Stalin e il comunismo
Solo tre settimane dopo la sua morte gli eredi ordinano la liberazione di oltre un milione di prigionieri, la fine delle torture e il rispetto dei diritti degli arrestati. Solo tre anni dopo, nel 1956, denunciano al mondo che “il Massimo Genio e il Massimo Condottiero di tutti i tempi e di tutti i popoli” è stato un tiranno spietato. Passano due anni dal crollo del muro di Berlino e la sua grandiosa costruzione economica si affloscia, inerte, su stessa. Ma, dal 1917 al 1953, Stalin aveva dispiegato un'attività prodigiosa, dando prova di rara intelligenza, originalità di pensiero e volontà di potenza, unite a una spietatezza che lascia stupefatti. Icona del totalitarismo, egli è un rivoluzionario per cui tutto è possibile, dalla liquidazione di interi gruppi sociali alla deportazione dei popoli, all'uso della fame per imporre quel socialismo cui guarda sempre, sia pure a suo modo, come meta finale. Il suo regime è, fino al 1941-42, un regime imposto con la forza a popolazioni ostili. Lo salva la vittoria contro un nemico feroce, quella guerra che è sua e al tempo stesso dei popoli che aveva oppresso. Ma se la sconfitta di Hitler è parte del suo lascito, a suo debito sono sofferenze e soprusi fino all'annientamento della cultura russa e al distacco della nazione dall'Europa. Il tutto per rincorrere una potenza straordinaria ma illusoria, il cui inesorabile esaurimento suscita interrogativi grandi quanto quelli posti dalla sua nascita e dal suo sviluppo.