Prefazione
di Tullio De Mauro
Lucia Lumbelli è ben nota agli specialisti di psicologia e di scienze dell’educazione,
ma anche ai linguisti interessati alla realtà della comunicazione e delle interazioni
verbali e al gruppo, più ampio, degli insegnanti attenti e consapevoli. Di questi
ultimi, molti lei stessa ha concorso a formare nel suo insegnamento universitario
a Parma e a Trieste e con parecchi ha lavorato fianco a fianco in ricerche ed esperienze,
tutti sollecitando con le sue riflessioni e analisi. Suoi temi dominanti sono state
l’interazione verbale in contesto educativo e la lettura e comprensione dei testi
scritti. In quest’ambito Lumbelli ha elaborato tecniche specifiche di analisi dei
processi di comprensione di chi va leggendo, tenendo d’occhio con particolare impegno
le condizioni concrete di accesso alla lettura caratteristiche dei lettori meno esperti
e degli svantaggiati. La comprensione come problema ci fornisce dunque una messa a punto sistematica e una rivisitazione di decenni di
ricerche. Lumbelli è parca nelle autocitazioni e quindi solo alcuni suoi lavori figurano
qui nella bibliografia, altri sono sì messi a frutto, ma sottaciuti, come – per fare
un solo esempio – l’importante relazione del 1994 tenuta al VII convegno Giscel (Gruppo
di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica), È la lingua che ci fa uguali.
L’apporto primo di quest’opera e, del resto, dell’intero percorso intellettuale e
scientifico dell’Autrice è farci intendere che la comprensione della lettura, il capire
ciò che si legge, va capito e compreso a tutto tondo, dunque sfruttando quanto proviene
da ambiti di ricerca che gli assetti accademici tengono separati: teorie degli psicologi
cognitivisti, ricerche e riflessioni della pedagogia, tecniche di verifica degli apprendimenti
e della comprensione, analisi della comprensione dei testi letterari, teorie semiotiche
e non semiotiche della letteratura, linguistica teorica e sociolinguistica, esperienze
di redazione di testi altamente leggibili. Di qui la grande apertura pluridisciplinare
del suo lavoro.
Questo non andrebbe ascritto a particolare merito di Lucia Lumbelli, anche se in realtà
lo è. Non andrebbe considerato un merito specifico perché, se appena ci si riflette,
ci si avvede che il capire – e anche solo il capire un testo – è un processo che coinvolge
l’intera esperienza umana e che, dunque, capire il capire richiede, impone o, meglio,
richiederebbe e imporrebbe la chiamata in causa di molti diversi tipi di analisi scientifica
e teorica. Ma troppo spesso il capire è invece guardato solo da un punto di vista
parziale, si guarda con analisi magari sofisticate a una faccia soltanto di un poliedro
complicato. Altre facce sono lasciate da parte, e chi lo fa presume a volte che un
punto di vista parziale ci dia la geometria dell’insieme. Non si regola così Lucia
Lumbelli nel suo cammino intorno alla comprensione dei testi che leggiamo.
A voler sottilizzare si può osservare che il suo cammino potrebbe cominciare da un
punto ancora più iniziale, da uno strato ancora più profondo dell’esperienza umana
e vitale: dal processo di comprensione non solo di un testo scritto, ma di ogni possibile
enunciato verbale, scritto o parlato che sia. Già qui la sua determinazione e la sua
individuazione come enunciato e anzi, come è stato mostrato, la sua semplice corretta
percezione sono esposte ai rischi dell’indeterminatezza del percepire: percepire non
solo testi o enunciati, ma cose, oggetti, forme. Non ce ne avvediamo perché le pratiche
di vita che abbiamo esperito per sopravvivere ci caricano di attese e previsioni rese
abituali che, almeno per oggetti e in situazioni familiari, abbiamo automatizzato
e ciò ci porta con buone probabilità a risultati spesso soddisfacenti. Sono necessarie
la lucida perentorietà di Bertrand Russell sul carattere «illusorio», diceva, della
sicurezza con cui riteniamo che questo tavolo sia senz’altro questo tavolo o le pazienti e sapienti riflessioni di Wittgenstein o delle ultime pagine
lasciateci da Emilio Garroni e, naturalmente, qualche buona lettura di teoria della
percezione per convincerci di quanta incertezza ci sia all’inizio di ogni accertamento
e di quanto ogni certezza cui approdano il comprendere e, prima ancora, il percepire
sia intessuta di ipotesi e costruzioni fondate su abitudini, pratiche sperimentate,
costrutti probabilistici della nostra mente. Capire è cosa complessa fin dal momento
iniziale dell’individuazione di qualcosa come qualcosa da capire.
Opportunamente Lumbelli lascia da parte queste tappe iniziali di un possibile filosofico
viaggio lungo i percorsi della comprensione e va dritta al suo scopo, che è identificare
i problemi, le problematicità o, come ora è di moda dire, le criticità della lettura di testi. Per accelerare dà per fatto che le singole frasi di un testo
siano comprese almeno in prima istanza. E di qui poi ci conduce passo per passo a
intendere che soltanto il seguito di una frase o il richiamo a suoi antecedenti ci
conferma nella sua più certa comprensione, oppure la corregge e ci obbliga a ripensare
il suo senso e il senso d’insieme che andiamo costruendo. Memoria di lavoro e memoria
a lungo termine ci sorreggono nel cammino e permettono di avvalerci a mano a mano
degli apporti dell’intero contesto che veniamo esplorando e dei co-testi, delle situazioni,
che da esso e intorno a esso si evocano. Il capire si rivela non come una sommatoria
lineare e progressiva di sensi dati di singole frasi ma come un processo in cui continuamente
dobbiamo da un punto andare all’insieme e dall’insieme riandare al punto per verificarne
la congruità e provare a proseguire. Per accertare ciò, per capire queste modalità
del capire, l’autoriflessione non basta, non basta soprattutto al lettore esperto
che vive senza avvertire difficoltà, veloce e agile, questi complessi continui passaggi
avanti e indietro da un punto all’altro. Per l’accertamento dei caratteri del capire
è preziosa la conferma che viene dal raccogliere sistematicamente le riflessioni ad
alta voce che il lettore meno esperto viene facendo insieme a un paziente ricercatore
nel mentre elabora la comprensione. Uno dei punti di forza del libro è l’offerta di
ampi esempi di questi verbali, di questi protocolli e registrazioni del processo di
comprensione.
Come si possono risvegliare le energie intellettuali (Antonio Gramsci insegnava a
non sottovalutare anche quelle fisiche) necessarie a capire un testo? Sono energie
grandi, specie se siamo esordienti nella pratica della lettura. Sessant’anni fa Rudolf
Flesch, lo studioso austriaco semiamericanizzato benemerito per le prime indagini
oggettive sulle diverse modalità della redazione di testi leggibili e della loro comprensione,
indicò come fattore che accresce la leggibilità, e quindi la comprensibilità di un
testo, la presenza in esso di nomi di persone la cui evocazione possa stimolare l’interesse
umano di chi legge (nomi di persone presumibilmente ben note, ovviamente, ai potenziali
lettori per cui si scrive). Nelle rielaborazioni italiane degli indici di Flesch non
ci siamo fidati di questa particolare indicazione, ci è parsa ingenua. In una prospettiva
più complessa Lucia Lumbelli approda però a un suggerimento analogo. La comprensione
di un testo, per le fatiche che comporta, poggia sul germinare e sull’attecchire di
un atteggiamento di empatia nella coscienza di chi legge.
Ma a sua volta l’empatia dinanzi a un testo letterario o, a più forte ragione, argomentativo
e saggistico, magari il primo che si incontra nella vita di lettori, è come il coraggio
per don Abbondio: difficile rifornirne chi non ce l’ha. Lucia Lumbelli suggerisce
che la via stessa del colloquio tra il lettore e un insegnante o un ricercatore che
esplorino le difficoltà del processo di comprensione è una buona via. Qualche anno
fa un’accurata indagine del Giscel, intitolata suggestivamente Non uno di meno. Strategie didattiche per leggere e comprendere, svolta tra classi in via di addestramento o in gruppi di controllo di classi tradizionali
non addestrate alla lettura comune e corale di testi, ha mostrato la fecondità della
coralità per accendere interesse e, quindi, comprensione di un testo. Chi conosce
i durevoli vantaggi che si acquisiscono con l’abitudine alla redazione cooperativa
di testi (un esempio diventato famoso è la Lettera a una professoressa) non si stupisce degli acquisti che una pratica di insegnamento e apprendimento dialogica
e cooperativa dà anche sul versante della comprensione. Ma il ruolo di voce, dialogicità,
coralità non dovrebbe mai stupire. È con questi mezzi antichi che funzionano prima
l’apprendimento, poi l’affinamento e la comprensione del linguaggio e delle sue forme
scritte. Benedetto Croce riteneva un’inutile estrinsecazione la lettura ad alta voce
e privilegiava la lettura silenziosa, mentale, quella che il giovane provinciale Agostino
scoprì che si poteva fare osservando il vescovo della grande Milano, Ambrogio, che
leggeva con gli occhi e non, come era allora consueto, con la bocca. Ma Croce e Ambrogio
erano lettori esperti e passavano sopra il fatto che alla lettura interiore erano
certamente arrivati praticando quella viva voce, quella a voce alta e viva, introiettandone poi risultati e capacità di evocazione.
E al lettore esperto, lo ammetta o no, se ne renda o meno conto, la coralità del comprendere
è sempre presente. Ogni parola, ogni passaggio risuonano in lui accompagnati da cento
echi di altri testi e voci che hanno adoperato quelle parole. La memoria del lettore
esperto è ricca di ciò che chiamiamo testi soggiacenti e che con Michail Bachtin abbiamo
imparato a chiamare intertesti. E continuamente, nel e per capire, l’esperto lavora
con i link del suo ipertesto memoriale e con le voci che ha udito. Il ricorso alla
voce è un potente tramite di empatia rispetto a un testo: lo sanno quasi di istinto
i genitori (pochi in Italia, più numerosi in altri paesi come la Gran Bretagna) che
hanno la buona abitudine di leggere storie ad alta voce ai loro piccoli. È una pratica
raccomandata oggi dal gruppo di psicologi e insegnanti uniti nel progetto «Nati per
leggere», ma suggerita sessant’anni fa dal già ricordato Flesch, a tacere delle assai
suggestive pagine scritte in proposito da Daniel Pennac in Come un romanzo.
Naturalmente c’è una conseguenza correlata a tutto ciò. Chi affida i suoi pensieri
a uno scritto, specie se questo vuole informare in modo critico, deve avere ben presenti
le fatiche e complessità del leggere. Anche se non è per niente facile, deve cercare
di rendere ciò che scrive il meno difficile possibile, stare attento ai «nodi della
comprensione» (ci ha insegnato a chiamarli così e a individuarli Lucia Lumbelli),
alle parole per lui scrivente ovvie e chiare ma opache per il lettore, agli ammiccamenti
da intellettuale che sa tutto. Del resto non è detto che questo valga solo per la
scrittura informativa o saggistica. Italo Calvino ha raccomandato a chiunque scriva
la capacità di guardare con un occhio alla propria pagina e con un altro ai potenziali
lettori che vorrebbe coinvolgere.
C’è chi ride di queste preoccupazioni per la leggibilità e comprensibilità. Chi punta
il dito e accusa quanti le manifestano di voler appiattire la cultura col facilese. Sbagliano dovunque si trovino, e se ne trovano dappertutto. Ma sbagliano in misura
particolare nel nostro paese in cui è alta la quota di analfabeti primari, mai alfabetizzati,
e altissima quella di quanti, usciti dalle scuole e dalle università con discrete
competenze di lettura, le dimenticano poi nella vita adulta e sono travolti da quella
devastante dealfabetizzazione che respinge il 38% della popolazione in un rinnovato
analfabetismo – l’illiteracy degli anglosassoni –, e un altro 33% in una condizione che viene definita dagli esperti
«a rischio di analfabetismo». Anche un umanista incallito lo capisce: 38 e 33 fanno
71, e questa è la percentuale di adulti italiani per i quali la lettura è un’impresa
assai difficile o letteralmente impossibile. Dei molti paesi presi in analisi da queste
indagini solo la Sierra Leone ha una percentuale più alta. Lucia Lumbelli conosce
bene queste situazioni, quanto rendano penosa la vita della scuola, che deve lavorare
sola in questo ambiente, e pensa e ci ricorda, giustamente, quanto ci sia ben poco
da appiattire.
Non risparmiare sforzi per favorire l’accostamento alla cultura scritta è una delle
lezioni che dà con questo libro Lucia Lumbelli: una lezione scientifica e intellettuale,
certo, ma anche umana e civile.
Introduzione
Esistono indicazioni procedurali abbastanza precise che orientino efficacemente la
scrittura di chi voglia farsi capire anche dalle persone meno scolarizzate, o comunque
prive di conoscenze specialistiche in un determinato dominio? Sono concepibili ipotesi
di lavoro di analisi e di autoanalisi della scrittura che, pur tenendo conto della
variabilità delle menti e dei contenuti informativi, abbiano qualche grado di generalizzabilità?
Ipotesi di lavoro che siano un modo efficace di pensare alla mente del lettore, conciliando
comprensibilità e rispetto della complessità e della problematicità degli argomenti?
E ancora, a proposito dei testi letterari, è possibile tenere conto dei problemi di
comprensione nel senso ristretto di ricostruzione delle informazioni espresse in un
testo, senza rinunciare al rispetto per le diversità personali e culturali e alla
valorizzazione dell’apporto interpretativo del lettore nell’interazione con il testo?
È possibile riconoscere la libertà del lettore in modo che questo principio non finisca
per far coincidere libera interpretazione personale con distorsioni e ricostruzioni
deformanti del significato testuale?
Infine, è possibile definire un piano di recupero intensivo della componente dell’abilità
di comprensione dei testi che coincida con l’esecuzione di processi mentali di rilievo
strategico nella ricostruzione del significato di un testo? È possibile concentrare
l’intervento su processi mentali che siano sufficientemente elevati per poter essere
stimolati con situazioni educative in cui la libertà e l’iniziativa del lettore siano
felicemente combinate con un progetto di istruzione efficace, con ricadute a tutti
i livelli dell’elaborazione di frasi organizzate in testo? È possibile conciliare
l’efficacia dell’intervento intensivo con l’incoraggiamento di quella iniziativa e
di quel coinvolgimento dell’allievo-lettore che determinano la qualità sia della situazione educativa sia dell’obiettivo raggiungibile grazie a essa?
Sono interrogativi ai quali ho cercato di rispondere in questo libro attingendo al
settore della psicologia cognitiva che riguarda i processi di elaborazione richiesti
ogniqualvolta un insieme di frasi si organizza in un testo – e la comprensione riguarda
quindi non solo i significati espressi da ogni singola frase ma anche i significati
che devono essere inferiti per garantire la coerenza della rappresentazione mentale.
Si tratta di nozioni che riguardano specificamente l’attività cognitiva, ma acquistano
un valore esistenziale e socioeducativo qualora le si consideri appunto come potenziali
risposte a quegli interrogativi. Gli accenti che ho posto nella mia lettura della
letteratura sperimentale derivano sia da quegli stessi interrogativi, sia dall’osservazione
di numerosi protocolli verbali prodotti da lettori in difficoltà, soprattutto nel
corso del primo impatto con i testi ma anche in successivi momenti di rilettura e
riflessione.
Con l’aiuto di persone impegnate quotidianamente nell’aiutare ragazzi e ragazze degli
ultimi anni della scuola dell’obbligo a capire testi e discorsi, sono riuscita a toccare
con mano qualche pezzo della loro attività mentale grazie a quello speciale contatto
che ho chiamato colloquio centrato-sul-lettore-che-pensa-ad-alta-voce. Si tratta della combinazione di suggestioni metodologiche che ho attinto dalla psicologia
del pensiero e dalla psicoterapia, oltre che dalla ricerca sulla comprensione di testi,
e che ha dimostrato di essere una formidabile fonte di dati che mi sono serviti per
proporre integrazioni e problematizzazioni dei dati stessi della ricerca sperimentale
sui processi di comprensione dei testi.
Nel primo capitolo ho cercato di tracciare un quadro esauriente (anche se selettivo
nel senso già indicato) della letteratura di riferimento, adottando un approccio che
‘simula’ ciò che sembra avvenire nella mente del lettore nei vari momenti in cui si
articola l’incontro della sua mente con il testo. Nella vastità della letteratura
ho privilegiato un punto di riferimento, che è anche l’ultima rielaborazione organica
del pensiero dello psicologo che ha dato i più ricchi contributi alla ricerca di base
sulla comprensione del testo: Walter Kintsch. Il punto cruciale riguarda le definizioni
proposte da Kintsch (1998) a proposito delle varie categorie di inferenza e in particolare
la distinzione tra inferenze automatiche, e poco degne della denominazione stessa,
e inferenze complesse che, in quanto vere e proprie forme di ragionamento, non sarebbero
automatiche ma consapevolmente monitorate. Le mie osservazioni mi hanno permesso di
scoprire che molto spesso anche questa forma di inferenza di notevole complessità
viene eseguita al di fuori del controllo consapevole. Questa è la ragione della loro
speciale importanza sul piano applicativo. Infatti è questa compresenza di complessità
e di assenza di controllo consapevole che ne fa un’importante occasione di incomprensione inconsapevole, e quindi non suscettibile di autocorrezione.
Nel secondo capitolo viene definita una possibile linea di analisi di testi divulgativi.
Essa si concentra su quelle richieste testuali di inferenze complesse che io assumo
come principale occasione di non consapevoli difficoltà di comprensione, e quindi
di incomprensione inconsapevole. L’analisi è concepita come individuazione di richieste
testuali che hanno molta probabilità di non essere soddisfatte dal tipo di lettore
che è destinatario della scrittura divulgativa, soprattutto quando si intende coinvolgere
nella comunicazione anche chi è scarsamente scolarizzato o vittima della cosiddetta
illiteracy. L’individuazione di questo tipo di richieste testuali non è affatto scontata qualora
l’analisi non conti sul contributo della psicologia cognitiva a proposito di quelle
inferenze che sono destinate a produrre le integrazioni che restituiscano coerenza
alla rappresentazione mentale del significato del testo. Il carattere non scontato
di tale analisi deriva dalla natura automatica, non consapevole, dell’esecuzione di
quelle inferenze anche da parte di chi ha scritto il testo o lo sta analizzando. Quella
qui proposta ed esemplificata è una metodologia destinata a richiamare alla consapevolezza
dello scrittore o dell’analista le operazioni che tendono a sfuggire al loro controllo.
L’accento è sull’analisi con previsione delle difficoltà di comprensione, ma le soluzioni
operative che ne possono conseguire sono ovvie quanto varie: dalla riscrittura come
conseguenza di una autorevisione, alla riscrittura come conseguenza dell’analisi da
parte di lettori esperti, alla pianificazione di discorsi che ‘spieghino’ il testo
con un criterio preciso. In quest’ultimo caso, il discorso esplicativo dovrebbe rendere
esplicito il percorso di pensiero che permette di fornire alle informazioni testuali
il collegamento corretto. Ma si potrebbe continuare con l’elenco delle azioni che
si possono basare su questo approccio di analisi della comprensibilità di testi informativi:
vi si potrebbero far rientrare domande per verificare la comprensione dei lettori-allievi
in qualsiasi situazione educativa che faccia uso di quei testi.
Nel terzo capitolo ho affrontato la specificità dei testi letterari con lo scopo di
dimostrare la validità di alcune fondamentali assunzioni che possono essere qui solo
brevemente anticipate. In primo luogo, l’abilità di compiere correttamente le inferenze
connettive richieste dal testo è condizione necessaria perché i discorsi sull’interpretazione
e sulla libertà di lettura abbiano senso nei confronti dei lettori che sono in difficoltà
per ragioni socioculturali. In secondo luogo, la stessa risposta emozionale al testo
esteticamente apprezzabile è in stretta relazione con determinati processi cognitivi
e può quindi essere ‘spiegata’ anche in base a essi. In terzo luogo, questa traduzione
del piacere del testo nei processi cognitivi che ne sono condizione sarebbe materia
ideale per quella collaborazione interdisciplinare che molto si auspica e poco si
pratica. L’analisi dei testi letterari in termini psicocognitivi potrebbe integrare
i criteri di semiologi e teorici della letteratura con la ricostruzione delle attività
cognitive che consentono di condividere le valutazioni orientate da questi stessi
criteri.
Nel quarto capitolo viene delineato un approccio educativo che intende aiutare un
lettore in difficoltà a trovare meno difficili da comprendere sia i testi informativi
che i testi narrativi di valore letterario. In entrambi i casi l’intervento educativo
ha la funzione di stimolare la capacità di capire, nel senso di auto-controllarsi,
nell’esecuzione di inferenze di collegamento tra le informazioni espresse linguisticamente.
La capacità di apprezzare le peculiarità espressive del testo letterario è facilitata
solo indirettamente da questo approccio educativo, in quanto esso provvede a rendere i processi di integrazione
più adeguati nei confronti del testo e prepara così le premesse per un’interpretazione
del testo stesso. Questa forma di intervento educativo è caratterizzata altresì dall’essere
completamente centrata-sulla-mente-del-lettore-che-pensa-ad-alta-voce e dall’impegno dell’istruttore nell’incoraggiare sistematicamente l’iniziativa e
la motivazione intrinseca. Sia l’obiettivo di questa stimolazione che la situazione
educativa di problem-solving appartengono alla sfera del cognitivo: si possono considerare applicazioni cognitive
di risultati della ricerca sui processi cognitivi. Ma nell’intervento di stimolazione
ha un grande rilievo la componente relazionale, e precisamente la funzione dell’istruttore
in tutte le fasi dell’intervento. La rilevanza di tale funzione deriva dal riconoscimento
dell’importanza dell’atteggiamento con cui l’allievo partecipa all’esperienza di istruzione,
e quindi dalla consapevolezza di dover incoraggiare nell’allievo un atteggiamento
di partecipazione attiva.
Nell’Epilogo si accenna all’empatia, che è una componente dell’intervento educativo.
Più precisamente essa garantisce la persistenza della motivazione dell’allievo ad
apprendere in una situazione di problem-solving e controbilancia le frustrazioni inevitabilmente
legate a tale situazione. Si tratta di una componente emozionale strettamente legata
alla componente cognitiva che caratterizza l’approccio educativo che verrà qui delineato.
In tale approccio, infatti, la definizione di Carl R. Rogers (1951) dell’empatia come sforzo di comprensione e della comunicazione empatica come testimonianza della genuinità e dell’adeguatezza
di tale sforzo viene estesa dalla psicoterapia e dal counselling alla situazione di istruzione. Dall’incoraggiamento di un atteggiamento attivo di
ricerca in se stesso, da parte del destinatario della psicoterapia, si passa all’incoraggiamento
di un atteggiamento attivo di ricerca nel testo e nella propria mente da parte dell’allievo-lettore
che sta apprendendo il controllo consapevole dell’esecuzione di processi di comprensione
della lettura. Dalla terapia centrata-sul-cliente si passa alla stimolazione dell’abilità di comprensione della lettura centrata-sul-lettore-che-pensa-ad-alta-voce.
L.L.
I. Seguendo la mente che legge un testo
Il potenziale di applicabilità delle scoperte di psicologia cognitiva a proposito
della comprensione di testi deriva dalla relativa facilità con cui esse possono trovare
riscontro nell’esperienza di lettori più o meno esperti, più o meno specializzati.
Il carattere astratto che la ricerca sperimentale deve necessariamente avere e l’origine
teorico-specialistica dei problemi indagati rappresentano molto meno che in altri
casi un ostacolo alla riformulazione in termini di soluzione di problemi applicativi.
I dati sperimentali possono trovare riscontro nell’esperienza comune e tale riscontro
conferisce a quei dati sperimentali una certa pertinenza fenomenologica e ne consente
il confronto con altri approcci all’esperienza della lettura di testi.
È quanto si cercherà di dimostrare in questo capitolo, con una sintesi selettiva delle
scoperte della ricerca psicocognitiva sulla comprensione di testi e discorsi, e nei
capitoli successivi, con un’analisi delle diverse applicazioni che ne sono derivate.
Una delle constatazioni fondamentali di questo campo di ricerca può essere il carattere sequenziale della lettura, il fatto cioè che leggendo un testo, che è un insieme organizzato di frasi, noi
siamo costretti a leggere, percepire e decodificare una frase alla volta. È una constatazione
comune alla linguistica testuale e a certe analisi semiologiche dei testi letterari
(Segre, 1974), rispetto alle quali l’approccio psicocognitivo può essere considerato
un completamento o uno sviluppo.
Studiare la comprensione come attività mentale equivale a studiare come i processi
di elaborazione in un momento dato si connettano con quelli già avvenuti nella mente del lettore, sfruttando quanto
la ricerca cognitiva ha già scoperto a proposito di attenzione, memoria e ragionamento.
È uno studio che affronta il problema della costruzione della rappresentazione dei
significati di un testo, dei processi che sono necessari affinché all’insieme organizzato
di significati linguisticamente espressi corrisponda una rappresentazione mentale,
altrettanto coerente, di quei significati stessi. Anche questa ricostruzione è comune
ad altri approcci, ma se ne differenzia in quanto dotata di un fondamento sperimentale.
Anzi, in genere le analisi linguistico-semiologiche tendono ad assumere, esplicitamente
o implicitamente, l’incompatibilità tra la ricerca delle scienze umane e il metodo
scientifico-naturale o sperimentale. Senza discutere queste assunzioni e rinunciando
d’altra parte anche a una difesa approfondita del metodo sperimentale, basti ribadire
che l’approccio psicocognitivo all’analisi del testo dimostra di combinare l’evidenza
sperimentale con un potenziale di applicabilità che si è già tentato di documentare e che sarà meglio segnalato e argomentato in
seguito.
La descrizione di tale approccio qui proposta farà principalmente riferimento a Kintsch
(1998) in quanto sintesi relativamente recente e rappresentativa della ricerca sulla
comprensione, e sarà volta a mettere in luce i risultati della ricerca che appaiono
per un verso più chiari e per l’altro verso più rilevanti fenomenologicamente, cioè
più facilmente riscontrabili nell’esperienza comune. Proprio perché si è adottato
questo criterio fondamentale, si è deciso di adattare la descrizione al carattere sequenziale della lettura e cioè di descrivere i vari fenomeni via via che intervengono nel procedere della
comprensione del testo; di conseguenza, si è deciso di partire dal momento in cui
tale comprensione si differenzia dalla semplice comprensione di frasi, e cioè dal
momento in cui il risultato dell’elaborazione del significato di una singola frase
viene connesso con quello dell’elaborazione della frase o delle frasi precedenti.
Si è cercato così di procedere con l’esposizione dal basso all’alto, e precisamente
dal contatto diretto con il testo ai livelli in cui la mente ritorna sui risultati
delle elaborazioni con un più decisivo intervento delle conoscenze pregresse.
1. L’integrazione del significato di ogni singola nuova frase nel corso della lettura
Il primo punto di questa descrizione attinta dall’approccio psicocognitivo corrisponde
a un interrogativo che può essere così articolato: che succede nella mente relativamente
a quella determinata frase che incontriamo nel corso della lettura in un determinato
momento? Come interagirà la sua rappresentazione con quella che ci siamo già costruiti
sulla base della lettura della parte precedente del testo? Che resterà di essa via
via che la lettura prosegue?
A questo proposito va fatta una precisazione fondamentale: i processi cognitivi che
verranno presi in considerazione sono quelli legati alla natura stessa del testo, mentre verranno messi tra parentesi e dati per scontati tutti i processi legati
alla lettura delle singole lettere, parole o frasi, processi a proposito dei quali
la psicolinguistica ha peraltro prodotto risultati importanti, ma meno direttamente
rilevanti dal punto di vista delle applicazioni al centro di questa trattazione. È
evidente che la comprensione della frase su cui si focalizza l’attenzione in un momento
dato consiste anzitutto in questi processi più semplici: il significato di quella
frase può essere rappresentato correttamente solo qualora il lettore conosca il significato
delle singole parole e abbia una sufficiente competenza sintattica per collegarle
adeguatamente. È evidente pertanto che anche l’analisi di questi livelli rientra nella
risposta al primo degli interrogativi qui sopra formulati. Ma dal punto di vista dei
processi di comprensione testuale la ricostruzione comincia a partire dal risultato
dell’elaborazione del significato di ogni singola frase che sia nel fuoco dell’attenzione.
A questo proposito va presa anzitutto in considerazione una prima scoperta fondamentale:
la rappresentazione del significato nel caso di frasi appartenenti a un testo è solo
parzialmente e raramente verbatim. Se dopo aver letto un sia pur breve passaggio testuale siamo invitati a riferire
quanto ci è rimasto in mente, tenderemo a produrre – nel caso di comprensione corretta
– una parafrasi fedele di quanto abbiamo letto, vale a dire produrremo frasi che hanno
un significato equivalente (Martin, 1976; Wunderlich, 1980; Fuchs, 1982; Levorato,
1988) a quello originario, senza peraltro rispettarne completamente il lessico e la
sintassi.
Come si spiega questo dato di fatto che tante conseguenze dimostra di poter avere
nella pratica della comunicazione, e in particolare nella lettura di qualsiasi genere
di testo?
È una spiegazione complessa che però è introdotta da un altro dato di fatto che Kintsch
(1998, p. 101) descrive così: «non appena ogni singolo segmento testuale viene elaborato,
esso viene immediatamente integrato con il resto del testo che è trattenuto in quel
momento nella memoria di lavoro [...] è immediatamente integrato con la rappresentazione
del testo». Il dato di fatto è dunque che, nella misura in cui stiamo capendo un testo
o un discorso, la comprensione di ogni singola frase non resta neanche per un momento
a sé stante, isolata dal processo di comprensione dell’insieme in cui quella frase
è inserita. La sua memorizzazione è fin dal primo momento influenzata dalla comprensione
di quanto abbiamo già letto o sentito. È anzitutto questa interazione immediata tra
la rappresentazione del singolo significato e la rappresentazione complessiva del
testo e del discorso capito fino a quel momento che spiega come mai nell’esperienza
comune la veste linguistica specifica con cui quel singolo significato è arrivato
al lettore tenda a essere abbandonata. Il passo successivo nella spiegazione di Kintsch
chiama in causa un concetto basilare della ricerca sulla memoria in generale, di cui
Kintsch (1998), riprendendo Ericsson e Kintsch (1995), ha proposto uno sviluppo particolarmente
interessante in merito al concetto di memoria di lavoro (Baddeley, 1986). Questo sviluppo consiste nella definizione del concetto di memoria di lavoro a lungo termine di cui si tratterà in seguito. Per spiegare il carattere non letterale della rappresentazione
del significato basti per ora ricordare con Kintsch che la memoria di lavoro è stata
a un certo punto introdotta come un’ulteriore articolazione rispetto alla distinzione
tra memoria a breve termine (Miller, 1956; Broadbent, 1975), di durata brevissima e di capacità molto limitata,
e memoria a lungo termine, in cui sono immagazzinate tutte le conoscenze di diverso tipo in qualche modo acquisite
da un determinato lettore. La memoria di lavoro è solo in parte uno sviluppo della
memoria a breve termine perché non si limita a trattenere un certo numero di elementi
che, per usare ancora un’espressione di Kintsch, sono nel fuoco dell’attenzione, ma provvede anche alla loro interazione e quindi a una certa attività di elaborazione.
Questo tipo di memoria condivide con la memoria a breve termine la capacità limitata,
ma aggiunge a essa una componente di attività che, nel caso della comprensione del
testo, ha un’importanza decisiva rispetto a successivi momenti di elaborazione, e
consiste nell’interazione tra i risultati della decodifica di quella particolare frase
e i risultati delle precedenti elaborazioni. Così come decisiva e irrevocabile è la perdita della veste linguistica, irreversibile è il cambiamento del significato
che deriva dall’integrazione del nuovo significato nella rappresentazione complessiva
del testo già letto. Come si vedrà meglio in seguito, questo cambiamento di significato
ha esiti molto diversi a seconda, ad esempio, che il nuovo significato si colleghi
facilmente con quello della frase precedente, oppure comporti problemi di coerenza
con esso e/o con la sintesi dei significati precedenti nel loro complesso. In quest’ultimo
caso, infatti, l’esito sarà diverso a seconda che le integrazioni destinate a riempire
le lacune di coerenza risultino adeguate rispetto al testo, sia localmente sia nel
suo complesso, oppure diano luogo a vere e proprie distorsioni del significato, e
quindi a una più o meno parziale incomprensione. Incomprensione che il lettore si
porterà inevitabilmente dietro nelle sue elaborazioni ulteriori.
Ovviamente tali distorsioni possono avvenire già in fase di elaborazione del significato
della singola frase, per esempio per la mancata conoscenza di qualche parola o per
l’omissione di qualche altra per deficit di attenzione. Ma questa nuova occasione
di distorsione del significato sembra particolarmente importante perché è contemporaneamente
più grave nelle conseguenze e meno scontata nell’esperienza comune. Infatti, la complessità dell’integrazione del significato di una singola frase nel
significato complessivo del testo, anche tenendo conto solo di questi aspetti molto
generali, permette di prevedere una varietà di occasioni di distorsione che va al
di là di quelle dovute a errori lessicali. È una complessità che acquista maggiore
incidenza per il fatto, già evidenziato, che i processi di integrazione in questione
avvengono, per così dire, per definizione, al di fuori del controllo consapevole. Infatti, fin dalle iniziali definizioni di comprensione, Kintsch (1998) la distingue
nettamente dall’attività di problem-solving o di pensiero e di ragionamento, proprio
in base al fatto che nel caso della comprensione solo il suo risultato finale è consapevole,
mentre i processi che portano a tale risultato non lo sono affatto. A differenza dei
processi di pensiero che sono «tipicamente sotto controllo consapevole, sequenziali»,
i processi di comprensione avvengono normalmente «in parallelo» e arrivano alla coscienza
solo «quando nella percezione o nella comprensione si ha un’impasse», ma in questi
casi i processi di comprensione non sono più tali bensì «diventano processi di problem-solving
in quanto processi di riparazione o restaurazione» (ivi, p. 3).
Dal punto di vista applicativo questa combinazione di complessità e di completa mancanza
di controllo consapevole dei processi di comprensione del testo ha un’importanza decisiva,
in quanto è all’origine di molte ipotesi sulla previsione e spiegazione dei fenomeni
di incomprensione.
Le scoperte della ricerca cognitiva sul processo di comprensione servono non solo
a individuare le regole del funzionamento della mente che presiedono a quel processo
nel caso di comprensione corretta, ma anche a indicare le occasioni e le cause di
malfunzionamento, ivi compreso il dato di fatto che gli episodi di incomprensione
sono difficili da scoprire. Ossia che la sensazione soggettiva di aver capito correttamente
coesiste con deformazioni e distorsioni anche vistose.
Ma vistose non per l’occhio comune e naturale, per il quale i processi di elaborazione
sono nascosti, irrecuperabili, bensì per quello artificiale dell’analista, per lo
sguardo cioè guidato dall’analisi del testo concentrata sui processi mentali necessari
per la sua comprensione corretta.
Questa peculiare combinazione di complessità e non consapevolezza dei processi di comprensione emerge chiaramente fin dal semplice passo in cui il risultato dell’elaborazione di
una nuova frase viene aggiunto a quello ricavato dall’intero testo precedente, semplice
passo da cui parte l’analisi di questa trattazione: come si è visto, inconsapevole è l’estrazione del significato dalla veste linguistica e altrettanto inconsapevole è la sua interazione con la rappresentazione del testo precedente.
Prima di proseguire nella ‘storia’ dell’interazione di un singolo significato con
la rappresentazione del significato complessivo del testo già letto, è opportuno aprire
una parentesi a proposito della descrizione del formato di questa rappresentazione
che prevale nella ricerca psicocognitiva. La domanda è: come viene rappresentato il
significato di una singola frase, che si è visto essere equivalente ma non identico
rispetto alla formulazione linguistica originaria? La risposta prevalente è che quella
rappresentazione è articolata in predicati e argomenti: è cioè la rappresentazione
che risulta dall’analisi proposizionale di ogni singola frase del testo e delle relazioni
con le frasi adiacenti. Pur ampiamente condivisa, questa risposta non sembra appartenere
alle scoperte di questo campo di ricerca che sono solidamente acquisite e nello stesso
tempo proficuamente applicabili a problemi operativi di comunicazione. Quell’analisi
non viene quindi utilizzata in questa esposizione, in cui invece si lascia aperto
il problema della determinazione della rappresentazione mentale del significato, almeno
a questo primo livello, in cui si passa dalla frase linguisticamente intesa alla rappresentazione
mentale del suo significato integrato nel testo cui essa appartiene.
D’altra parte Kintsch stesso (1998, pp. 44-47) – proponendo la forma di rappresentazione
proposizionale del significato non solo per il testo verbale ma anche per la comunicazione
di informazioni spaziali e visive – riconosce l’importanza delle dimostrazioni teoriche
ed empiriche della specificità («le proprietà uniche della rappresentazione analogica»)
della rappresentazione per immagini mentali e spaziali (Kosslyn, 1994), nonché la
necessità di salvaguardare questa specificità nell’eventuale traduzione in termini
di rappresentazione proposizionale. Ammette che tale salvaguardia è per ora «ideale»
e «non facilmente realizzabile». La giustificazione principale della sua preferenza
per l’analisi proposizionale è che, qualora risultasse così ampiamente estensibile,
essa permetterebbe di «lavorare con un medium uniforme». La sua scelta sarebbe basata
su «considerazioni pratiche», anche se, ancora una volta, sarebbe per ora tutt’altro
che chiaro come «interfacciare queste unità di analisi con le rappresentazioni spaziali»
(Kintsch, 1998, p. 45), e inoltre l’estensione dell’articolazione in predicati e argomenti
può «incoraggiare un bias verbale che il teorico deve cercare di contrastare» (ivi, p. 47).
Se per ora si è semplicemente adottata l’espressione meno determinata di rappresentazione del significato della frase in interazione con la rappresentazione del testo, la questione della natura della
rappresentazione mentale verrà ripresa in seguito, quando si esamineranno le varie
forme di conoscenza pregressa che entrano in gioco nel processo di comprensione del
testo.
2. Il collegamento tra frasi adiacenti
Un passo importante, come si è visto, è il risultato dell’interazione tra la nuova
frase in ingresso e quanto si trova contemporaneamente nella memoria di lavoro. Si
tratta di un passo che deve essere ulteriormente approfondito. Ci sono due principali
possibilità. La presenza di tracce delle frasi immediatamente precedenti con cui il
nuovo significato deve essere collegato in modo coerente, oppure di qualche forma
di sintesi selettiva del significato di un intero insieme di significati delle frasi
precedenti, una rappresentazione che corrisponde a un intero periodo o capoverso e
che viene chiamato microstruttura (Kintsch e van Dijk, 1978; van Dijk e Kintsch, 1983; Levorato, 1988, 2000, 2001).
Sia che si tratti dell’interazione tra due o più frasi adiacenti, o dell’interazione
tra il significato di una singola frase e il risultato di una sintesi o selezione
avvenuta da poco, resta il fatto che nella rappresentazione mentale non entrano tutte
le relazioni esplicitate linguisticamente nel testo ma solo le relazioni tra significati
che «erano insieme presenti nella memoria di lavoro in qualche momento durante il
processo di comprensione frase per frase» (Kintsch, 1998, p. 102).
Il nuovo significato deve collegarsi a una o più frasi qualora la costruzione della
microstruttura non sia ancora compiuta, e quindi non ci sia ancora stata quella sintesi
con cesura finale con cui la mente decide di rubricare una nuova microstruttura e
di avviarne una nuova. Quando l’interazione è tra frasi adiacenti, capirle vuol dire
coglierne la relazione, dando così luogo a una rappresentazione coerente del significato
di entrambe. Qualora la relazione non sia esplicitata nell’espressione linguistica,
sono richieste operazioni volte a ripristinare la coerenza locale con opportune integrazioni.
Due categorie di operazioni corrispondono ad altrettanti importanti capitoli della
ricerca sulla comprensione del testo e verranno entrambe riprese in seguito: la rappresentazione
dell’anafora e l’esecuzione di quelle inferenze che sono state chiamate bridging (Clark, 1977) in quanto servono a collegare tra loro significati espressi nel testo
senza che ne venga esplicitata la relazione.
A proposito dell’anafora, va qui chiarito che la ricerca linguistica fornisce un ricco contributo allo studio
della sua rappresentazione mentale (Givón, 1983, 1995), anche se, come si vedrà in
seguito, l’analisi di alcuni testi nei termini dei processi di comprensione richiesti
sembra smentire le regole individuate a proposito della produzione verbale scritta
e orale. Una di queste regole riguarda il ruolo della distanza lineare dalla coreferenza
nella scelta del tipo di anafora adottato dai parlanti o dagli scriventi. Chi scrive
rinuncerebbe all’anafora se tale distanza è massima, adotterebbe l’anafora «più facile»,
che consiste in nominalizzazioni complete, quando la distanza è minore, e solo se
tale distanza è minima si utilizzerebbero i pronomi. La ricerca psicocognitiva ha
dimostrato che tale regola ha un certo riscontro nella comprensione perché si è accertata
l’influenza della distanza testuale rispetto all’antecedente nel testo cui il pronome viene riferito (Carpenter e Just,
1977; Ehrlich e Rayner, 1983). Ma si vedrà che spesso testi giudicabili come buoni
o corretti non risultano rispettare quelle regole, con probabile danno sul piano della
comprensibilità.
A proposito delle inferenze bridging, un ottimo esempio chiarificatore si trova nella
coppia di frasi che costituisce una delle versioni testuali confrontate nella ricerca
sperimentale di Kintsch e Keenan (1973), e cioè nella versione chiamata implicita: «Una sigaretta accesa venne abbandonata sbadatamente. L’incendio distrusse molti
acri di foresta vergine». Questa coppia di frasi dimostrò di richiedere più tempo
di elaborazione rispetto alla versione esplicita in cui alla prima frase, che restava invariata, seguiva la seguente frase: «Essa
causò un incendio che distrusse molti acri di foresta vergine». In quest’ultimo caso
veniva linguisticamente esplicitato quanto (la sigaretta accesa causò un incendio)
nella prima versione doveva essere inferito. Il lettore, in tale versione implicita, doveva cioè rispondere alla domanda: «Che c’entra l’incendio della seconda frase
con il significato della prima frase?», inferendo l’informazione già citata, e cioè
che la sigaretta accesa aveva provocato l’incendio.
In questo esempio l’inferenza può essere considerata ‘facile’ perché la conoscenza
da cui viene ricavata è largamente condivisa, appartiene al dominio delle conoscenze
generalmente condivise sul mondo e quindi di pronta disponibilità.
Invece, nell’esempio che segue, l’inferenza può essere valutata come ‘difficile’ perché
chiama in causa una conoscenza specialistica: «Si trovò una quantità anormalmente
bassa di idrocele. Il funicolo spermatico era completamente asciutto». Se non si hanno
conoscenze specialistiche in proposito, per collegare le due frasi è necessario inferire
che il funicolo spermatico sia un posto in cui è situato l’idrocele; inoltre, visto
che la sua quantità molto limitata rende quel posto molto secco, sempre dall’interazione
tra le due frasi si inferisce che l’idrocele è un tipo di liquido. In entrambi gli
esempi, le inferenze in quanto tali sono molto semplici. Ciò che cambia è che, nel
primo esempio, l’immediata disponibilità della conoscenza usata per fare l’inferenza
rende molto facile e automatica l’integrazione bridging; invece, nel secondo esempio,
per assicurare la coerenza del testo è necessaria «un’inferenza deliberata e consapevole,
che si riflette nei protocolli verbali prodotti dal lettore, a differenza dell’accesso
automatico proprio delle conoscenze che appartengono ad un dominio comune» (Kintsch,
1998, p. 230).
Concludendo al riguardo di questo punto del percorso, si può dire che, qualora la
coerenza locale tra i significati delle frasi non sia garantita da elementi linguistici
quali i diversi tipi di anafora, il significato della singola nuova frase viene collegato
con quella o quelle che precedono, e che si trovano ancora nella memoria di lavoro,
mediante inferenze di collegamento tra i significati delle frasi. Tali inferenze assicurano la coerenza locale nello
sviluppo della rappresentazione del significato del testo. Si tratta comunemente di
operazioni automatiche, eseguite al di fuori del controllo consapevole, purché la
difficoltà di recuperare le conoscenze necessarie per l’integrazione inferenziale
non provochi un richiamo alla coscienza del processo di comprensione, trasformandolo
in processo di problem-solving.
Che la nostra mente compia effettivamente queste operazioni quando risultino necessarie
per mantenere la coerenza locale è stato dimostrato sperimentalmente. In tali dimostrazioni
sono state utilizzate due diverse versioni di un materiale testuale molto breve, in
genere composto da due frasi: la differenza tra le due versioni era data dalla presenza
o meno di un’anafora che richiedesse l’esecuzione di una semplice inferenza per essere
utilizzata.
Prima di esaminare alcuni esempi classici delle coppie di frasi usate, è opportuno
anticipare il dato principale, e cioè che il tempo di lettura è più lungo nel caso
in cui venga richiesta l’inferenza.
Una delle doppie coppie di frasi usate da Just e Carpenter (1978) era la seguente:
«Era una notte buia e tempestosa quella in cui il miliardario fu assassinato. L’assassino
non lasciò indizi che consentissero alla polizia di scoprirlo». Nell’altra coppia
di frasi confrontata con questa, la seconda frase rimaneva invariata, mentre la prima
veniva leggermente modificata: «Era una notte buia e tempestosa quella in cui il miliardario
morì». Il tempo più lungo richiesto da questa seconda versione è riconducibile al
fatto che in questo caso, di fronte alla parola assassino, il lettore non ha ancora attivato una sua coreferenza, perché essa non è immediatamente
riconoscibile nella parola morì, mentre è richiamata con la parola assassinato della precedente versione. Per quanto semplice e automatica, l’inferenza richiesta
nella seconda versione deve essere stata effettivamente eseguita durante la lettura
poiché è risultata una differenza significativa nel tempo impiegato dai partecipanti
che avevano letto le due versioni.
Un esempio parzialmente analogo si trova in Clark e Haviland (1977). Anche in questo
caso si riscontra una differenza nei tempi di lettura di due coppie di frasi di cui
la seconda frase di ciascuna coppia resta invariata e la prima invece cambia a seconda
che richieda o meno l’esecuzione di un’inferenza per l’identificazione della coreferenza
nella lettura della frase successiva. La versione ‘facilitata’ era la seguente: «Orazio
prese la birra fuori dalla macchina; la birra era calda». Nella versione che richiedeva
l’inferenza la prima frase era: «Orazio prese fuori dalla macchina le provviste per
il picnic». In questo caso, per collegare coerentemente il significato della seconda
frase a quello della prima, il lettore deve inferire che tra le provviste ci sia anche
la birra. Ancora una volta un materiale semplice per un accertamento chiaro e rigoroso.
La semplicità di queste situazioni sperimentali non deve essere considerata un ostacolo
alla loro utilizzazione a proposito di testi anche lunghi e complessi, non costruiti
a scopi sperimentali. Anzi, se ne può concludere che la chiara dimostrazione, non
ambigua e non controversa, del fatto che anche quando le inferenze richieste sono
semplicissime esse vengono tuttavia eseguite con qualche dispendio di tempo e quindi
di risorse cognitive, implica che ciò può essere fatto valere a fortiori per i testi lunghi e complessi, con richieste di inferenze che possono essere molto
meno semplici.
Come si vedrà meglio in seguito, queste scoperte fatte a proposito di testi ‘artificiali’,
costruiti per favorire l’accertamento sperimentale, trovano una significativa applicazione
proprio nell’analisi e diagnosi dei testi ‘naturali’ dotati di speciali difficoltà.
I testoidi, come sono stati spregiativamente denominati i testi manipolati a scopo sperimentale
da Graesser, Millis e Zwaan (1997), si sono rivelati utili al lavoro sui testi veri
e propri o ‘naturali’.
3. La formazione di strutture o microstrutture
Si è già fatto cenno alla microstruttura. Infatti ogni nuova singola frase deve integrarsi
con la rappresentazione della microstruttura e non con la frase immediatamente precedente,
qualora la nuova frase non sia la prima di una nuova microstruttura. In tale caso,
l’interazione nella memoria di lavoro è tra il significato della nuova frase e la
microstruttura che si è conclusa con la frase precedente. L’elaborazione della nuova
frase sarà la conferma di una cesura semantica che determinerà così l’uscita della
microstruttura dalla memoria di lavoro e la sua spedizione nella memoria a lungo termine e precisamente nella memoria episodica del testo già letto.
La decisione di chiudere una microstruttura – decisione come al solito inconsapevole
– ha una grande importanza nel processo di comprensione. È la decisione con la quale
facciamo una specie di riassunto di un insieme di frasi di cui abbiamo assicurato
la coerenza mediante l’uso degli elementi linguistici propri del testo, come le anafore
e i connettivi, che segnalano i rapporti tra i significati delle frasi, oppure, in
assenza di questi, mediante le inferenze di connessione. Dopo aver collegato i significati
di una serie di frasi successive, elaborandole con sistematicità, è necessario scegliere
ciò che è importante conservare, liberandolo da ciò che vi ha un ruolo marginale,
secondario, e deve pertanto essere cancellato.
Sono stati numerosi i tentativi di concettualizzare questo passaggio liberandolo dai
rischi di soggettività e impressionismo. Basti ricordare le regole di cancellazione, generalizzazione e costruzione di van Dijk e Kintsch (1983) e le reti causali di Castelfranchi e Parisi (1980) e di Trabasso e van den Broek (1985). Secondo queste
teorie, i significati più importanti di una microstruttura sarebbero quelli che hanno
un elevato numero di nessi causali con altri significati dello stesso segmento di
testo, mentre sarebbero da eliminare quelli che ne hanno un numero basso o un nesso
solo. Sono ipotesi che hanno trovato conferma in ricerche su testi prevalentemente
narrativi.
Ma, a proposito dei processi di costruzione della rappresentazione di microstrutture,
va soprattutto evidenziato il dato di fatto che, data la capacità limitata della memoria
di lavoro, quelle decisioni devono essere prese nel corso della lettura; inoltre quelle decisioni possono essere più
o meno adeguate rispetto all’organizzazione complessiva del testo. Capire il testo
vuol dire anche, e soprattutto, costellare il processo di comprensione di una serie
di decisioni su ciò che è importante conservare e ciò che è meglio buttare, liberando
prima la memoria di lavoro e poi la memoria episodica del testo.
L’importanza decisiva di questo momento del processo di comprensione è opportunamente
argomentata da Gernsbacher (1985, 1988; Gernsbacher, Varner e Faust, 1990) con la
sua teoria della formazione di strutture.
I cattivi lettori si differenzierebbero dai buoni lettori soprattutto per l’incapacità
di trovare elementi di continuità e coerenza nella sequenza di frasi successive; da
qui l’incapacità di sopprimere una sufficiente porzione di significati nel corso della
lettura. Mancherebbe loro quell’importante meccanismo di soppressione che è una condizione fondamentale della selezione, che è a sua volta indispensabile
per una buona comprensione e memoria del testo. La caratteristica distintiva dei cattivi
lettori sarebbe quella di chiudere molto rapidamente le strutture, costretti così
a immagazzinarne troppe per poter fruire di una memorizzazione adeguata del testo
già letto.
All’origine di questa rappresentazione spezzettata del testo nel suo complesso può
esserci la loro incapacità di stabilire o inferire quelle relazioni e connessioni
tra i significati che permette di collegarli e integrarli in un’unica struttura o
microstruttura dotata di coerenza locale, in modo da articolare la rappresentazione del testo in strutture semantiche abbastanza
ampie e quindi poco numerose. La capacità di selezionare le informazioni più importanti
di un segmento di testo dipenderebbe a sua volta dalla capacità di cogliere i nessi tra frasi adiacenti e soprattutto di inferirli, qualora il testo richieda che la coerenza locale sia ripristinata, restaurata, mediante
inferenze bridging o di collegamento. La linea di ricerca che ha prodotto significative prove empiriche del carattere
decisivo di tale capacità di selezione è caratterizzata dall’adozione del cosiddetto
paradigma dell’incongruenza (Osherson e Markman, 1975; Markman, 1979; Baker, 1979, 1985), e cioè di una tecnica
sperimentale che consiste nell’inserire in un testo informazioni che sono incontrovertibilmente
in contrasto con altre presenti nello stesso testo. Queste prove empiriche riguardano
la scarsa influenza del criterio della coerenza interna nell’elaborazione di testi. Le incongruenze inserite nei testi vengono ovviamente
rilevate con una frequenza che cambia con l’età e il livello di abilità di lettura
dei partecipanti. Ma resta il fatto che tali incongruenze spesso rischiano di non
essere notate, pur essendo piuttosto vistose. Questo dato di fatto ha una ricaduta
fondamentale nello studio della comprensione di testi che non hanno subito manipolazioni
artificiali, e quindi ha un forte rilievo applicativo.
Infatti, poiché il lettore, per fare un’inferenza di collegamento corretta (nel senso
di testualmente fondata), deve percepire la lacuna da riempire confrontando ogni nuova
frase con quelle che l’hanno preceduta nel testo, la misura in cui un lettore partecipante
rileva o non rileva le incoerenze artificiali permette di prevedere anche il livello di capacità di cui è dotato per fare le opportune
inferenze di collegamento. Ovviamente tali inferenze sono corrette qualora siano basate
su una corretta percezione della lacuna testuale che esse sono chiamate e colmare. Tale percezione richiede una sistematica e fedele decodifica di tutte le successive frasi del testo, che è quindi condizione necessaria della
percezione dei problemi di coerenza e dell’esecuzione di corrette inferenze di collegamento.
Anche se le teorie attribuiscono un grado diverso di importanza all’elaborazione di
microstrutture, tale livello sembra per ora il più rilevante per ricostruire un quadro
essenziale dei momenti del processo di comprensione del testo. Questo livello appare
differenziarsi rispetto ai livelli di elaborazione sovraordinati in quanto vi è possibile
adottare un criterio fondamentale per le ricadute applicative, il criterio cioè di
adeguatezza rispetto al testo linguisticamente espresso. A proposito di tutti i processi finora considerati è praticabile il riscontro nel
testo stesso per distinguere la comprensione corretta dalla incomprensione. La praticabilità
del criterio dell’adeguatezza dei processi rispetto al testo linguisticamente espresso
non vale per i livelli di elaborazione sovraordinati rispetto a quello delle microstrutture.
All’elaborazione di microstrutture si deve pertanto limitare quel fondamentale vantaggio
metodologico della ripetibilità e intersoggettività che è il tipico beneficio del metodo sperimentale. Vantaggio metodologico che ne compensa i costi, spesso denunciati anche da chi fa ricerca nel campo della comprensione del testo.
In altri termini, solo fino al livello di elaborazione delle microstrutture è possibile
ricostruire un determinato esito del processo di comprensione risalendo al dato linguistico
testuale, frase per frase, e facendone un fondamentale criterio di valutazione della
correttezza o meno di una determinata comprensione.
Ma ovviamente, purché non si tratti di racconti brevissimi, il processo non si ferma
a questo livello. Più i testi sono lunghi, maggiore sarà il numero di microstrutture
rappresentate nella mente del lettore. Tale numero finirà con l’essere troppo elevato
e allora si porrà, a livello di microstruttura, quello stesso problema di sintesi
con selezione e cancellazione di cui si è già discusso a proposito del rapporto tra
le frasi appartenenti a una stessa microstruttura.
4. Dalla microstruttura alla macrostruttura
A livello di macrostruttura, i processi di selezione con cui vengono identificati
i significati più importanti e quelli che viceversa sono da sacrificare si riferiscono
alla rappresentazione semantica di un insieme di microstrutture, e quindi a un rapporto
prevalentemente mediato con le frasi originarie del testo. Questo rapporto non è più
questione di memoria di lavoro, bensì di memoria episodica del testo già letto. Il
livello dell’identificazione di macrostrutture è il livello in cui viene a delinearsi
quello che è il riassunto del testo nel suo complesso, la lista delle sue informazioni principali, il suo succo, il suo nocciolo, la sua morale (van Dijk, 1995). È il livello di elaborazione
in cui, sulla base delle scelte e dei processi precedenti, si arriva alle scelte decisive
per determinare quel che resta nella mente di un testo relativamente lungo. Se questo
rapporto mediato con il testo vale regolarmente per testi molto lunghi, come ad esempio
un racconto o un libro intero, la ricerca ha dimostrato che anche le macrostrutture
possono avere qualche fondamento linguistico testuale. Sono dimostrazioni molto legate
alla brevità dei testi presi in considerazione. Un esempio in questo senso è dato
dal ruolo della marcatura linguistica nella formazione della macrostruttura (Kintsch, 1998, p. 178). Nel caso in cui l’argomento
più importante di ogni singola microstruttura sia marcato, il tempo di riconoscimento
della parola corrispondente è significativamente più rapido rispetto al caso in cui
tale argomento non sia marcato. Un esempio di marcatura linguistica è il seguente:
«Una forma di organizzazione economica è quella dell’impresa individuale. Non vi sono
predisposizioni giuridiche per questa forma di organizzazione». La versione non marcata
è ridotta a una sola frase: «Non ci sono predisposizioni giuridiche per la forma di
organizzazione che consiste nell’impresa individuale».
Si riferisce ancora a un testo relativamente breve la ricerca di Otero e Kintsch (1992)
che intende dimostrare l’importanza dell’articolazione in macrostrutture nel processo
di comprensione. Un testo scientifico descrittivo sulla superconduttività è stato
manipolato mediante l’inserimento di due frasi con significato apertamente contraddittorio
in due punti relativamente distanziati ma interni alla stessa macrostruttura. In una
delle due frasi si afferma che la superconduttività «fino ad ora si è ottenuta soltanto
raffreddando certi materiali fino a farli raggiungere temperature vicine allo zero
assoluto». Seguono altre quattro frasi con significati estranei rispetto al tema e
poi il testo si conclude con la seguente frase: «fino ad ora la superconduttività
è stata ottenuta accrescendo notevolmente la temperatura di certi materiali». Lo sforzo
dei partecipanti di rendere coerente il significato della macrostruttura è rivelato
anzitutto dal fatto che nel 40,3% dei casi le contraddizioni non sono state notate
affatto e che nell’82% di questi casi tale risultato è stato ottenuto cancellando
del tutto il significato di una delle due frasi contradditto
...