Heidegger e Aristotele
Nella lunga crisi della grande filosofia seguita alla fine del sistema hegeliano, Heidegger ci ha restituito il senso di che cosa significhi pensare in grande stile. Questo non solo per la grandezza e lo spessore della sua opera, che sta venendo ora alla luce in tutta la sua imponenza. Non solo per l’acuta sensibilità che – nonostante tutte le apparenze – Heidegger ha mostrato nei confronti dei problemi fondamentali della nostra epoca: il venir meno della coscienza religiosa, la crisi dei valori tradizionali e la sfiducia nei confronti di una ragione meramente strumentale, la fine dell’assoluto sulla terra e il chiudersi dell’orizzonte epocale della tecnica. Ma anche e soprattutto per il fatto che, con una radicalità che nessun altro dopo Hegel aveva osato, Heidegger ha saputo ripensare nel suo insieme l’accadere della filosofia occidentale, riproponendo come problema filosofico la questione dei fondamenti dell’epoca presente e della sua connessione essenziale con il pensiero greco. In quest’orizzonte, la presenza di Aristotele nel pensiero heideggeriano non è circoscrivibile nelle forme di una semplice interpretazione. Essa è piuttosto una presenza generalizzata che pervade tutta l’opera di Heidegger e che si configura nei termini di una assimilazione rapace e di un confronto mirante a una appropriazione radicale dell’ontologia e della filosofia pratica di Aristotele.