 18 sui canali del Festival dell’Economia dialogo tra Lucrezia Reichlin, Francesco Giavazzi e Tito Boeri.

giovedì 4 giugno ore 18 sui canali del Festival dell’Economia dialogo tra Stefano Mancuso, Innocenzo Cipolletta e Giuseppe Laterza.

venerdì 5 giugno ore 15 su FB @editorilaterza Luigi MASCILLI MIGLIORINI dialoga con Amedeo FENIELLO: “Storia del mondo e storia globale”.

lunedì 8 giugno ore 17 su FB @festivalsaluteglobale – Gustavo PIETROPOLLI CHARMET dialoga con Leuconoe Grazia SISTI.

martedì 9 giugno ore 18 su FB @editorilaterza – Pierluigi DE PALMA dialoga con Catena FIORELLO a partire da Bari calling

martedì 9 giugno ore 17.30 su FB @festivaleconomiatrento – Luigi GUBITOSI dialoga con Enzo CIPOLLETTA.

mercoledì 10 giugno ore 17 su FB @festivalsaluteglobale – Massimo CHIAPPA (Medicus Mundi Italia) dialoga con Massimo RUOCCO (Isinnova).

mercoledì 10 giugno ore 18 su FB @festivaleconomiatrento – Olivier BLANCHARD dialoga con Tito BOERI.

giovedì 11 giugno ore 18 su FB @festivaleconomiatrento – Nadia URBINATI dialoga con Andrea FRACASSO.

venerdì 12 giugno ore 19 su IG @librerialazzarelli – Vanessa ROGHI dialoga con Alessandro BARBAGLIA a partire da Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari. 

lunedì 15 giugno ore 17 su FB @festivalsaluteglobale – Alessandro ROSINA dialoga con Paolo POSSOMAI.

martedì 16 giugno ore 18.30 su FB @UbikTiburtina – Carlo GREPPI dialoga con Elisabetta DI MINICO a partire da L’antifascismo non serve più a niente.

martedì 16 giugno ore 19 su IG @ortolanileo – Leo ORTOLANI dialoga con Mario TOZZI a partire da Dinosauri che ce l’hanno fatta.

mercoledì 17 giugno ore 17 su FB @festivalsaluteglobale – Saba ANGLANA dialoga con Barbara BONOMI ROMAGNOLI.

mercoledì 17 giugno ore 18 su canali @festivaleconomiatrento – dialogo tra Tito BOERI, Roberto GUALTIERI, Guido TABELLINI.

giovedì 18 giugno ore 18 sui canali @festivaleconomiatrento – dialogo tra Paolo COLLINI, Giuseppe LATERZA, Gaetano MANFREDI.

venerdì 19 giugno ore 18.30 su Twitch LegaNerd – incontro con Leo ORTOLANI autore di  Dinosauri che ce l’hanno fatta.


lunedì 22 giugno ore 17 su FB @festivalsaluteglobale – Giuseppe LATERZA dialoga con Giovanni VECCHI.

lunedì 22 giugno ore 21 su FB @mariocalabresiofficial – Mario CALABRESI dialoga con Cora RANCI a partire da Ustica. Una ricostruzione storica.

martedì 23 giugno ore 11 sui canali del Festival Economia Trento – Enzo CIPOLLETTA dialoga con Maria Patrizia GRIECO.

martedì 23 giugno ore 18 su FB @editorilaterza – Paolo FERRI dialoga con Umberto GUIDONI a partire da Il cacciatore di comete.

martedì 23 giugno ore 18.30 su FB @LibreriaLaMontaganaTorino – Enrico CAMANNI dialoga con Maurizio BOVO a partire da Il Grande Libro del Ghiaccio.

giovedì 25 giugno ore 15 sui canali del Festival Economia Trento – Walter RICCIARDI dialoga con Gilberto TURATI. Modera Laura BERTI.

venerdì 26 giugno ore 13 su FB @editorilaterza – Enrico CAMANNI dialoga con Pietro VERONESE a partire da Il Grande Libro del Ghiaccio

mercoledì 1 luglio ore 13 su FB @editorilaterza – Luana DE FRANCISCO e Ugo DINELLO dialogano a partire da Crimini a Nord-Est

mercoledì 1 luglio ore 18.30 su FB @tomo.libreriacaffè – Vanessa ROGHI dialoga con Silvana SOLA a partire da Lezioni di Fantastica

giovedì 2 luglio ore 15 sui canali del Festival Economia Trento – Alessandra CASARICO e Chiara SARACENO dialogano sul ‘gender gap’.

lunedì 6 luglio ore 18 su Fb @librerie.coopAmbasciatori – Pier Giorgio ARDENI dialoga con Gianni CUPERLO a partire da Le radici del populismo

martedì 7 luglio ore 15 sui canali del Festival Economia Trento – Enzo CIPOLLETTA dialoga con Alberto VIANO

martedì 7 luglio ore 18.30 su FB @Tomo.LibreriaCaffè – Paolo FERRI dialoga con Ettore PEROZZI a partire da Il cacciatore di comete

mercoledì 8 luglio ore 17 ore 17 su Fb @festivalsaluteglobale – Guido RUBBUOLI dialoga con Nicla PANCIERA

mercoledì 8 luglio ore 18 sui canali del Festival Economia Trento – Tito BOERI dialoga con Giulio TREMONTI

giovedì 9 luglio ore 15.30 sui canali del Festival Economia Trento – Andrea FRACASSO dialoga con Nathalie TOCCI


Casa Laterza

CasaLaterza
#CASALATERZA. Conversazioni d’autore

Da mercoledì 18 marzo alle 12.00  in diretta
sul profilo Instagram @EditoriLaterza

In queste giornate eccezionali desideriamo condividere con i nostri lettori quanto di più prezioso abbiamo: lo sguardo dei nostri autori sulla nostra contemporaneità. Per questo abbiamo pensato all’iniziativa #CasaLaterza: da mercoledì 18 marzo tra le 12.00 e le 13.00, in diretta sull’account Instagram di Editori Laterza converseremo con storici, economisti, giornalisti, scienziati che animano con le loro idee il nostro catalogo.

Ci collegheremo con la loro casa e condivideremo domande, curiosità, dubbi, riflessioni sul loro lavoro, su questo tempo e su quello che verrà.

«Partiremo – dichiara Giuseppe Laterza – dai libri perché è il nostro lavoro, ma anche perché pensiamo che i buoni libri aiutino sempre a vivere meglio e a pensare il presente. Ogni giorno, apriremo la finestra di casa – la casa editrice in cui lavoriamo – per guardare al mondo fuori. Come si fa, appunto quando si apre un libro.»

PROGRAMMA (può subire variazioni):

giovedì 7 maggio – Eva CANTARELLA – storica (alle ore 17 sulla pagina FB @editorilaterza)

venerdì 8 maggio – Natalino RUSSO – giornalista e scrittore

mercoledì 13 maggio – Stefano ALLIEVI – sociologo (alle ore 18 sulla pagina FB @editorilaterza)

venerdì 15 maggio – Simone PIERANNI – giornalista (alle ore 18 su IG)

EVENTI PASSATI

mercoledì 18 marzo – Enrico GIOVANNINI – economista

giovedì 19 marzo – Alessandro BARBERO – storico

venerdì 20 marzo –  Marta FANA – economista

lunedì 23 marzo – Andrea GIARDINA – storico

martedì 24 marzo – Amedeo FENIELLO – storico

martedì 24 marzo – Walter RICCIARDI – medico, OMS

mercoledì 25 marzo – Giorgio ZANCHINI – giornalista

giovedì 26 marzo – Simone PIERANNI – giornalista

venerdì 27 marzo – Carlo GREPPI – storico

lunedì 30 marzo – Alessandro PERISSINOTTO – docente di storytelling

martedì 31 marzo – Stefano MANCUSO – scienziato

mercoledì 1 aprile – Simona COLARIZI – storica

giovedì 2 aprile – Stefano VELLA – medico e scienziato

giovedì 2 aprile – Alessandro MARZO MAGNO – giornalista e scrittore

venerdì 3 aprile – Salvatore ROSSI – economista, presidente TIM

lunedì 6 aprile – Maurizio FERRARIS – filosofo

martedì 7 aprile – Gino RONCAGLIA – docente di Editoria digitale, esperto di nuovi media

mercoledì 8 aprile – Andrea MARCOLONGO – scrittrice

giovedì 9 aprile – Guido SCORZA – avvocato, docente di diritto delle nuove tecnologie

venerdì 10 aprile – Tito BOERI – economista

martedì 14 aprile – Claudia DE LILLO (ELASTI) – scrittrice e giornalista

mercoledì 15 aprile – Francesca CRESCENTINI (TEGAMINI) – traduttrice e blogger

mercoledì 15 aprile – Federico RAMPINI (alle 17 sulla pagina FB @editorilaterza)

giovedì 16 aprile – Laura PEPE – storica

venerdì 17 aprile – Rocco PINTO – libraio

lunedì 20 aprile – Paolo CORNAGLIA FERRARIS – medico

martedì 21 aprile – Nora MERCURIO – rights director Suhrkamp

mercoledì 22 aprile – Pietro Del Soldà – giornalista

giovedì 23 aprile – Maurizio VIROLI – filosofo

giovedì 23 aprile – Luciano CANFORA (alle ore 17 sulla pagina FB @editorilaterza)

venerdì 24 aprile – Marcello FLORES – storico

lunedì 27 aprile – Vanni SANTONI – scrittore

martedì 28 aprile – Gianmarco OTTAVIANO – esperto di Economia internazionale

mercoledì 29 aprile – Costantino D’Orazio – storico dell’arte

giovedì 30 aprile – Enzo CIPOLLETTA  – economista

lunedì 4 maggio – Hervé BARMASSE – alpinista

mercoledì 6 maggio – Paola DUBINI – professore di Management all’Università Bocconi di Milano


Sospensione Lezioni di Storia

Lezioni di Storia
Le Lezioni di Storia sono sospese fino al 3 aprile 2020

Le Lezioni di Storia sono sospese fino al 3 aprile, in ottemperanza al Dpcm del 4 marzo 2020 emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di contrastare e contenere il diffondersi del Covid-19.

Dettagli in merito a nuove date o eventuali rimborsi saranno disponibili contattando le biglietterie dei singoli teatri:

Le opere dell’uomo – Roma – Auditorium Parco della Musica 
Il carattere degli italiani – Milano – Teatro Carcano
Romanzi nel tempo – Udine ­–  Teatro Nuovo Giovanni da Udine 
I volti del potere – Trieste – Teatro Verdi 
I volti del potere – Brescia – Teatro Grande

Ci auguriamo di poter tornare presto a riunirci di persona!

Editori Laterza

Francesco Guglieri – Leggere la terra e il cielo. Letteratura scientifica per non scienziati

Particolare di copertina
Letteratura scientifica per non scienziati

Un viaggio tra le meraviglie dell’universo, usando i classici della letteratura scientifica come bussola. Un’ode alla curiosità infinita degli esseri umani.

I libri di scienza ci ricordano che la realtà con cui abbiamo a che fare è una, per tutti, e ci richiamano alla complessità dei fenomeni. I libri di scienza ci obbligano a pensare la complessità. Non ad averne paura.

Così ho messo insieme un canone personale e sentimentale, una guida per costruirsi una biblioteca scientifica minima. Il mio non è uno sguardo da scienziato, non lo sono, ma è uno sguardo alle cose di scienza da scrittore, da letterato, da umanista. In ultima analisi, uno sguardo da lettore. La lettura è uno dei pochi spazi di libertà: libertà di immaginare e di imparare, certo, ma non solo. Leggendo facciamo esperienza della solitudine, impariamo «a stare soli», come dice Jonathan Franzen, ed è solo in questa solitudine che misuriamo la distanza tra noi e le cose, tra noi e gli altri.

Riflettendo sulla sua condizione di lettore, Franzen scrive: «come potevo non sentirmi estraniato? Io ero un lettore. La mia essenza mi aspettava da sempre, e adesso mi dava il benvenuto. D’improvviso mi accorsi di quanto fossi ansioso di costruire e abitare un mondo immaginario. Prima quell’ansia mi era sembrata una solitudine nella quale avevo rischiato di morire. Ma adesso come potevo pensare di dover guarire per sentirmi a mio agio nel mondo “reale”? Non serviva una cura, né a me né al mondo; l’unica cosa che necessitava di cure era la consapevolezza del mio posto nel mondo. Senza quella consapevolezza – senza un senso di appartenenza al mondo reale – non si poteva essere felici in un mondo immaginario». E in questa solitudine siamo disponibili a farci invadere da ciò che non conosciamo, ci apriamo all’imprevisto, all’accoglienza di ciò che non sapevamo sarebbe giunto. Senza solitudine non c’è libertà.

Ma i libri di scienza ci allenano anche a un altro tipo di libertà. Verso la fine degli anni Settanta, Italo Calvino rispose a una piccola polemica che si animò sulle pagine del «Corriere della Sera»: l’astronoma Margherita Hack lo aveva accusato di aver travisato alcuni concetti relativi, guarda un po’, proprio ai buchi neri partendo da un articolo di Kip Thorne. La Hack aveva senz’altro ragione nello specifico ma, rispose Calvino, il punto era un altro: lui «usava» la scienza in un altro modo. La usava come una straordinaria riserva di caccia per l’immaginazione, una palestra per l’esercizio della fantasia. «Per uno che pensa per immagini», scrive Calvino nella sua replica, «e che va continuamente in caccia di immagini al limite del pensabile, questo è un duro colpo [l’invito della Hack a non occuparsi di buchi neri]: come incontrare un cartello di “caccia vietata” in un bosco (la scienza) che per lui è una riserva di pregiata selvaggina». D’altronde, prosegue, «il pensiero per immagini funziona secondo il meccanismo dell’analogia, riducibile a contrapposizioni molto semplici: il dentro e il fuori, il pieno e il vuoto, la luce e il buio, l’alto e il basso, e così via. E può accadere alle volte che queste strade incrocino quelle della scienza di oggi, o le accompagnino per un tratto».

Pare che anche Coleridge, il grande poeta del Romanticismo inglese, seguisse le lezioni di chimica alla Royal Institution. Quando qualcuno gli domandò perché si sottoponesse a quel tormento, Coleridge avrebbe risposto: «Per arricchire la mia riserva di metafore». Basterebbe un breve, parzialissimo elenco di come la scienza ha provato a verbalizzare le proprie scoperte e ipotesi per capire quanto, a produzioni di metafore, gli scienziati non sono secondi ai più visionari tra i poeti: luce zodiacale, rumore cosmico di fondo, singolarità, campi, orizzonte degli eventi, rumore bianco, stringhe, spazio curvo, dimensioni arrotolate, rottura della simmetria, punti di fuga, modelli ombelicali, nodi infiniti, polvere di Cantor…

Tra le libertà di cui un lettore fa esperienza, c’è anche quella di usare i libri in maniera diversa da quello per cui sono stati scritti. Dirottarli. Hackerarli e usarli per tutt’altro: un buco nero può parlare della comunicazione, la fisica quantistica della memoria, l’estinzione ci illumina sul nostro rapporto col tempo, il cambiamento climatico è anche un modo per vedere quanto abbiamo smesso di pensare al futuro.

Leggere la terra e il cielo non ha la pretesa di essere esaustivo, di esaurire un argomento quasi infinito, né quella di operare una selezione “oggettiva” – qualsiasi cosa voglia dire – dei libri di scienza. Non troverete i libri più belli o tutti i più importanti: troverete quelli che sono i più belli e i più importanti per me. E non sono rappresentati nemmeno tutti i campi del sapere scientifico. Ci sono diciannove titoli: più o meno i libri che si possono leggere in un anno, senza sforzarsi troppo e concedendosi il giusto tempo per assimilare e approfondire cosa c’è scritto. Immaginatelo come un anno di detox intellettuale, un corso accelerato per imparare a tenere gli occhi aperti davanti al nuovo.

Scrivendo di questi libri mi sono accorto che, titolo dopo titolo, andavano a costruire una specie di mappa, o forse, meglio, l’asterismo di una costellazione: singole stelle che rivelano un disegno, una figura ulteriore, quando le si collega fra loro su quel grande foglio oscuro che è il cielo notturno. Messi in fila, in altri termini, questi libri tracciavano una piccola storia dell’universo, dal Big Bang ai misteri della cosmologia, alla natura ultima dello spazio e del tempo, ai più grandi e affascinanti corpi celesti, come i buchi neri, via via fino alla formazione del sistema solare, al sorgere della vita sulla terra, alla sua evoluzione, all’apparizione dell’uomo, all’emergere della coscienza e alle domande sulla sua essenza, al formarsi dell’idea di pianeta, di natura, di globalità, fino all’oggi, alle scelte davanti a cui l’emergenza climatica e le estinzioni di massa ci mettono, fino al domani, alla necessità di tornare a immaginare il futuro.

Mi chiederete: ma alla fine di cosa parla Leggere la terra e il cielo? Un modo veloce di dirlo potrebbe essere questo: parla dell’inevitabile impossibilità di capire del tutto quello che sta succedendo intorno a noi, l’inevitabile tentativo di farlo, e l’imprevisto piacere che ne deriva. Parla di scoperte, del piacere di inoltrarsi in interi mondi che non conosciamo. Parla della curiosità e di come prendersene cura, di questa curiosità. Di come nutrirla e farla crescere. Parla della disponibilità ad ascoltare storie e idee apparentemente lontane da noi. E parla della disponibilità ad ascoltare in generale, perché, se saremo lettori curiosi e disponibili, forse saremo anche persone un po’ più curiose e disponibili. Non è detto, ma è senz’altro un buon inizio. Parla di meraviglia e stupore, ma parla anche di paure e preoccupazioni.

Parla del nuovo sublime e di come, se vogliamo, può cambiarci la vita.

Francesco Guglieri, Leggere la terra e il cielo. Letteratura scientifica per non scienziati


Francesco Guglieri, saggista ed editor, post doc in Letterature comparate, ha lavorato alle università di Torino e Genova.

Emma – Bastava chiedere!

Emma, Bastava chiedere!
Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano

 

10 storie a fumetti, esilaranti e insieme terribilmente serie, che ogni donna (e uomo) dovrebbe leggere: raccontano la vita delle donne contemporanee al lavoro, in coppia, in famiglia, in società.

Qui l’introduzione di Michela Murgia, buona lettura.

 

Sono stata cresciuta da due famiglie che, in sequenza, si sono occupate della mia crescita e della mia formazione, ciascuna con i suoi mezzi. Nonostante il fatto che una delle mie due mamme facesse un lavoro imprenditoriale che la portava fuori casa e l’altra fosse una casalinga, entrambe erano sposate a uomini che non avevano idea di dove fossero riposte le loro mutande.

Intorno a me, ma anche in ogni nucleo familiare che frequentavamo, l’intera organizzazione della vita familiare era in carico alle donne e questa pesante forma di managerialità imposta l’ho sentita definire molte volte con orgoglio «matriarcato», spacciato per di più come prodotto tipico con la scusa che eravamo in Sardegna, un luogo considerato «altro dal mondo» anche nella testa di molti sardi e sarde. Il maschilismo qui è un’apparenza. Sono le donne a comandare davvero in Sardegna, ripetevano continuamente le donne che conoscevo, mentre i maschi annuivano sornioni come se fosse vero. Se la donna si ferma non funziona più niente. La vera padrona è lei.

Per molto tempo questa narrazione dei rapporti di potere mi è bastata perché aveva una sua autoevidenza, sebbene sentissi che conteneva anche qualcosa di radicalmente falsato. Se infatti era vero che mia nonna aveva le chiavi di casa, era altrettanto vero che non ne usciva mai. Ci sono voluti anni di femminismo letto, condiviso e agito per capire che quello che avevo sempre sentito chiamare benevolmente matriarcato era in realtà semplice matricentrismo e non descriveva per nulla il comando occulto delle donne, ma la responsabilità palese che esse erano costrette ad assumere per reggere un sistema di potere che era e rimaneva profondamente patriarcale.

Era senza dubbio vero che se le donne nelle mie famiglie si fossero fermate niente avrebbe più funzionato, ma questo non faceva di loro le padrone; piuttosto le rendeva l’ingranaggio fondamentale di un meccanismo creato apposta perché padrone non lo diventassero mai, nemmeno di se stesse, se non al prezzo di sensi di colpa e solitudine. In quel sistema non è la persona-donna il fulcro, ma la funzione materna (e dunque generativa e curativa) che agisce anche a prescindere dal fatto che ci siano figli o meno.

La donna la assume su di sé perché è educata a pensare di esservi naturalmente più portata e lo fa prendendosi anche il carico emotivo di sapere che “se per caso non lo facesse o volesse smettere di farlo” l’intero sistema dei suoi rapporti verrebbe giù, dato che è costruito usando proprio quella funzione come punto di scarico di tutta la struttura. Una volta compreso questo, non ho mai più accettato di sentire l’affermazione secondo la quale il matriarcato è quella cosa per cui in casa c’è una persona che sa dove sono le mutande di tutti.

Ho anzi cominciato a discutere con chi, donne comprese, ancora crede che quella dinamica sia un potere delle donne e vada mantenuto, magari costruendoci sopra qualche altra leggenda apparentemente lusinghiera, come quella che vorrebbe le donne migliori degli uomini, descritti tutti come poveri inetti incapaci di badare a sé stessi. (Fallo tu che sei molto più brava. Fallo tu che a te viene meglio. Fallo tu che a te queste cose piacciono.).

Quando i miei genitori adottivi sono invecchiati, mia madre mi confidava che nelle sue preghiere chiedeva a Dio una sola grazia: di non morire prima del marito, perché senza di lei sarebbe stato un uomo perso. Io replicavo che a farsi da mangiare era capace e che a pagare le bollette e a sbrigare le incombenze domestiche avrebbe imparato, come tutti. Lei scuoteva la testa e diceva: «Non capisci. Non è che non saprebbe farle. Non saprebbe proprio pensarle».

Quel che voleva dire è che se lui fosse morto prima, lei sarebbe rimasta vedova; ma se a morire per prima fosse stata lei, lui sarebbe rimasto orfano, un eterno bambino che aveva attraversato la vita come un parco giochi che qualcun altro ogni sera aveva rimesso silenziosamente in ordine per lui, perché non dovesse preoccuparsi di altro che ricominciare da dove aveva interrotto.

In quella surreale preghiera di morte mia madre mi dimostrava di avere già capito quello che l’autrice di questo libro ha, con grande intelligenza, messo in forma di vignetta: il concetto di carico mentale, quel processo per cui si chiede alle donne di complicarsi la vita per semplificare quella di chi amano. Il sottinteso ricattatorio, che resta ai miei occhi la forma peggiore di manipolazione emotiva mai inventata, è che se si rifiutano di assumere questo ruolo allora non è vero amore.

O non è vera donna.

Così, mentre la donna di quella famiglia si preoccupava di come provvedere all’accudimento del marito anche post mortem, nell’altra mia famiglia anche la madre che lavorava fuori casa si alzava alle quattro del mattino per stirare, pulire e avviare i pasti, lasciandoci le liste ordinate delle sequenze da compiere in sua assenza.

Per lei non smettere di fare il «lavoro delle donne» era il solo modo per guadagnarsi il diritto di fare il proprio, e per molte di noi “figlie annichilite dal martirio di queste mamme wonderwoman” l’emancipazione si è fermata a quella falsa rappresentazione, al punto tale che l’unico modo per uscirne che abbiamo trovato è stato pagare qualcun’altra per fare al posto nostro almeno le faccende.

Affrontare il discorso dello squilibrio di carico mentale è ancora un fronte poco battuto del dibattito mainstream sul dislivello di genere ed è anche uno dei più rischiosi, perché tocca direttamente la struttura dei rapporti personali. Tutti sono d’accordo sul fatto che la differenza salariale tra i sessi sia inaccettabile in un paese civile dove uomini e donne dovrebbero avere gli stessi diritti, ma pochissimi sono disposti ad ammettere che anche a parità di salario quello tra i sessi rimarrebbe un dislivello, perché allo stato attuale della consapevolezza sociale tutte le migliori energie degli uomini sono dedicate al loro lavoro e alle loro passioni, mentre quelle delle donne devono continuamente defluire verso l’organizzazione dell’accudimento degli affetti.

Se gli uomini nella vita vengono sospinti verso un «perché», alle donne si insegna ancora ad agire motivate da un «per chi», senza il quale viene loro detto che le loro vite saranno incomplete, che i loro cuori si inaridiranno, che vivranno egoiste e moriranno sole senza mai sperimentare la pienezza della femminilità. Molte, troppe, hanno creduto a questa favola nera e continuano a crederci ogni giorno, mettendo la loro concentrazione, la loro competenza relazionale, la loro creatività e il loro tempo a disposizione dello sviluppo delle vite altrui.

Non sapremo mai quante di noi hanno detto di no alla politica, all’arte, alla responsabilità di una promozione o a un ruolo di comando perché spaventate dall’ipotesi di far convivere il carico mentale di un lavoro complesso con quello che stavano già gestendo all’interno delle loro relazioni. La perdita in termini di valore sociale di questa continua mutilazione delle energie creative e fisiche di un solo sesso è forse calcolabile in termini di PIL, ma inestimabile in quelli della sofferenza e della frustrazione che tante persone attraversano quotidianamente a causa del fatto che sono state simbolicamente indotte a credere che il solo modo per essere interamente donne fosse spezzarsi per gli altri.

Per molte di noi vedersi in questo libro sarà una rivelazione, per altre un dolore, per tutte un’opportunità preziosa: diventare più consapevoli dell’esistenza del dislivello per poterlo affrontare per quello che è, cioè un dato sociale storicizzato e modificabile, non una condizione di natura senza possibilità di scampo. È tuttavia agli uomini che questo testo va fatto leggere, perché mette bene in chiaro dentro a quale enorme vantaggio sociale si trovino a vivere per il solo fatto di essere figli, compagni o fratelli di donne che sono state cresciute per pensare a loro prima che a sé stesse.

Regalatelo a tutti: colleghi, padri, compagni, amici, fratelli, mariti delle vostre amiche, tutti. Mettetelo in mano a ogni singolo uomo che conoscete, perché la rivoluzione della reciprocità non sarà compiuta fino al giorno in cui ci metteremo a desiderarla tutti insieme.

Michela Murgia

Emma, Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano


Emma (1981) è blogger, fumettista, ingegnera informatica francese. 

Lorenzo Braccesi – Arrivano i barbari. Le guerre persiane tra poesia e memoria


Le guerre persiane tra poesia e memoria

Nella memoria collettiva degli antichi e nella memoria riflessa dei moderni le guerre persiane – più ancora che sulla vittoria ateniese di Maratona – si concentrano soprattutto sui grandi conflitti panellenici combattuti, nel 480 a.C., alle Termopili e a Salamina, cioè sugli eventi della seconda guerra persiana, che hanno per corollario gli scontri di Platea e di Micale nell’anno successivo. Ed è per questa ragione – considerata anche la documentazione in nostro possesso – che in questo libro ci concentreremo sulla narrazione e sulla celebrazione, in esaltanti scritture poetiche, delle epiche gesta della confederazione ellenica contro la soverchiante armata di terra e di mare approntata dal Gran Re Serse per asservire le comunità greche che gli si opponevano.

Le testimonianze letterarie che ci accompagneranno nell’indagine rimandano a testi poetici noti e meno noti, dagli epitaffi di Simonide – o a Simonide attribuiti – ai Persiani di Eschilo, dall’omonimo dramma di Timoteo all’Alessandra di Licofrone. Scritture epiche o liriche cui altre vanno aggiunte non meno suggestive per carica emotiva, seppure pervenuteci in forma anonima, come le profezie di marca delfica e le commemorazioni su pietra. Le gesta ivi ricordate, o pubblicamente celebrate per edificazione della posterità, hanno per protagonisti gli Spartani alle Termopili e gli Ateniesi a Salamina, mentre scarse sono le testimonianze relative ad altre genti che pure combatterono al loro fianco.

Il principale problema che, in corso d’opera, si è presentato all’autore è quello delle traduzioni da proporre al lettore. Quelle a sua disposizione erano fin troppo dissimili tra loro per stilemi di scrittura, per epoca di composizione e per adozione di rese espressive. Ciò che l’autore voleva, non l’ha trovato, giacché cercava traduzioni con un qualche andamento ritmico che le distinguesse dalla prosa, e tra loro non troppo disomogenee. E così è ricorso a una propria ‘rivisitazione’ dei luoghi poetici analizzati nel libro, alternando nella fatica due tra i più discorsivi versi della metrica italiana: l’endecasillabo e il settenario.

I testi presi in considerazione hanno rivelato la perenne vitalità di alcuni temi celebrativi o le insospettate, seppure talora inconsapevoli, radici classiche di alcune note canzoni patriottiche che tutti abbiamo nell’orecchio. Ragione che ha spinto non solo ad approfondire la ricerca, ma addirittura a dedicargli la seconda parte del libro, dove si spiega al lettore come il tema risorgimentale della vittoria dei vinti risalga alla celebrazione delle Termopili, come sempre alla memoria delle Termopili si ispiri la celebrazione risorgimentale dei ‘trecento’ immolatisi a Sapri o dei partigiani ricordati nelle parole di uno sventurato cantautore ligure, come l’inno garibaldino “si scopron le tombe” abbia un precedente in un epigramma greco, come la costruzione simbolica della ‘idra straniera’ riconduca all’armata di Serse, come, infine, la triplice associazione del fiore della morte e della libertà, che rivive nella più celebre canzone della Resistenza, abbia essa pure una radice antica. A lato del paradigma terrestre dei caduti alle Termopili c’è quello della vittoria marinara di Salamina, il quale con la modernità ha certamente minori connessioni di carattere popolare, ma, al pari della memoria della battaglia di Micale, più intense strumentalizzazioni di connotazione propagandistica, come ad esempio la sovrapposizione di immagine tra Temistocle e Nelson, o l’equiparazione tra Persiani e Turchi, entrambi nemici e antagonisti della civiltà dell’Occidente, o la spericolata politicizzazione di “giovinezza, giovinezza” alle origini un semplice e innocuo canto goliardico.

Queste, talora inaspettate, proiezioni dell’antico, ospitate nella seconda parte del libro, hanno per riferimento la poesia – e più spesso la versificazione – italiana, che, per operare una scelta, abbiamo limitato a ‘campioni’ selezionati nell’ambito della produzione letteraria dell’Ottocento, non escludendo – presentandosi il caso – qualche incursione nel secolo successivo. Non c’è però scelta che non conosca eccezioni. Le nostre si limitano alla pagina di tre poeti stranieri: Hölderlin, Kavafis e Pound. I primi perché i loro componimenti su Salamina e sulle Termopili sono imprescindibili per l’intelligenza di due temi guida di questa ricerca, e nel caso di Hölderlin perché, negli autori successivi, la sua scrittura poetica è fonte di ispirazione e di imitazione talora confusa con la stessa parola dell’antico. Il terzo, Pound, giacché un suo solo singolo verso, seppure suggerito da un’ideologia distorta, sintetizza in forma mirabile l’intera problematica alla base delle nostre pagine.

Ovviamente ogni selezione di materiale ha i suoi limiti, o poteva essere in altre direzioni orientata, ma questo è il condizionamento strutturale di qualsiasi scelta. Chi scrive ne avverte tutto il peso.

Lorenzo Braccesi, Arrivano i barbari. Le guerre persiane tra poesia e memoria


Lorenzo Braccesi è stato professore ordinario di Storia greca nelle Università di Torino, Venezia e Padova.