Indice Estratto

Edizione: 2011
Pagine: 192
Collana: Libri del Tempo [454]
ISBN carta: 9788842095262
ISBN digitale: 9788858115299
Argomenti: Diritto: teoria e storia

Diritto senza verità

Natalino Irti

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Il declino di tutti i fondamenti, metafisici e terreni, consegna il diritto alla decisione individuale.

La scelta del singolo – che risponde all'interrogativo 'quale è il mio posto nel mondo del diritto?' – costituisce l'unica ed esclusiva verità.

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Edizione: 2011
Pagine: 192
Collana: Libri del Tempo
ISBN: 9788842095262

L'autore

Natalino Irti

Natalino Irti, professore emerito nella Sapienza Università di Roma, è presidente dell’Istituto Italiano di Studi Storici, socio nazionale dell’Accademia dei Lincei e socio corrispondente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Tra le sue pubblicazioni: La cultura del diritto civile (Torino 1990); Testo e contesto (Padova 1996); Studi sul formalismo negoziale (Padova 1997); L’età della decodificazione (Milano 1999⁴). Per i nostri tipi, tra l’altro: Dialogo su diritto e tecnica (con E. Severino, 2001); Nichilismo giuridico (2005³); Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto (n.e., 2006); Il salvagente della forma (2007²); Codice civile e società politica (2008⁹); L’ordine giuridico del mercato (n.e., 2009⁵); Diritto senza verità (2011).

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1 Un dubbio autorevole circa la ‘fiducia nelle forme procedurali’ è nella recensione di V. Ferrari, Le preferenze del nichilismo liberale, in «Il Sole 24 Ore», domenicale del 16 settembre 2007, p. 43.

2 Alla relazione fra diritto e verità è dedicato il pensoso saggio di Enrico Opocher, Il diritto senza verità (in Studi Carnelutti, I, Padova 1950, pp. 179-191). La verità del diritto è la verità stessa dell’azione nel suo farsi, nel concreto dispiegarsi dei suoi valori. Il diritto del nostro tempo – denuncia l’Opocher – è diritto senza verità, dominato dalle ideologie politiche e dal ‘laicismo giuridico’. Cfr., del medesimo autore, Lo Stato ed il problema della verità, in «Riv. fil.», 1948, pp. 11-30.

3 Questo tema è discusso nella cospicua e profonda opera di L. Ferrajoli, Principia juris. Teoria del diritto e della democrazia, I, Roma-Bari 2007, spec. pp. 819 sgg.

4 Assai significativa la posizione di Giovanni Sartori, Democrazia e definizioni, 2ª ed., Bologna 1958, pp. 126 sgg. Osserva preliminarmente l’autore (p. 126) che «Il fondamento di ogni sistema politico è la regola-base alla quale si ricorre per dirimere le divergenze e disciplinare la vita di rapporto». Codesta regola, o ‘criterio ultimo e senza appello’ che risolva i conflitti sociali, viene indicata, per i sistemi democratici, nell’assioma ‘il popolo ha sempre ragione’, e, per gli autocratici, nell’assioma ‘il capo ha sempre ragione’. Le due formule non sono suscettibili di verifica empirica o controllo razionale, perché (p. 130) «i valori si credono ma non si dimostrano, si vogliono ma non si spiegano, si amano ma non si giustificano». Ma – prosegue il Sartori (ibid.) – «la mia tesi è che così come le proposizioni empiriche si verificano e le proposizioni logiche si controllano logicamente, i paradigmi etico-politici si ‘preferiscono’: e non si preferiscono per insondabili mute o assurde ragioni, ma si preferiscono perché si mettono a confronto». In tale linea, il Sartori indica, con vigile attenzione al profilo storico e pragmatico, gli argomenti che, a suo avviso, militano per la soluzione democratica. La motivazione della ‘preferenza’ è così affidata alla semplice tecnica di un confronto discorsivo.

5 Netta critica del nichilismo giuridico è in due pregevoli e appassionati libri, venuti in luce durante la correzione delle bozze: Umberto Vincenti, I fondamenti del diritto occidentale. Un’introduzione storica, Roma-Bari 2010, e Gaetano Azzariti, Diritto e conflitti. Lezioni di diritto costituzionale, Roma-Bari 2010. Nel primo si segnala (pp. 105-106) l’inevitabile esito del solipsismo e si rivendica la continuità fenomenologica di ‘essenze giuridiche’; nel secondo si svolge la tesi (spec. p. 214), che «oltre al nichilismo giuridico c’è la costituzione», e che la tecnica è avversata o raffrenata da altre forme di ‘volontà di potenza’. Mi restringo a osservare, da un lato, che quelle immutabili ‘essenze’ (da chi, e come, intuite?) rinnovano il dualismo tra volontà umana e vincoli meta-storici; e, dall’altro, che le costituzioni, modificabili e revocabili al pari di qualsiasi diversa norma, stanno non fuori né oltre, ma dentro il nichilismo. Le norme, che durino poco o molto nel tempo, che siano da noi condivise o avversate, non si sottraggono al destino della precarietà. E se questo sia ‘romanticismo’, come pare al valoroso Azzariti, non esito a dirmi ‘romantico’. Quanto al rapporto tra diritto e tecnica, come forme, ambedue, di volontà di potenza, rinvio alle mie ragioni di dissenso da Emanuele Severino. Vedo anche ora D. Patterson, Diritto e verità (1996), trad. it., Milano 2010, il quale risolve il diritto in una ‘pratica argomentativa’.

6 A. Dal Lago, Il politeismo moderno, Milano 1985, p. 25.

7 E. Cassirer, Critica della ragion tecnica, a cura di A. D’Atri, Milano 2004, p. 112 (trad. it. di Form und Technik, 1930). Acute notazioni in G. Vattimo, Addio alla verità, Roma 2009, pp. 72 sgg.

8 È questa la posizione che, con singolare garbo e finezza, è avanzata contro Il salvagente della forma dal cardinale Camillo Ruini in Rieducarsi al Cristianesimo. Il tempo che stiamo vivendo, Milano 2009, pp. 52 sgg. Significativa la netta posizione di Erik Wolf (Il carattere problematico e necessario della scienza del diritto [1953], trad. it. in J.H. von Kirchmann, E. Wolf, Il valore scientifico della giurisprudenza, Milano 1964, pp. 37 sgg.), per il quale la scienza del diritto «può essere una dottrina della verità giuridica solo se non dimentica che le sue nozioni hanno bisogno di un fondamento etico» (p. 54); e «vera e più alta fonte del diritto (e con questo anche della conoscenza giuridica) può essere solo la verità del diritto divino, che è sottratta a tutta la relatività non solo dei fatti storici, ma anche dei giudizi razionali» (p. 69).

9 Cfr. N. Irti, Il salvagente della forma, 2ª ed., Roma-Bari 2007, spec. pp. 45-46, dov’è il nostro dialogo con il dotto e acuto S.J. Ottavio De Bertolis.

10 Le tesi di Luigi Mengoni (spec. enunciate in Diritto e tecnica, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 2001, pp. 1 sgg.) ricevono nostra replica in N. Irti, E. Severino, Dialogo su diritto e tecnica, Roma-Bari 2001, pp. 103-108.

11 G. Zagrebelsky, La virtù del dubbio. Intervista su etica e diritto, a cura di G. Preterossi, Roma-Bari 2007, p. 69. È venuta in luce, per le cure di G. Zagrebelsky e la traduzione di F. Fiore, l’edizione italiana di un libro di Peter Häberle sotto il titolo Diritto e verità, Torino 2000. Il saggio dell’autorevole costituzionalista non si raccoglie intorno ad un nucleo filosofico unitario, professa la molteplicità delle teorie della verità (dalla corrispondenza al consenso, dalla coerenza alla convergenza), e abbraccia insieme la ‘verità’ del diritto e la ‘veridicità’ di dichiarazioni conoscitive. Se, da un lato, sembra condividere (p. 108 nota 10) il principio del realismo classico – onde «la realtà esiste indipendentemente dalle sue rappresentazioni da parte degli uomini e un’asserzione è vera se corrisponde ai fatti» –, dall’altro Häberle postula ‘valori’, che non sono ‘fatti’, come diritti umani, giustizia, dignità della persona, tolleranza ecc. Sicché il lettore – pur preso dalla ricchezza e nobiltà di richiami storici e letterari – rimane in attesa che sia in qualche modo spiegata questa ‘postulazione’ o intuizione dei ‘valori’.

12 G. Calogero, La scuola dell’uomo (1939), rist. a cura di P. Bagnoli, Reggio Emilia 2003, p. 59.

13 G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto (1916), 3ª ed., Firenze 1955, pp. 77 e 79.

14 N. Irti, ‘Verità effettuale’ e politeismo giuridico, in «Riv. dir. civ.», 2009, pp. 647 sgg., ora nel capitolo Il mondo e lo sguardo giuridificante, infra, pp. 52 sgg.

15 M. Weber, Tra due leggi (1916), in Scritti politici, trad. it., Roma 1999, p. 42. Bene è segnalata l’importanza di questo saggio in A. Dal Lago, Il politeismo moderno, Milano 1985, pp. 44-45. Si cfr. W. Cesarini Sforza, Verità e diritto, in «Riv. internaz. fil. dir.», 1953, p. 93: «Alle ‘verità’ nel mondo delle conoscenze corrispondono le ‘leggi’ nel mondo delle azioni: le leggi pratiche costituiscono la ‘verità dell’agire’, perché danno a questo una base oggettiva, rappresentano ciò su cui conta e fa affidamento colui il quale inserisce la sua attività nel mondo delle azioni, che mediante le leggi diventa il mondo del diritto».

16 F. Nietzsche, Umano, troppo umano, vol. I, trad. it. di S. Giametta, Milano 2001, p. 259.

17 G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto (1916), 3ª ed., Firenze 1955, p. 115. La ‘critica della coscienza spettatrice’ è acutamente segnalata, tra i motivi dominanti nel pensiero di Gentile, in A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna 1990, p. 24.

18 A. Thon, Norma giuridica e diritto soggettivo (1878), trad. it. A. Levi, 2ª ed., Padova 1951, p. 5.

19 H. Kelsen, Il problema della sovranità (1920), trad. it. A. Carrino, Milano 1989, pp. 144-145, nota 9.

20 Cfr. spec. P. Rossi, Storia e storicismo nella filosofia contemporanea, Milano 1960, p. 163.

21La scienza come professione, in La scienza come professione. La politica come professione (1917-19), Introduzione di M. Cacciari, trad. it. P. Rossi, Milano 2006, p. 36. Vedi spec. A. Dal Lago, Il politeismo moderno, Milano 1985, pp. 23 sgg. Nel libro ora apparso, L’intima mano, Milano 2010, Emanuele Severino – che pur definisce Weber ‘grande cattivo maestro’ (cattivo, perché non avverte il problema della fede nell’esistenza del divenire in quanto tale) – incisivamente nota (p. 55): «È visibile che oggi l’unico assoluto è la negazione di ogni assoluto, ossia che l’unica assolutezza compete non a un dio ma alla scelta di un dio».

22 Sul problema è tutto da meditare il libro di U. Scarpelli, Cos’è il positivismo giuridico, Milano 1965, pp. 53-89.

23 Cfr. M. Heidegger, Nietzsche (1961), trad. it. F. Volpi, 2ª ed., Milano 1995, p. 620: il valore «vale perché è posto come valente. È posto in tal modo da un mirare a qualcosa che soltanto mediante questo mirare riceve il carattere di ciò di cui bisogna tener conto e che pertanto vale».

24 M. Weber, Il significato della ‘avalutatività’ delle scienze sociologiche e economiche (1917), in Il metodo delle scienze storico-sociali, trad. it. P. Rossi, Torino 1966, pp. 332-333. In Nietzsche il problema è già posto con perfetta lucidità: nell’aforisma 143 di La gaia scienza (1882), trad. it. F. Masini, Milano 1965 (ed. Colli-Montinari), pp. 172-173, leggiamo: «Nel politeismo era come preformata la libertà di spirito e la multiforme spiritualità dell’uomo: la forza di crearsi occhi nuovi e personali, sempre più nuovi e personali: cosicché per l’uomo soltanto, in mezzo a tutti gli animali, non esistono orizzonti e prospettive eterne».

25 T. Perassi, Teoria dommatica delle fonti di norme giuridiche in diritto internazionale (1917), in Id., Scritti giuridici, I, Milano 1958, p. 241.

26Ibid.

27 Vedi spec. A. Merkl, Prolegomeni ad una teoria della costruzione a gradi del diritto (1931), trad. it. in Id., Il duplice volto del diritto, Milano 1987, pp. 3 sgg.

28 Ivi, p. 12.

29 T. Perassi, Teoria dommatica, cit., p. 250. Cfr. N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino 1960, pp. 57-58: «L’unica risposta che si può dare a chi voglia sapere quale sia il fondamento del fondamento è che per saperlo bisogna uscire dal sistema. Così, per quel che riguarda il fondamento della norma fondamentale, si può dire che, se esso è un problema, non è più un problema giuridico, cioè è un problema la cui soluzione va cercata al di fuori del sistema giuridico, cioè di quel sistema per fondare il quale viene postulata la norma fondamentale». La diversità delle soluzioni, date da Perassi e da Kelsen al problema della norma ‘presupposta’, è segnalata in R. Ago, Scienza giuridica e diritto internazionale, Milano 1950, spec. pp. 43-44.

30 H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto (1934), trad. it., Torino 1952, p. 98. La teoria della norma fondamentale è sottoposta a severa critica da F. Modugno, Il concetto di costituzione, in Studi Mortati, I, Milano 1977, pp. 208 sgg.; Amedeo G. Conte, voce Norma fondamentale, in Noviss. Dig. it., XI, Torino 1964, p. 328, pur segnalando l’aporia logica con la consueta incisività («La norma fondamentale o non è valida o non è fondamentale: non è valida se è fondamentale, poiché per ipotesi non v’è norma superiore che la convalidi; non è fondamentale se è valida, poiché, per definizione, valida è la norma che sia convalidata da altra ad essa superiore»), coglie la funzione ipotetica della norma fondamentale, la quale nasce, e non può non nascere, fuori e prima del diritto. Ad essa non sono applicabili i criterî di validità proprî di tutte le altre norme: spiega, ma è inspiegabile; convalida, ma è in-convalidabile.

31 H. Kelsen, Lineamenti, cit., pp. 99-100.

32 H. Kelsen, Teoria generale delle norme (1979), trad. it., Milano 1985, p. 438. L’opera postuma è accompagnata da un eccellente saggio di Mario G. Losano.

33 H. Kelsen, Lineamenti, cit., p. 101.

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