Casa Laterza

CasaLaterza
#CASALATERZA. Conversazioni d’autore

Da mercoledì 18 marzo alle 12.00  in diretta
sul profilo Instagram @EditoriLaterza

In queste giornate eccezionali desideriamo condividere con i nostri lettori quanto di più prezioso abbiamo: lo sguardo dei nostri autori sulla nostra contemporaneità. Per questo abbiamo pensato all’iniziativa #CasaLaterza: da mercoledì 18 marzo tra le 12.00 e le 13.00, in diretta sull’account Instagram di Editori Laterza converseremo con storici, economisti, giornalisti, scienziati che animano con le loro idee il nostro catalogo.

Ci collegheremo con la loro casa e condivideremo domande, curiosità, dubbi, riflessioni sul loro lavoro, su questo tempo e su quello che verrà.

«Partiremo – dichiara Giuseppe Laterza – dai libri perché è il nostro lavoro, ma anche perché pensiamo che i buoni libri aiutino sempre a vivere meglio e a pensare il presente. Ogni giorno, apriremo la finestra di casa – la casa editrice in cui lavoriamo – per guardare al mondo fuori. Come si fa, appunto quando si apre un libro.»

PROGRAMMA (può subire variazioni):

giovedì 7 maggio – Eva CANTARELLA – storica (alle ore 17 sulla pagina FB @editorilaterza)

venerdì 8 maggio – Natalino RUSSO – giornalista e scrittore

mercoledì 13 maggio – Stefano ALLIEVI – sociologo (alle ore 18 sulla pagina FB @editorilaterza)

venerdì 15 maggio – Simone PIERANNI – giornalista (alle ore 18 su IG)

EVENTI PASSATI

mercoledì 18 marzo – Enrico GIOVANNINI – economista

giovedì 19 marzo – Alessandro BARBERO – storico

venerdì 20 marzo –  Marta FANA – economista

lunedì 23 marzo – Andrea GIARDINA – storico

martedì 24 marzo – Amedeo FENIELLO – storico

martedì 24 marzo – Walter RICCIARDI – medico, OMS

mercoledì 25 marzo – Giorgio ZANCHINI – giornalista

giovedì 26 marzo – Simone PIERANNI – giornalista

venerdì 27 marzo – Carlo GREPPI – storico

lunedì 30 marzo – Alessandro PERISSINOTTO – docente di storytelling

martedì 31 marzo – Stefano MANCUSO – scienziato

mercoledì 1 aprile – Simona COLARIZI – storica

giovedì 2 aprile – Stefano VELLA – medico e scienziato

giovedì 2 aprile – Alessandro MARZO MAGNO – giornalista e scrittore

venerdì 3 aprile – Salvatore ROSSI – economista, presidente TIM

lunedì 6 aprile – Maurizio FERRARIS – filosofo

martedì 7 aprile – Gino RONCAGLIA – docente di Editoria digitale, esperto di nuovi media

mercoledì 8 aprile – Andrea MARCOLONGO – scrittrice

giovedì 9 aprile – Guido SCORZA – avvocato, docente di diritto delle nuove tecnologie

venerdì 10 aprile – Tito BOERI – economista

martedì 14 aprile – Claudia DE LILLO (ELASTI) – scrittrice e giornalista

mercoledì 15 aprile – Francesca CRESCENTINI (TEGAMINI) – traduttrice e blogger

mercoledì 15 aprile – Federico RAMPINI (alle 17 sulla pagina FB @editorilaterza)

giovedì 16 aprile – Laura PEPE – storica

venerdì 17 aprile – Rocco PINTO – libraio

lunedì 20 aprile – Paolo CORNAGLIA FERRARIS – medico

martedì 21 aprile – Nora MERCURIO – rights director Suhrkamp

mercoledì 22 aprile – Pietro Del Soldà – giornalista

giovedì 23 aprile – Maurizio VIROLI – filosofo

giovedì 23 aprile – Luciano CANFORA (alle ore 17 sulla pagina FB @editorilaterza)

venerdì 24 aprile – Marcello FLORES – storico

lunedì 27 aprile – Vanni SANTONI – scrittore

martedì 28 aprile – Gianmarco OTTAVIANO – esperto di Economia internazionale

mercoledì 29 aprile – Costantino D’Orazio – storico dell’arte

giovedì 30 aprile – Enzo CIPOLLETTA  – economista

lunedì 4 maggio – Hervé BARMASSE – alpinista

mercoledì 6 maggio – Paola DUBINI – professore di Management all’Università Bocconi di Milano


Sospensione Lezioni di Storia

Lezioni di Storia
Le Lezioni di Storia sono sospese fino al 3 aprile 2020

Le Lezioni di Storia sono sospese fino al 3 aprile, in ottemperanza al Dpcm del 4 marzo 2020 emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di contrastare e contenere il diffondersi del Covid-19.

Dettagli in merito a nuove date o eventuali rimborsi saranno disponibili contattando le biglietterie dei singoli teatri:

Le opere dell’uomo – Roma – Auditorium Parco della Musica 
Il carattere degli italiani – Milano – Teatro Carcano
Romanzi nel tempo – Udine ­–  Teatro Nuovo Giovanni da Udine 
I volti del potere – Trieste – Teatro Verdi 
I volti del potere – Brescia – Teatro Grande

Ci auguriamo di poter tornare presto a riunirci di persona!

Editori Laterza

Francesco Guglieri – Leggere la terra e il cielo. Letteratura scientifica per non scienziati

Particolare di copertina
Letteratura scientifica per non scienziati

Un viaggio tra le meraviglie dell’universo, usando i classici della letteratura scientifica come bussola. Un’ode alla curiosità infinita degli esseri umani.

I libri di scienza ci ricordano che la realtà con cui abbiamo a che fare è una, per tutti, e ci richiamano alla complessità dei fenomeni. I libri di scienza ci obbligano a pensare la complessità. Non ad averne paura.

Così ho messo insieme un canone personale e sentimentale, una guida per costruirsi una biblioteca scientifica minima. Il mio non è uno sguardo da scienziato, non lo sono, ma è uno sguardo alle cose di scienza da scrittore, da letterato, da umanista. In ultima analisi, uno sguardo da lettore. La lettura è uno dei pochi spazi di libertà: libertà di immaginare e di imparare, certo, ma non solo. Leggendo facciamo esperienza della solitudine, impariamo «a stare soli», come dice Jonathan Franzen, ed è solo in questa solitudine che misuriamo la distanza tra noi e le cose, tra noi e gli altri.

Riflettendo sulla sua condizione di lettore, Franzen scrive: «come potevo non sentirmi estraniato? Io ero un lettore. La mia essenza mi aspettava da sempre, e adesso mi dava il benvenuto. D’improvviso mi accorsi di quanto fossi ansioso di costruire e abitare un mondo immaginario. Prima quell’ansia mi era sembrata una solitudine nella quale avevo rischiato di morire. Ma adesso come potevo pensare di dover guarire per sentirmi a mio agio nel mondo “reale”? Non serviva una cura, né a me né al mondo; l’unica cosa che necessitava di cure era la consapevolezza del mio posto nel mondo. Senza quella consapevolezza – senza un senso di appartenenza al mondo reale – non si poteva essere felici in un mondo immaginario». E in questa solitudine siamo disponibili a farci invadere da ciò che non conosciamo, ci apriamo all’imprevisto, all’accoglienza di ciò che non sapevamo sarebbe giunto. Senza solitudine non c’è libertà.

Ma i libri di scienza ci allenano anche a un altro tipo di libertà. Verso la fine degli anni Settanta, Italo Calvino rispose a una piccola polemica che si animò sulle pagine del «Corriere della Sera»: l’astronoma Margherita Hack lo aveva accusato di aver travisato alcuni concetti relativi, guarda un po’, proprio ai buchi neri partendo da un articolo di Kip Thorne. La Hack aveva senz’altro ragione nello specifico ma, rispose Calvino, il punto era un altro: lui «usava» la scienza in un altro modo. La usava come una straordinaria riserva di caccia per l’immaginazione, una palestra per l’esercizio della fantasia. «Per uno che pensa per immagini», scrive Calvino nella sua replica, «e che va continuamente in caccia di immagini al limite del pensabile, questo è un duro colpo [l’invito della Hack a non occuparsi di buchi neri]: come incontrare un cartello di “caccia vietata” in un bosco (la scienza) che per lui è una riserva di pregiata selvaggina». D’altronde, prosegue, «il pensiero per immagini funziona secondo il meccanismo dell’analogia, riducibile a contrapposizioni molto semplici: il dentro e il fuori, il pieno e il vuoto, la luce e il buio, l’alto e il basso, e così via. E può accadere alle volte che queste strade incrocino quelle della scienza di oggi, o le accompagnino per un tratto».

Pare che anche Coleridge, il grande poeta del Romanticismo inglese, seguisse le lezioni di chimica alla Royal Institution. Quando qualcuno gli domandò perché si sottoponesse a quel tormento, Coleridge avrebbe risposto: «Per arricchire la mia riserva di metafore». Basterebbe un breve, parzialissimo elenco di come la scienza ha provato a verbalizzare le proprie scoperte e ipotesi per capire quanto, a produzioni di metafore, gli scienziati non sono secondi ai più visionari tra i poeti: luce zodiacale, rumore cosmico di fondo, singolarità, campi, orizzonte degli eventi, rumore bianco, stringhe, spazio curvo, dimensioni arrotolate, rottura della simmetria, punti di fuga, modelli ombelicali, nodi infiniti, polvere di Cantor…

Tra le libertà di cui un lettore fa esperienza, c’è anche quella di usare i libri in maniera diversa da quello per cui sono stati scritti. Dirottarli. Hackerarli e usarli per tutt’altro: un buco nero può parlare della comunicazione, la fisica quantistica della memoria, l’estinzione ci illumina sul nostro rapporto col tempo, il cambiamento climatico è anche un modo per vedere quanto abbiamo smesso di pensare al futuro.

Leggere la terra e il cielo non ha la pretesa di essere esaustivo, di esaurire un argomento quasi infinito, né quella di operare una selezione “oggettiva” – qualsiasi cosa voglia dire – dei libri di scienza. Non troverete i libri più belli o tutti i più importanti: troverete quelli che sono i più belli e i più importanti per me. E non sono rappresentati nemmeno tutti i campi del sapere scientifico. Ci sono diciannove titoli: più o meno i libri che si possono leggere in un anno, senza sforzarsi troppo e concedendosi il giusto tempo per assimilare e approfondire cosa c’è scritto. Immaginatelo come un anno di detox intellettuale, un corso accelerato per imparare a tenere gli occhi aperti davanti al nuovo.

Scrivendo di questi libri mi sono accorto che, titolo dopo titolo, andavano a costruire una specie di mappa, o forse, meglio, l’asterismo di una costellazione: singole stelle che rivelano un disegno, una figura ulteriore, quando le si collega fra loro su quel grande foglio oscuro che è il cielo notturno. Messi in fila, in altri termini, questi libri tracciavano una piccola storia dell’universo, dal Big Bang ai misteri della cosmologia, alla natura ultima dello spazio e del tempo, ai più grandi e affascinanti corpi celesti, come i buchi neri, via via fino alla formazione del sistema solare, al sorgere della vita sulla terra, alla sua evoluzione, all’apparizione dell’uomo, all’emergere della coscienza e alle domande sulla sua essenza, al formarsi dell’idea di pianeta, di natura, di globalità, fino all’oggi, alle scelte davanti a cui l’emergenza climatica e le estinzioni di massa ci mettono, fino al domani, alla necessità di tornare a immaginare il futuro.

Mi chiederete: ma alla fine di cosa parla Leggere la terra e il cielo? Un modo veloce di dirlo potrebbe essere questo: parla dell’inevitabile impossibilità di capire del tutto quello che sta succedendo intorno a noi, l’inevitabile tentativo di farlo, e l’imprevisto piacere che ne deriva. Parla di scoperte, del piacere di inoltrarsi in interi mondi che non conosciamo. Parla della curiosità e di come prendersene cura, di questa curiosità. Di come nutrirla e farla crescere. Parla della disponibilità ad ascoltare storie e idee apparentemente lontane da noi. E parla della disponibilità ad ascoltare in generale, perché, se saremo lettori curiosi e disponibili, forse saremo anche persone un po’ più curiose e disponibili. Non è detto, ma è senz’altro un buon inizio. Parla di meraviglia e stupore, ma parla anche di paure e preoccupazioni.

Parla del nuovo sublime e di come, se vogliamo, può cambiarci la vita.

Francesco Guglieri, Leggere la terra e il cielo. Letteratura scientifica per non scienziati


Francesco Guglieri, saggista ed editor, post doc in Letterature comparate, ha lavorato alle università di Torino e Genova.

Emma – Bastava chiedere!

Emma, Bastava chiedere!
Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano

 

10 storie a fumetti, esilaranti e insieme terribilmente serie, che ogni donna (e uomo) dovrebbe leggere: raccontano la vita delle donne contemporanee al lavoro, in coppia, in famiglia, in società.

Qui l’introduzione di Michela Murgia, buona lettura.

 

Sono stata cresciuta da due famiglie che, in sequenza, si sono occupate della mia crescita e della mia formazione, ciascuna con i suoi mezzi. Nonostante il fatto che una delle mie due mamme facesse un lavoro imprenditoriale che la portava fuori casa e l’altra fosse una casalinga, entrambe erano sposate a uomini che non avevano idea di dove fossero riposte le loro mutande.

Intorno a me, ma anche in ogni nucleo familiare che frequentavamo, l’intera organizzazione della vita familiare era in carico alle donne e questa pesante forma di managerialità imposta l’ho sentita definire molte volte con orgoglio «matriarcato», spacciato per di più come prodotto tipico con la scusa che eravamo in Sardegna, un luogo considerato «altro dal mondo» anche nella testa di molti sardi e sarde. Il maschilismo qui è un’apparenza. Sono le donne a comandare davvero in Sardegna, ripetevano continuamente le donne che conoscevo, mentre i maschi annuivano sornioni come se fosse vero. Se la donna si ferma non funziona più niente. La vera padrona è lei.

Per molto tempo questa narrazione dei rapporti di potere mi è bastata perché aveva una sua autoevidenza, sebbene sentissi che conteneva anche qualcosa di radicalmente falsato. Se infatti era vero che mia nonna aveva le chiavi di casa, era altrettanto vero che non ne usciva mai. Ci sono voluti anni di femminismo letto, condiviso e agito per capire che quello che avevo sempre sentito chiamare benevolmente matriarcato era in realtà semplice matricentrismo e non descriveva per nulla il comando occulto delle donne, ma la responsabilità palese che esse erano costrette ad assumere per reggere un sistema di potere che era e rimaneva profondamente patriarcale.

Era senza dubbio vero che se le donne nelle mie famiglie si fossero fermate niente avrebbe più funzionato, ma questo non faceva di loro le padrone; piuttosto le rendeva l’ingranaggio fondamentale di un meccanismo creato apposta perché padrone non lo diventassero mai, nemmeno di se stesse, se non al prezzo di sensi di colpa e solitudine. In quel sistema non è la persona-donna il fulcro, ma la funzione materna (e dunque generativa e curativa) che agisce anche a prescindere dal fatto che ci siano figli o meno.

La donna la assume su di sé perché è educata a pensare di esservi naturalmente più portata e lo fa prendendosi anche il carico emotivo di sapere che “se per caso non lo facesse o volesse smettere di farlo” l’intero sistema dei suoi rapporti verrebbe giù, dato che è costruito usando proprio quella funzione come punto di scarico di tutta la struttura. Una volta compreso questo, non ho mai più accettato di sentire l’affermazione secondo la quale il matriarcato è quella cosa per cui in casa c’è una persona che sa dove sono le mutande di tutti.

Ho anzi cominciato a discutere con chi, donne comprese, ancora crede che quella dinamica sia un potere delle donne e vada mantenuto, magari costruendoci sopra qualche altra leggenda apparentemente lusinghiera, come quella che vorrebbe le donne migliori degli uomini, descritti tutti come poveri inetti incapaci di badare a sé stessi. (Fallo tu che sei molto più brava. Fallo tu che a te viene meglio. Fallo tu che a te queste cose piacciono.).

Quando i miei genitori adottivi sono invecchiati, mia madre mi confidava che nelle sue preghiere chiedeva a Dio una sola grazia: di non morire prima del marito, perché senza di lei sarebbe stato un uomo perso. Io replicavo che a farsi da mangiare era capace e che a pagare le bollette e a sbrigare le incombenze domestiche avrebbe imparato, come tutti. Lei scuoteva la testa e diceva: «Non capisci. Non è che non saprebbe farle. Non saprebbe proprio pensarle».

Quel che voleva dire è che se lui fosse morto prima, lei sarebbe rimasta vedova; ma se a morire per prima fosse stata lei, lui sarebbe rimasto orfano, un eterno bambino che aveva attraversato la vita come un parco giochi che qualcun altro ogni sera aveva rimesso silenziosamente in ordine per lui, perché non dovesse preoccuparsi di altro che ricominciare da dove aveva interrotto.

In quella surreale preghiera di morte mia madre mi dimostrava di avere già capito quello che l’autrice di questo libro ha, con grande intelligenza, messo in forma di vignetta: il concetto di carico mentale, quel processo per cui si chiede alle donne di complicarsi la vita per semplificare quella di chi amano. Il sottinteso ricattatorio, che resta ai miei occhi la forma peggiore di manipolazione emotiva mai inventata, è che se si rifiutano di assumere questo ruolo allora non è vero amore.

O non è vera donna.

Così, mentre la donna di quella famiglia si preoccupava di come provvedere all’accudimento del marito anche post mortem, nell’altra mia famiglia anche la madre che lavorava fuori casa si alzava alle quattro del mattino per stirare, pulire e avviare i pasti, lasciandoci le liste ordinate delle sequenze da compiere in sua assenza.

Per lei non smettere di fare il «lavoro delle donne» era il solo modo per guadagnarsi il diritto di fare il proprio, e per molte di noi “figlie annichilite dal martirio di queste mamme wonderwoman” l’emancipazione si è fermata a quella falsa rappresentazione, al punto tale che l’unico modo per uscirne che abbiamo trovato è stato pagare qualcun’altra per fare al posto nostro almeno le faccende.

Affrontare il discorso dello squilibrio di carico mentale è ancora un fronte poco battuto del dibattito mainstream sul dislivello di genere ed è anche uno dei più rischiosi, perché tocca direttamente la struttura dei rapporti personali. Tutti sono d’accordo sul fatto che la differenza salariale tra i sessi sia inaccettabile in un paese civile dove uomini e donne dovrebbero avere gli stessi diritti, ma pochissimi sono disposti ad ammettere che anche a parità di salario quello tra i sessi rimarrebbe un dislivello, perché allo stato attuale della consapevolezza sociale tutte le migliori energie degli uomini sono dedicate al loro lavoro e alle loro passioni, mentre quelle delle donne devono continuamente defluire verso l’organizzazione dell’accudimento degli affetti.

Se gli uomini nella vita vengono sospinti verso un «perché», alle donne si insegna ancora ad agire motivate da un «per chi», senza il quale viene loro detto che le loro vite saranno incomplete, che i loro cuori si inaridiranno, che vivranno egoiste e moriranno sole senza mai sperimentare la pienezza della femminilità. Molte, troppe, hanno creduto a questa favola nera e continuano a crederci ogni giorno, mettendo la loro concentrazione, la loro competenza relazionale, la loro creatività e il loro tempo a disposizione dello sviluppo delle vite altrui.

Non sapremo mai quante di noi hanno detto di no alla politica, all’arte, alla responsabilità di una promozione o a un ruolo di comando perché spaventate dall’ipotesi di far convivere il carico mentale di un lavoro complesso con quello che stavano già gestendo all’interno delle loro relazioni. La perdita in termini di valore sociale di questa continua mutilazione delle energie creative e fisiche di un solo sesso è forse calcolabile in termini di PIL, ma inestimabile in quelli della sofferenza e della frustrazione che tante persone attraversano quotidianamente a causa del fatto che sono state simbolicamente indotte a credere che il solo modo per essere interamente donne fosse spezzarsi per gli altri.

Per molte di noi vedersi in questo libro sarà una rivelazione, per altre un dolore, per tutte un’opportunità preziosa: diventare più consapevoli dell’esistenza del dislivello per poterlo affrontare per quello che è, cioè un dato sociale storicizzato e modificabile, non una condizione di natura senza possibilità di scampo. È tuttavia agli uomini che questo testo va fatto leggere, perché mette bene in chiaro dentro a quale enorme vantaggio sociale si trovino a vivere per il solo fatto di essere figli, compagni o fratelli di donne che sono state cresciute per pensare a loro prima che a sé stesse.

Regalatelo a tutti: colleghi, padri, compagni, amici, fratelli, mariti delle vostre amiche, tutti. Mettetelo in mano a ogni singolo uomo che conoscete, perché la rivoluzione della reciprocità non sarà compiuta fino al giorno in cui ci metteremo a desiderarla tutti insieme.

Michela Murgia

Emma, Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano


Emma (1981) è blogger, fumettista, ingegnera informatica francese. 

Lorenzo Braccesi – Arrivano i barbari. Le guerre persiane tra poesia e memoria


Le guerre persiane tra poesia e memoria

Nella memoria collettiva degli antichi e nella memoria riflessa dei moderni le guerre persiane – più ancora che sulla vittoria ateniese di Maratona – si concentrano soprattutto sui grandi conflitti panellenici combattuti, nel 480 a.C., alle Termopili e a Salamina, cioè sugli eventi della seconda guerra persiana, che hanno per corollario gli scontri di Platea e di Micale nell’anno successivo. Ed è per questa ragione – considerata anche la documentazione in nostro possesso – che in questo libro ci concentreremo sulla narrazione e sulla celebrazione, in esaltanti scritture poetiche, delle epiche gesta della confederazione ellenica contro la soverchiante armata di terra e di mare approntata dal Gran Re Serse per asservire le comunità greche che gli si opponevano.

Le testimonianze letterarie che ci accompagneranno nell’indagine rimandano a testi poetici noti e meno noti, dagli epitaffi di Simonide – o a Simonide attribuiti – ai Persiani di Eschilo, dall’omonimo dramma di Timoteo all’Alessandra di Licofrone. Scritture epiche o liriche cui altre vanno aggiunte non meno suggestive per carica emotiva, seppure pervenuteci in forma anonima, come le profezie di marca delfica e le commemorazioni su pietra. Le gesta ivi ricordate, o pubblicamente celebrate per edificazione della posterità, hanno per protagonisti gli Spartani alle Termopili e gli Ateniesi a Salamina, mentre scarse sono le testimonianze relative ad altre genti che pure combatterono al loro fianco.

Il principale problema che, in corso d’opera, si è presentato all’autore è quello delle traduzioni da proporre al lettore. Quelle a sua disposizione erano fin troppo dissimili tra loro per stilemi di scrittura, per epoca di composizione e per adozione di rese espressive. Ciò che l’autore voleva, non l’ha trovato, giacché cercava traduzioni con un qualche andamento ritmico che le distinguesse dalla prosa, e tra loro non troppo disomogenee. E così è ricorso a una propria ‘rivisitazione’ dei luoghi poetici analizzati nel libro, alternando nella fatica due tra i più discorsivi versi della metrica italiana: l’endecasillabo e il settenario.

I testi presi in considerazione hanno rivelato la perenne vitalità di alcuni temi celebrativi o le insospettate, seppure talora inconsapevoli, radici classiche di alcune note canzoni patriottiche che tutti abbiamo nell’orecchio. Ragione che ha spinto non solo ad approfondire la ricerca, ma addirittura a dedicargli la seconda parte del libro, dove si spiega al lettore come il tema risorgimentale della vittoria dei vinti risalga alla celebrazione delle Termopili, come sempre alla memoria delle Termopili si ispiri la celebrazione risorgimentale dei ‘trecento’ immolatisi a Sapri o dei partigiani ricordati nelle parole di uno sventurato cantautore ligure, come l’inno garibaldino “si scopron le tombe” abbia un precedente in un epigramma greco, come la costruzione simbolica della ‘idra straniera’ riconduca all’armata di Serse, come, infine, la triplice associazione del fiore della morte e della libertà, che rivive nella più celebre canzone della Resistenza, abbia essa pure una radice antica. A lato del paradigma terrestre dei caduti alle Termopili c’è quello della vittoria marinara di Salamina, il quale con la modernità ha certamente minori connessioni di carattere popolare, ma, al pari della memoria della battaglia di Micale, più intense strumentalizzazioni di connotazione propagandistica, come ad esempio la sovrapposizione di immagine tra Temistocle e Nelson, o l’equiparazione tra Persiani e Turchi, entrambi nemici e antagonisti della civiltà dell’Occidente, o la spericolata politicizzazione di “giovinezza, giovinezza” alle origini un semplice e innocuo canto goliardico.

Queste, talora inaspettate, proiezioni dell’antico, ospitate nella seconda parte del libro, hanno per riferimento la poesia – e più spesso la versificazione – italiana, che, per operare una scelta, abbiamo limitato a ‘campioni’ selezionati nell’ambito della produzione letteraria dell’Ottocento, non escludendo – presentandosi il caso – qualche incursione nel secolo successivo. Non c’è però scelta che non conosca eccezioni. Le nostre si limitano alla pagina di tre poeti stranieri: Hölderlin, Kavafis e Pound. I primi perché i loro componimenti su Salamina e sulle Termopili sono imprescindibili per l’intelligenza di due temi guida di questa ricerca, e nel caso di Hölderlin perché, negli autori successivi, la sua scrittura poetica è fonte di ispirazione e di imitazione talora confusa con la stessa parola dell’antico. Il terzo, Pound, giacché un suo solo singolo verso, seppure suggerito da un’ideologia distorta, sintetizza in forma mirabile l’intera problematica alla base delle nostre pagine.

Ovviamente ogni selezione di materiale ha i suoi limiti, o poteva essere in altre direzioni orientata, ma questo è il condizionamento strutturale di qualsiasi scelta. Chi scrive ne avverte tutto il peso.

Lorenzo Braccesi, Arrivano i barbari. Le guerre persiane tra poesia e memoria


Lorenzo Braccesi è stato professore ordinario di Storia greca nelle Università di Torino, Venezia e Padova.

Marcella Emiliani – Purgatorio arabo. Il tradimento delle rivoluzioni in Medio Oriente

Particolare di copertina
Cosa è successo negli ultimi quindici anni nel mondo arabo?

Nessuno aveva presagito che scoppiassero nel 2011, nessuno sa come andranno realmente a finire. Parliamo delle Primavere arabe, che hanno messo in moto un rivolgimento epocale che alcuni definiscono addirittura “un inferno”. Io mi fermo ad uno stadio più interlocutorio e preferisco usare il termine “purgatorio” proprio perché l’esito ultimo è tuttora imprevedibile. Un mondo sta scomparendo e – come succede sempre nei momenti di transizione – si teme l’ignoto e il baratro che potrebbe aprirsi o si sta già spalancando sotto i nostri piedi. Nel caso della sponda sud del Mediterraneo in relazione all’Italia, il paragone è particolarmente calzante. Ma mentre continuiamo a chiederci cosa è andato storto, sulle Primavere arabe abbiamo solo due certezze e di quelle ci dobbiamo accontentare, per ora.

Innanzitutto i motivi per cui sono scoppiate sono ancora di estrema attualità in Medio Oriente: una crescita economica insufficiente a garantire una sopravvivenza decente a popolazioni con tassi di natalità ormai insostenibili; una sconfortante e irredimibile corruzione a qualsiasi livello dell’amministrazione pubblica e degli scambi economici; un divario sempre più marcato tra ricchissimi e poverissimi, che si traduce in una crescita esponenziale del settore informale dell’economia e in inarrestabili processi di spopolamento delle campagne col loro contraltare di inurbamenti incontrollati; tassi di disoccupazione che cancellano qualsiasi speranza di un futuro migliore per i giovani e li inducono a cercare fortuna nei paradisi totalmente immaginati dell’Europa, paradisi che finiscono però per consegnarli ad un’emarginazione certa.

E, soprattutto, un deficit cronico di democrazia a casa loro che tale rimane anche se la ritualità democratica con tanto di urne, osservatori e controlli viene ormai rispettata nella forma, non certamente nella sostanza. Troppo spesso poi queste democrazie “cosmetiche” vengono inscenate ad uso e consumo delle grandi agenzie di credito internazionali come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale che, per erogare crediti e aiuti, pretendono feroci tagli di spesa e l’“adeguamento” al sistema democratico di stampo occidentale. In merito, di questi tempi sembra non essere più un assioma che democrazia significhi automaticamente benessere; inoltre la scarsità di risorse, in sé e per sé oppure indotta da Programmi di aggiustamento strutturale (Pas) delle agenzie di credito, in termini di democratizzazione spesso si traduce nella creazione di un numero abnorme di partiti che non hanno un reale respiro nazionale ma fanno riferimento a identità esclusive, localistiche, settarie o tribali, che possono innescare a loro volta instabilità sociale e conflitti.

Un caso a sé è rappresentato dalle monarchie ed emirati del Golfo che, dall’alto dei loro introiti petroliferi o gasieri, non hanno problemi di cassa (e comunque prima o poi le riserve di greggio e gas si esauriranno) ma proprio dal 2011 hanno cominciato ad intravvedere all’orizzonte disordini causati dall’assenza di rappresentanza e dal disprezzo dei diritti umani, civili e politici che riservano ai loro sudditi. Nella maggioranza dei casi re ed emiri hanno reagito alla vecchia maniera, comprando con elargizioni di vario tipo il consenso dei propri concittadini, ma in prospettiva l’antico rimedio non può più bastare. Ergo, l’Arabia Saudita insegna, hanno cominciato a varare programmi di modernizzazione che dovrebbero traghettarli nel Terzo Millennio non solo con la costruzione di grattacieli che hanno ormai stravolto lo skyline dei loro orizzonti, ma con riforme che – sebbene molto lontane dalla nostra idea di democrazia – hanno timidamente cominciato a lasciarsi alle spalle il medioevo istituzionale in cui sono vissuti fino ad oggi.

Tutto questo, ripetiamo, in Medio Oriente potrebbe causare altri disordini e il profondo scontento dei giovani, che costituiscono la maggioranza della popolazione, potrebbe riaffiorare come un fiume carsico per trovarsi nuovamente di fronte a brutali repressioni. Tanto per fare solo un esempio: nell’unico paese per cui ci si azzarda a dire che la Primavera del 2011 ha avuto successo, la Tunisia, il 2018 si è chiuso con scioperi, scontri con la polizia e manifestazioni di protesta contro il Fondo monetario internazionale il cui Pas – seguito all’erogazione di un prestito di 2,8 miliardi di dollari – starà pure risanando il debito, ma coi suoi tagli al welfare, alla sanità, all’impiego pubblico e alle sovvenzioni per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità come il pane e il carburante sta impoverendo ancora di più la popolazione. E l’icona di questa rabbia impotente è tornata ad essere l’immagine di un giovane, Abderrazak Zorgui, reporter precario in una tv locale, che si è dato fuoco il 24 dicembre a Kasserine, esattamente come fece Mohamed Bouazizi nel dicembre 2010, il cui sacrificio innescò la rivolta non solo in Tunisia ma in gran parte della regione.

La seconda certezza relativa alle Primavere arabe è che sono iniziate e si stanno ancora svolgendo sotto forma di conflitti in un momento storico di grande disordine internazionale. È finita nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Guerra fredda dello scontro bipolare Usa-Urss bloccato solo dal terrore che incuteva l’eventuale uso della bomba atomica da parte delle due superpotenze. Ma è finita anche la successiva era dell’unipolarismo americano, che ha avuto una breve stagione innanzitutto perché Mosca con Vladimir Putin è resuscitata come Federazione Russa e ha cominciato a riconquistare le posizioni che aveva perso con lo sgretolamento dell’Urss, soprattutto nell’area del Mar Nero, in Medio Oriente e in Asia; in secondo luogo perché è decollata anche la Cina che ha acquisito una statura “economico-imperiale” in un mondo per ora multipolare che vede l’Europa sempre più in declino, gli Stati Uniti di Trump trincerati dietro i muri dell’America first e nuove potenze in ascesa in quello che una volta veniva chiamato Terzo Mondo. In Medio Oriente sono almeno tre gli Stati che sulle ceneri delle speranze accese dalle Primavere arabe hanno alimentato o strumentalizzato guerre solo per i loro fini egemonici: l’Arabia Saudita, l’Iran degli ayatollah e la Turchia.

A strumentalizzare le Primavere arabe, specie quelle degenerate in guerre civili, è stata anche un’“entità” che si aggira in tutto il mondo come un convitato di pietra: il terrorismo islamico nelle sue materializzazioni proteiformi da al-Qaeda del defunto Osama bin Laden al Califfato defunto di Abu Bakr al-Baghdadi. Anche se è stato sconfitto, il Califfato ha però imparato a sopravvivere non solo per avvelenare qualsiasi altra Primavera si manifesti nel mondo arabo e musulmano, ma anche per minare alla base la pacifica convivenza e la stessa ragion d’essere delle democrazie occidentali. Nel frattempo il medesimo terrorismo islamico è stato a sua volta strumentalizzato dai regimi mediorientali che hanno represso in maniera sanguinosa ogni opposizione usando come giustificazione proprio la lotta globale al terrorismo che in questo modo finisce per incidere anche sulla ridefinizione degli equilibri regionali in corso. In altre parole, la situazione in Medio Oriente oggi è talmente “liquida”, per dirla alla Bauman, che è difficile prevedere l’esito delle Primavere arabe, tanto più in quanto gli equilibri regionali si stanno ridisegnando in contemporanea a quelli internazionali.

Alcune note di chiarimento su come è organizzato questo volume. Sebbene nel 2011 manifestazioni di protesta e rivolte abbiano investito diversi paesi, abbiamo scelto di trattare solo quelli in cui le cosiddette Primavere hanno allontanato dal potere dittatori di lungo corso, come Ben Ali in Tunisia e Mubarak in Egitto, o dove hanno scosso lo status quo fino alle più drammatiche conseguenze, come è avvenuto in Libia, Yemen e Siria, passando per il Bahrein dove il re Hamad bin Isa al-Khalifa è stato salvato dall’intervento armato dell’Arabia Saudita. Per amor di cronaca segnaliamo comunque che dimostrazioni contro i governi in carica si sono verificate anche in Marocco, Algeria, Iraq, Giordania, Arabia Saudita, Oman e Kuwait. Inoltre, per quanto la fuga del dittatore tunisino Ben Ali abbia sortito un innegabile effetto domino in tutta la regione, quello delle Primavere non è stato un movimento unitario, ma una sequela di rivolte diverse da paese a paese che consentono analisi comparate, ma solo fino a un certo punto. Nell’esposizione, perciò, abbiamo seguito un criterio grosso modo cronologico ma abbiamo esaminato soprattutto la peculiarità di ogni singola protesta quanto a cause ed effetti e come si è inserita nel contesto mediorientale e nella sua conflittualità pregressa.

Sotto questo profilo sottolineiamo fin da subito che la scelta di partire dagli Stati della sponda sud del Mediterraneo, Tunisia, Egitto e Libia, oltre che da motivi cronologici e di contiguità geografica, è stata suggerita dal fatto che sono estranei al mega-scontro settario sunniti-sciiti in atto ad est del Canale di Suez dove le guerre civili in Yemen e Siria, e quella sfiorata in Bahrein, sono invece pienamente inscritte nella guerra per procura tra l’Arabia Saudita, che si presenta come l’incarnazione statuale del vero sunnismo, e l’Iran, che ambirebbe a diventare il Vaticano dello sciismo. Sempre ad est del Canale di Suez si stanno giocando altre partite che riguardano gli Stati dell’Africa settentrionale solo tangenzialmente, ovvero le mire espansionistiche dell’Iran ma anche della Turchia del presidente Erdo?an, non a caso due paesi che hanno alle spalle i fasti di grandi imperi del passato.

Questo il calendario delle Primavere analizzate:
Tunisia, 14 gennaio 2011: fuga del presidente Zine el-Abidine Ben Ali a seguito delle manifestazioni per la morte – avvenuta il 4 gennaio 2011 – di Mohamed Bouazizi, il giovane che si era dato fuoco per protestare contro la miseria in cui era costretto a vivere da un regime dittatoriale e corrotto.
Egitto, 25 gennaio: prima grande manifestazione in piazza Tahrir al Cairo; l’11 febbraio Hosni Mubarak viene costretto dagli ex “colleghi” militari a lasciare la carica di presidente della repubblica.
Yemen, 27 gennaio: prima grande manifestazione di protesta nella capitale Sana’a.
Bahrein, 14 febbraio: prima grande manifestazione di protesta nella capitale Manama.
Libia, 15 febbraio: manifestazioni di protesta e scontri fra dimostranti e polizia a Bengasi, capoluogo della Cirenaica.
Siria, 15 marzo: anche a Damasco, la capitale, iniziano grandi manifestazioni di protesta, ma è l’arresto e la tortura di alcuni giovani a Dar’a, nella “Siria profonda” rurale ai confini con la Giordania, a scatenare le piazze il 18 marzo. I giovani erano stati incarcerati per aver scritto sui muri: «Il popolo vuole la caduta del regime».

L’arco temporale preso in considerazione va dal 2011 al 2018 compreso. Nel capitolo Gli ultimi sviluppi vengono analizzati a grandi linee gli avvenimenti del primo semestre del 2019 negli Stati teatro delle Primavere, a eccezione della Tunisia, la cui situazione è aggiornata fino ai risultati delle elezioni politiche e presidenziali.

Marcella Emiliani, Purgatorio arabo. Il tradimento delle rivoluzioni in Medio Oriente


Marcella Emiliani ha insegnato Storia e istituzioni dei paesi del Mediterraneo, Sviluppo politico del Medio Oriente e Media & Conflict-Medio Oriente presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna e Storia e istituzioni del Medio Oriente, Relazioni internazionali del Medio Oriente e Politica delle risorse energetiche presso la Facoltà di Scienze politiche “Roberto Ruffilli” dell’Università di Bologna.

Gian Carlo Caselli – Guido Lo Forte, Lo Stato illegale.

Lo stato illegale
Mafia e politica da Portella della Ginestra a oggi

Cosa nostra è una organizzazione criminale che ha affermato, troppo spesso in maniera indisturbata, la propria ‘sovranità’ di Stato illegale.
Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte mostrano che le mafie non sono tanto il prodotto di una arretratezza economica e culturale, quanto di una caratteristica perversa della società e dello Stato italiani.

Quasi trent’anni ormai ci separano dalle stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992.

Questo duplice attacco al cuore della democrazia – che Andrea Camilleri ha paragonato in quanto a potenza simbolica all’abbattimento delle Twin Towers – aveva naturalmente come obiettivo l’uccisione di due pilastri dell’antimafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Fu tuttavia chiaro fin da subito (in un caso e nell’altro) che la ferocia criminale rispondeva anche a un disegno politico di Cosa nostra. Disegno che trovò ancora più evidente realizzazione con le stragi che seguirono nel 1993 a Firenze, Milano e Roma.

Nel giro di pochi mesi si consumò una tragedia nazionale che sembrò scuotere irreversibilmente le coscienze e che provocò una reazione finalmente determinata dello Stato contro la mafia. Con risultati – è bene ricordarlo – straordinari. La mafia siciliana è stata indubbiamente indebolita e destrutturata da indagini e condanne. Ma altre organizzazioni criminali sono cresciute in rilevanza e potere, occupando vaste aree prima estranee a una radicata presenza mafiosa. E la questione della criminalità organizzata resta ancora oggi – purtroppo – in primo piano.

Dispiace, per contro, dover rilevare che l’attuale politica antimafia è inadeguata, così come difettosa è la rappresentazione mediatica del fenomeno, oscillante tra il diffuso silenzio informativo e il noir delle mattanze napoletane e foggiane o il folclore sulla latitanza (e peggio… sulle camicie) di Matteo Messina Denaro.

Di fatto, la mafia continua a essere considerata un problema di ordine pubblico, la cui pericolosità si coglie soltanto in situazioni di emergenza, quando cioè mette in atto strategie sanguinarie. Non è (solo) così: sfugge, non casualmente, che la mafia è un vero e proprio “sistema di potere criminale”, funzionale a sempre nuove rapacità e nuovi interessi. Perché c’è una “richiesta di mafia”1 in ambito politico, economico e imprenditoriale; vale a dire che la forza della mafia risiede non solo nella sua organizzazione interna, ma anche e soprattutto nelle “relazioni esterne”, cioè nelle laide connivenze o complicità e nelle vili coperture di cui essa gode – strutturalmente – in pezzi consistenti del mondo legale. Possiamo anzi dire che Cosa nostra è stata (e può continuare a essere) componente e strumento di un sistema criminale più ampio. Un sistema criminale raffigurabile come un complesso edificio, in cui l’associazione ha rappresentato – per le sue tradizioni criminali e per la sua potenza storica – una pietra angolare; ma che, come tutti gli edifici, ha anche altri piani e altri abitanti variamente comunicanti fra loro.

Tutto ciò proietta, sulla storia della mafia, vari interrogativi, ai quali questo libro cercherà di rispondere. Quando si è verificata una trasformazione della mafia da “semplice” organizzazione criminale a entità politica? E ancora: è possibile parlare di una “politica” di Cosa nostra, di un suo “ordinamento istituzionale”, di “funzioni di governo interne” paragonabili a quelle di uno Stato? Quale ruolo hanno avuto nella storia del nostro Paese le “relazioni esterne” di Cosa nostra con segmenti della società e dello Stato (con l’alternarsi di situazioni di coesistenza, di compromesso, di alleanza, o – al contrario – di conflitto)? Che ruolo hanno avuto in questo contesto le stragi mafiose? Infine, quali sono gli scenari attuali della mafia e le sue potenziali prospettive “politiche”?

Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte, Lo Stato illegale. Mafia e politica da Portella della Ginestra a oggi


Gian Carlo Caselli è stato giudice istruttore a Torino, ha guidato la Procura della Repubblica di Palermo, è stato procuratore generale e procuratore della Repubblica di Torino. Attualmente dirige l’Osservatorio di Coldiretti sulla criminalità nell’agricoltura e sulle ‘agromafie’.

Guido Lo Forte è stato pubblico ministero a Palermo e a Messina. Con la Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha curato, tra l’altro, i processi Andreotti, Dell’Utri e Carnevale nella fase delle indagini e del dibattimento di primo grado.

Lezioni di Storia – Brescia: I volti del potere

I volti del potere
I VOLTI DEL POTERE
Brescia, 8 febbraio – 28 marzo 2020

#LezionidiStoria 

Il sabato alle 11.00 al Teatro Grande di Brescia

Programma

sabato 8 febbraio – ore 11.00
LUCIANO CANFORA
Catilina, il potere del congiurato

Militare e senatore, è rimasto noto soprattutto per il tentativo di sovvertire la Repubblica romana, e in particolare il potere oligarchico del Senato. Lo storico e uomo politico romano Sallustio ha voluto – nel suo celebre ritratto – evidenziarne le caratteristiche del criminale perfetto, spingendosi ben oltre il già terrificante ritratto delineato da Cicerone. Ma chi fu davvero Catilina? E perché, per un momento non breve, resta al centro della vita politica di Roma?

Luciano Canfora è professore emerito dell’Università di Bari.

sabato 22 febbraio – ore 11.00
ALESSANDRO VANOLI
Carlo Magno, il potere in una corona

È la mattina di Natale dell’anno 800: Carlo Magno avanza in San Pietro e china la testa davanti al Pontefice per ricevere dalle sue mani la corona imperiale. Un evento senza precedenti: l’atto di nascita di uno spazio geopolitico completamente diverso da quello dei Romani. Un’Europa che ha perduto il Mediterraneo e che si è aperta verso il Nord. Una riflessione sul potere e sulla nascita di quello spazio politico in cui ancora oggi viviamo.

Alessandro Vanoli, storico e scrittore

sabato 29 febbraio – ore 11.00
MARIA GIUSEPPINA MUZZARELLI
Caterina da Siena, il potere di una madre non madre

Si nega il cibo fino allo sfinimento per non subire la volontà altrui. Parla con i potenti, financo col Papa, quando la prerogativa femminile era il silenzio. Si sposta nel mondo quando le sue sorelle restano recluse. Comanda, suggerisce, motiva, restando spesso in seconda linea, a tratti quasi annullandosi. Una donna che perfettamente combina la capacità di essere al tempo stesso dentro e fuori gli schemi della società del suo tempo.

Maria Giuseppina Muzzarelli insegna Storia medievale e Storia delle città all’Università di Bologna.

sabato 7 marzo – ore 11.00
MAURIZIO VIROLI
Machiavelli, il potere della parola e delle armi

Sulla scena dell’azione politica l’uomo di potere deve essere capace di far leva anche sull’ambizione e sulle debolezze dei suoi interlocutori, destreggiandosi con abilità e astuzia nei momenti favorevoli come negli improvvisi rovesci della fortuna. Per il raggiungimento dei propri fini, la forza della parola di certo non è meno importante di quella delle armi. Un messaggio che, se già ci viene dalla retorica classica e umanistica, a maggior ragione risulta attualissimo oggi, nell’epoca della comunicazione.

Maurizio Viroli è Professor Emeritus of Politics della Princeton University e Professor of Government della University of Texas di Austin

sabato 14 marzo – ore 11.00
PAOLO GALLUZZI
Galileo, il potere della scienza

Marzo 1610. Galileo pubblica il Sidereus Nuncius, l’opera che afferma la validità della teoria eliocentrica delineata da Copernico. Il drammatico cambiamento di scenario segna l’inizio di un’età nuova – animata da personalità di straordinaria caratura intellettuale, quali Keplero, Cartesio, Newton – un’età nella quale sono rimessi in questione non solo i principi della cosmologia, ma anche quelli della fisica e della filosofia, della religione e dell’antropologia. Una rivoluzione epocale!

Paolo Galluzzi è Direttore del Museo Galileo di Firenze.

sabato 28 marzo – ore 11.00
ALBERTO MARIO BANTI
Napoleone, il potere delle idee

È con lui che si afferma la prima dittatura “democratica”, formalmente ratificata da un plebiscito popolare; è lui che compie il gesto inaudito di incoronarsi “Imperatore” da solo; è sempre lui che, distribuendo potere ai suoi familiari, pare riconfermare il valore ereditario del sangue… Tutto questo dallo stesso uomo che, prima di ogni battaglia, per anni aveva caricato di entusiasmo e infinita fiducia i suoi soldati, facendo leva sul valore universale delle idee egualitarie della Rivoluzione.

Alberto Mario Banti insegna Storia contemporanea all’Università di Pisa.

Biglietti: intero posto unico 8 euro – abbonamento (6 incontri) 30 euro. Biglietto studenti 50% sul prezzo intero.

Info: 0302979333; biglietteria@teatrogrande.it; www.teatrogrande.it

Lezioni di Storia Festival: Napoli 27 febbraio – 1 marzo 2020

Noi e loro: Festival Lezioni di Storia
Lezioni di Storia Festival – Napoli 27 febbraio-1 marzo 2020


NOI E LORO

A Napoli torna il Festival delle Lezioni di Storia

DAL 27 FEBBRAIO AL 1 MARZO 2020


Quarantanove appuntamenti, quattordici eventi collaterali, alcuni tra i più noti storici italiani e stranieri: le Lezioni di Storia che da oltre dieci anni registrano il tutto esaurito nei grandi teatri italiani si sono trasformate in Festival e, dopo il successo della prima edizione, Napoli si prepara al secondo anno.

A Napoli dal 27 febbraio al 1 marzo ospiti eccezionali provenienti da tutta Europa si confronteranno nelle varie sedi del festival: al Teatro Bellini sede principale e al Museo MANN, al Museo MADRE, al Conservatorio a Majella, all’Accademia di Belle Arti e al Liceo Vittorio Emanuele II, prestigiosi partner nella realizzazione di questa iniziativa.

Tema di questa seconda edizione: ‘Noi e loro’. Nel corso della storia le persone si sono definite per appartenenza a un gruppo: una famiglia, una città, una nazione ma anche una chiesa, un partito politico, la tifoseria di una squadra di calcio. Questa identità collettiva si è costruita quasi sempre per differenza o contrapposizione con un altro gruppo: come dire, siamo ‘noi’ perché non siamo ‘loro’. Ma quanto degli ‘altri’ è invece entrato, senza che ce ne accorgessimo, a definire la nostra identità? Comprendere le ragioni e i modi in cui l’umanità fin dalle sue origini si è costituita e divisa in ‘noi’ e ‘loro’ consente forse di immaginare un ‘noi’ universale e un mondo meno frammentato e conflittuale senza quei muri fisici e culturali che dividono i tanti ‘noi’.

Il tema ‘Noi e loro’ sarà sviluppato nelle forme più diverse attraversando letteratura, arte, cinema, fumetti e musica. Per aiutare il pubblico ad orientarsi e scegliere tra lezioni, dialoghi, performance teatrali, incontri in libreria, anche quest’anno il festival è stato suddiviso in una serie di percorsi tematici, come In questione, in cui si tratteranno le tematiche del nostro tempo attraverso la lente della storia; Il tempo della musica, per raccontare la storia partendo da Beethoven arrivando al Blues; Il Mondo a Napoli, per illustrare la fortissima identità multiculturale della città.

Sul palco, nelle sale, nelle aule magne, nelle librerie di Napoli, si alterneranno i più autorevoli storici italiani e stranieri. Andrea Giardina e Ivano Dionigi parleranno del rapporto dei greci e dei romani con i ‘barbari’, ponendosi la questione di quanto i nostri antichi antenati fossero accoglienti o razzisti.

Eva Cantarella ed Elisabetta Vezzosi tratteranno dei conflitti tra donne e uomini, sul lavoro e in famiglia, e delle lotte per ottenere pari diritti sociali e politici. Simona Colarizi parlerà dei rapporti tra generazioni dalla prima guerra mondiale al ‘68.

Alessandro Barbero attraverso Dante ci dirà del conflitto tra guelfi e ghibellini mentre Alessandra Tarquini si chiederà cosa ha voluto dire nella storia essere di destra e di sinistra e se questa distinzione abbia ancora senso oggi.

Paolo Naso parlerà dell’identità religiosa nel rapporto tra cattolici e seguaci di altre confessioni nel corso del Novecento. Ma la costruzione dell’identità può avvenire anche nell’alimentazione: Massimo Montanari spiegherà come si ritrovi un affascinante intreccio tra diverse culture nella storia degli spaghetti al pomodoro. Quanto dunque gli ‘altri’ contribuiscono a definire il ‘noi’ ce lo racconterà Francesco Remotti.

Gianni Mura e Beppe Smorto ci parleranno di tribù sportive e di come a volte la propria identità  si possa trovare nella maglietta di una squadra. Al centro del racconto ci saranno grandi e piccoli avvenimenti storici, dalla distruzione di Pompei sotto la lava del Vesuvio raccontata da Massimo Osanna al viaggio di una galea veneziana fino a Istanbul raccontato da Alessandro Marzo Magno o alla odissea dei neri nell’America schiavista raccontato da Alessandro Portelli. Tanti e diversi saranno i protagonisti di queste lezioni napoletane, come i navigatori italiani raccontati da uno dei più grandi storici europei, David Abulafia, ai patrioti risorgimentali di cui parlerà Elena Bacchin, da Cavour e Giolitti e De Gasperi descritti da Marco Meriggi, al rapporto tra Hitler e Mussolini nella trattazione di Christian Goeschel.

A Napoli non poteva mancare una lezione sulla visione della storia di Totò di cui ci parlerà Emilio Gentile e il racconto di John Foot sulla passione dei napoletani per Maradona, perfino quando nei mondiali del ‘90 giocò contro l’Italia proprio a Napoli. Verranno raccontati personaggi reali ma anche immaginari che hanno alimentato la fantasia di molte generazioni creando lo stereotipo dei buoni e dei cattivi, dai tre porcellini fino a Joker, come ci racconterà Alberto Mario Banti.

Si dedicherà un’attenzione speciale a Napoli, città di lunga e straordinaria storia, che verrà esplorata attraverso lo sguardo degli stranieri, nella letteratura come nel cinema, da Goethe a Stendhal, da Billy Wilder a Fassbinder ricostruiti da Matteo Palumbo, Antonella Di Nocera e Bruno Roberti. Saranno trattati alcuni temi che attraversano tutta la storia come nella lezione di Luciano Canfora sul cosmopolitismo e in quella di Alessandro Vanoli e Amedeo Feniello sugli italiani e i loro nemici. Altri temi saranno invece legati a precisi momenti storici, come nella lezione di Mascilli Migliorini su Hernán Cortés o in quella di Silvia Ronchey sulla storica bizantina Anna Comnena. Si parlerà di arte e politica nell’intervento di Aldo Trione sulla pittura da Picasso a Banksy; di musica in quello di Giovanni Bietti su Beethoven e la musica folkloristica europea. Altamente musicale sarà la lezione-spettacolo a cura di Pasquale Scialò sulle canzoni napoletane nei cafè-chantant. Vanessa Roghi ricostruirà le differenze tra il modo di fare storia in Italia e Inghilterra attraverso la polemica tra De Felice e Mack Smith.

Grandi questioni di attualità saranno ricostruite in chiave storica: Maurizio Viroli lo farà su nazionalismo e patriottismo, Giovanni Vecchi su ricchezza e povertà. Si parlerà anche dei problemi del Mezzogiorno: Carmine Pinto racconterà una storia di brigantaggio e Gabriella Gribaudi una di camorra. Si parlerà di Europa nella lezione di Domenico Conte sul rapporto tra Croce e Thomas Mann. E si parlerà di Africa nell’intervento di Olindo De Napoli sul colonialismo italiano. Altra tematica quella delle guerre antiche – in particolare  Gennaro Carillo si occuperà della guerra tra greci e persiani – e di guerre contemporanee, come nella lezione di Luigia Caglioti sui ‘nemici interni’. Laura Pepe racconterà l’umanità degli dèi greci e Sergio Brancato i superpoteri dei personaggi dei fumetti contemporanei. Due i dialoghi a più voci “Chi fa l’agenda della storia?” con Alessandro Barbero, Antonio Carioti, Giovanni Carletti, Simonetta Fiori e Titti Marrone e “L’insegnamento della storia del Novecento” con Gennaro Carillo, Paolo Frascani, Alessandro Laterza, Maria Teresa Sarpi ed Elisabetta Vezzosi.

Questi sono solo alcuni degli incontri previsti nei quattro giorni del Festival, a cui si aggiungono appuntamenti collaterali, visite guidate ed eventi di musica e spettacolo.

L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti, sarà possibile prenotarsi on line a partire dal 13 febbraio.
Il programma e tutte le info
sono disponibili su www.lezionidistoriafestival.it.

Il Festival è progettato e ideato da Editori Laterza con la Regione Campania ed è organizzato dall’Associazione “A voce alta” e dalla Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, con la partnership di MANN, Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina – Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Accademia di Belle Arti, Conservatorio San Pietro a Majella e Liceo Vittorio Emanuele II.

Promozione e Comunicazione sono a cura della Scabec, società in house della Regione Campania.

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Carmela Morabito, Il motore della mente

Il motore della mente
Qual è l’intimo nesso tra percezione e azione,
tra mente e corpo?

Carmela Morabito delinea i percorsi teorici degli studiosi più diversi – filosofi, psicologi, neuroscienziati – che hanno portato ai modelli della mente odierni.

Il riconoscimento della valenza cognitiva del movimento, e più in generale l’attenzione nei suoi confronti nell’ambito delle scienze della mente, sono legati alla recente affermazione del cosiddetto ‘paradigma motorio’, ovvero un modello di mente che è andato definendosi a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso in chiara contrapposizione con la concezione tradizionale della mente che ha caratterizzato la filosofia moderna e che è stata alla base delle scienze cognitive nel Novecento.

Il termine paradigma, com’è noto, viene dal greco: lo troviamo per esempio nelle opere di Platone e di Aristotele con il significato originario di modello, progetto o esempio. Tuttavia, a partire dalla metà del Novecento esso ha acquisito un’accezione specificamente epistemologica, convenzionalmente legata alle riflessioni del filosofo della scienza Thomas Kuhn espresse nell’opera intitolata La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962).

In quest’accezione, un paradigma scientifico è considerato essenzialmente una concezione del mondo, cioè un insieme di orientamenti teorici, assunzioni metafisiche (vale a dire presupposti sulla realtà) e procedure sperimentali condivisi da una comunità scientifica in un dato momento. In estrema sintesi, e fuori da ogni specialismo esasperato, il paradigma può essere inteso come un quadro di riferimento condiviso dagli studiosi in un determinato momento storico per studiare e spiegare un dato o un insieme di fenomeni.

Alla luce di queste premesse, parlare di paradigma motorio in relazione alla mente implica un modello teorico dello sviluppo e del funzionamento del nostro apparato cognitivo basato su una concezione della mente sostanzialmente radicata nella corporeità e nelle capacità di movimento di un organismo. Di questo legame tra mente e corpo, cognizione e movimento, tuttavia, va decisamente sottolineata la valenza innovativa rispetto alla concezione tradizionale delle funzioni cognitive classicamente basata su un presunto susseguirsi di sensazione, percezione e, punto culminante dell’elaborazione cognitiva, produzione di rappresentazioni mentali per la gestione del movimento e del comportamento in senso lato.

Il paradigma motorio è dunque la cornice teorica di riferimento, il contesto esplicativo, di quella che può essere definita una teoria motoria della mente, una teoria per la quale non c’è una separazione sostanziale tra percezione e azione, tra afferenze sensoriali ed efferenze motorie; una teoria secondo la quale, quindi, il cervello non è un semplice recettore di informazioni e un produttore di risposte in un organismo staccato dall’ambiente, che egli ha il compito di conoscere e con il quale si trova a dover interagire. E il punto fondamentale, il ‘cuore’ di questo nuovo modello della mente basato sull’importanza e sulla valenza cognitiva del movimento, è proprio il riconoscimento, all’interno di una prospettiva teorica biologica e integrata, dunque ecologica e complessa, dell’intimo nesso tra percezione e azione.

Il movimento e le sue relazioni con la percezione e la memoria, infatti, mostrano oggi di avere una grande valenza euristica per lo studio dei meccanismi delle funzioni cognitive. Il cervello umano, inteso come organo sviluppatosi per predire le conseguenze dell’azione, si pone come oggetto di studio interdisciplinare di psicologia, neurofisiologia, neuropsicologia, filosofia e scienze cognitive, modellizzazioni matematiche e scienze del movimento. Ciascuna disciplina contribuisce a descrivere il comportamento a diversi livelli di spiegazione e di complessità applicando strumenti di analisi diversi sia dal punto di vista concettuale che da quello metodologico; tutte però convergono nello spazio teorico, vasto e articolato, costituito da scienze cognitive e neuroscienze sistemiche o olistiche per la definizione di una nuova immagine dell’uomo, che ne individui le radici genetiche ben ‘al di sotto’ e ben ‘prima’ della coscienza e della volontà, nelle pulsioni vitali dell’organismo e nella sua interazione con l’ambiente, nella cinestesia (la tensione costante della ricerca verso un al di sotto, e un prima sarà – come si vedrà – il ‘filo rosso’ di tutta la nostra ricostruzione storica ed epistemologica, l’elemento propulsore che ha spinto l’analisi nel corso del tempo nella direzione di un obiettivo convergente: individuare le basi neurobiologiche della mente).

Radicandosi nell’intersezione teorica di discipline diverse, volte allo studio del comportamento, della mente e del sistema nervoso, il nuovo approccio basato sull’azione oggi attribuisce al movimento corporeo un ruolo fondamentale e basilare nello sviluppo della cognizione e della conoscenza. Tramite la reciproca fecondazione euristica di una fenomenologia del comportamento con i modelli dei meccanismi causali ad esso soggiacenti, le neuroscienze cognitive definiscono, infatti, di giorno in giorno in modo sempre più solido – con strumenti sia sperimentali che clinici – una ‘fisiologia dell’azione’ in base alla quale è col corpo (non solo con il cervello) e le sue capacità di movimento e di azione che noi pensiamo e conosciamo.

Naturalmente, è un corpo non più inteso come macchina automatica di derivazione cartesiana (corpo come sistema chiuso, privo della conoscenza di sé e del mondo, i cui movimenti sono funzione solo della disposizione relativa delle sue parti, generatore di risposte motorie a stimoli sensoriali), bensì come macchina biologica, costitutivamente dotato di scopi e in attiva e costruttiva interazione col proprio ambiente (vero e proprio generatore di ipotesi che preseleziona le informazioni sensoriali in funzione degli scopi dell’azione). In questa prospettiva teorica l’azione, piuttosto che come semplice espressione motoria dell’elaborazione sensoriale, è concepita come ‘melodia cinetica’ attiva e finalizzata, come insieme strutturato di movimenti coordinati in funzione di un fine specifico. Il movimento corporeo assume dunque un ruolo fondamentale e basilare nello sviluppo della cognizione e della conoscenza.

La mente è ‘formata’ dai movimenti e per i movimenti (tradizionalmente invece semplicemente li pianifica); il movimento non è solo la mera esecuzione di comandi dei centri cerebrali superiori (la mente), ma – capovolgendo i termini della relazione – l’attività mentale stessa è concepita in funzione della produzione dell’azione; pensare equivale a decidere quale movimento realizzare successivamente.

Ne emerge una mente incorporata, una filosofia della mente basata sulla natura biologica, dinamica e integrata (temporale, storica) dell’organismo, che ‘inverte’ la concezione tradizionale (logico-astratta) dello sviluppo della mente e del comportamento in base a uno schema non lineare e propone (o meglio, come si vedrà tramite la ricostruzione storica, per molti versi ‘ripropone’) una concezione organicamente integrata nell’interazione globale dell’organismo col suo ambiente.

La mente è intrinsecamente un sistema motorio: il pensiero, la memoria, la conoscenza, la percezione, la coscienza, la motivazione, il significato, tutte le funzioni mentali nel loro complesso, affondano le loro radici in abilità motorie costruttive specie-specifiche.

Contro la concezione tradizionale di derivazione cartesiana si rivendica, in questo modo, la matrice biologica dei fenomeni mentali: contro il soggetto epistemico universale sul quale si è basata la filosofia moderna – un soggetto concepito non biologicamente, dunque separato dalla ‘realtà esterna’ che egli si porrebbe l’obiettivo di conoscere – si produce così una profonda trasformazione concettuale che radica le funzioni cognitive nella biologia e nella storia, nell’esperienza vissuta e condivisa, nella cultura. «Il cervello è concepito sempre più come uno strumento appositamente progettato per creare relazioni sociali, per favorire i rapporti umani e la socialità, letteralmente si ammala nella solitudine e nell’isolamento sociale». E «la coscienza è rivolta verso gli altri».

‘Nessun uomo è un’isola’, così si suol dire. Il Sé non è isolato, ognuno di noi è in costante contatto con altre persone, altri Sé, che forniscono un riferimento sia per noi sia per i nostri sensi. […] L’attività neurale stessa è sociale; non c’è dunque una distinzione netta tra i livelli neurali e i livelli sociali; il cervello e le CMS (strutture corticali mediali) sono intrinsecamente, o di default, neurosociali. Neurale o sociale? Questa domanda pone una falsa dicotomia. Il cervello, specialmente le CMS e il loro ruolo nell’esperienza del Sé, ci insegnano che tale dicotomia è un’illusione.

Ne deriva un modello del vivente, dell’ambiente e della mente che supera le limitazioni del meccanicismo e lo spartiacque metafisico che ha diviso per secoli il corpo dalla mente. E se l’incarnazione della mente (embodiment), basata su una concezione corporea e non proposizionale della rappresentazione, emerge dalle acquisizioni più recenti delle neuroscienze cognitive, fondamentalmente dallo studio del movimento, in questo senso oggi nel modello motorio si può forse individuare una via teorica al superamento della contrapposizione dicotomica fra meccanismo corporeo e rappresentazione mentale, fra soggetto e oggetto, fra mente e mondo.

Presupposto essenziale è una visione sistemica dell’organismo, per cui dal tradizionale approccio acontestuale si passa ad esaminare i fenomeni in contesti sempre più ampi e si considera imprescindibile per un’autentica comprensione delle funzioni cognitive il fondamentale rapporto tra l’organismo (con i suoi scopi, bisogni, emozioni, relazioni, storia e cultura) e l’ambiente, tra l’osservatore e il fenomeno. «Non ci sono fattori genetici che possano essere studiati indipendentemente dall’ambiente e non ci sono fattori ambientali che funzionino indipendentemente dal genoma […] I geni sono sempre ‘geni in contesto dato’».

Si profila dunque un tipo di spiegazione fondamentalmente basato su un costruttivismo interattivo che assume la coevoluzione di specie e ambiente e l’interazione individuo/mondo in un quadro teorico di riferimento caratterizzato dall’integrazione complessa e dinamica: dell’organismo con l’ambiente (richiamando la Umwelt di von Uexküll), del corpo col cervello e del ‘corpocervello’ con la mente (si pensi – e lo si vedrà nello sviluppo della ricostruzione storico-epistemologica che segue – alle più recenti acquisizioni delle neuroscienze cognitive: Damasio, Edelman, Changeux, Ramachandran…).

La concezione classica della mente – legata al dualismo mente/corpo che ha separato in maniera drastica, ‘ontologica’, il corpo con le sue funzioni biologiche dalla mente con le sue funzioni cognitive – ha sempre dato per scontata una priorità logica, epistemologica e biologica della percezione rispetto all’azione e concepito quest’ultima sostanzialmente in funzione delle possibilità che un organismo ha di interagire col suo ambiente in base, da un lato, ai vincoli biologici cui è sottoposto e, dall’altro, alle risorse cognitive che il suo apparato sensoriale-percettivo gli rende disponibili (anch’esse, in fondo, considerabili in termini di vincoli parzialmente biologici). «Un vincolo può limitare il numero delle possibilità legittime, ma non è la causa del messaggio in uscita»; l’architettura «aperta» su cui si tornerà in conclusione è un esempio tipico di «vincoli che svincolano» e non dettano un esito determinato.

Secondo la nuova concezione della mente e del rapporto mente-corpo, che va emergendo in modo sempre più chiaro dagli sviluppi della filosofia della mente e dai suoi raccordi teorici con le neuroscienze cognitive contemporanee, invece, le cose non stanno così: nel rapporto tra organismo e ambiente la mente non produce solo le ‘uscite’, ma anche le ‘entrate’ (termini ovviamente fondati sulla metafora della mente come computer che è stata alla base della scienza cognitiva del Novecento, riferiti dunque all’input e all’output di un elaboratore), così come il corpo non si limita ad attuare comandi motori, ma contribuisce al momento stesso della pianificazione del comportamento tramite la presenza costitutiva ed essenziale delle possibilità specie-specifiche di movimento e di azione nel momento stesso della percezione.

L’analogia classica cervello-computer va letta al contrario: i cervelli non sono macchine sofisticate, semmai le macchine sono cervelli imperfetti.

Questa posizione teorica è efficacemente sintetizzata dall’asserzione di Alain Berthoz e Jean-Luc Petit: «l’azione o l’atto, e non la rappresentazione, è all’origine della cognizione», un’affermazione che può efficacemente segnare il passaggio da un paradigma all’altro nella concezione contemporanea dell’apparato cognitivo e del comportamento. La mente infatti, alla luce di questi presupposti, viene considerata sostanzialmente come un sistema motorio, nel senso che le funzioni cognitive – la percezione, la memoria, il linguaggio, la coscienza, la motivazione e così via – vengono ritenute un prodotto di abilità motorie costruttive, cioè capacità motorie attraverso le quali l’individuo costruisce sé stesso e il suo rapporto con il mondo che lo circonda, costituendo così il proprio ambiente di riferimento (Umwelt).

Carmela Morabito, Il motore della mente. Il movimento nella storia delle scienze cognitive


Carmela Morabito è storica della psicologia e delle neuroscienze cognitive.