Sommario

a Léon Chapoutot, prigioniero in Slesia per quattro anni

a Fernande, che attese il 1943 per sposarlo, e il 2008 per raggiungerlo

ai loro tre figli André, Raymond e Christine

Premessa

miniatura della Fig. 1. La nostra ultima speranza: Hitler

L’assassinio di un operaio comunista avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1932 a Potempa, in Slesia, non fu certo una cosa inconsueta. I quattordici anni della Repubblica di Weimar furono densi di assassinii, mondani, sordidi, immaginati o politici, da quello di Rathenau a M – Il mostro di Düsseldorf: centinaia di morti violente, per le strade, dietro l’angolo, sullo schermo, segnano la sua storia, in particolare i primi anni (1919-1923) e gli ultimi (1930-1932).

È possibile che questo specifico assassinio coincida con quello di una repubblica, la Repubblica di Weimar? Ci verrà legittimamente ribattuto che vi sono molte altre date possibili per identificarne la fine: il 30 gennaio 1933, che vede Hitler assumere la funzione di capo del governo, è quella più comunemente accettata. Gli storici potranno anche proporre il 27 marzo 1930, giorno delle dimissioni dell’ultimo governo parlamentare, quello del cancelliere socialdemocratico Hermann Müller: da lì in poi si governò solo per decreto presidenziale, con il Reichstag ridotto di fatto a un ruolo subalterno. I giuristi potranno validamente sostenere un’altra data, il 23 marzo 1933, quando fu votata la legge che conferiva a Hitler i pieni poteri legislativi per quattro anni. Ci sarebbe ancora spazio per approfondire, sviscerare e avanzare ulteriori proposte.

Tra le quali l’affaire Potempa, agosto 1932. A che titolo, però? Che cosa avrebbe l’omicidio di un modesto operaio comunista avvenuto in un remoto grosso borgo della Slesia per poter competere con l’evento per eccellenza, con i suoi flash, le edizioni straordinarie e le sfilate alla luce delle fiaccole, vale a dire l’ascesa di Adolf Hitler alla cancelleria, il 30 gennaio 1933? L’idea è ancor più paradossale in quanto l’assassinio di Potempa fu solo uno dei molti delitti politici dell’estate del 1932, violenta estate elettorale in cui finirono ammazzate più di un centinaio di persone. Eppure questo assassinio alimentò la cronaca giudiziaria: se ne parlò, molto, e non immotivatamente.

Riapriamo il fascicolo per capire perché questo semplice episodio di violenza sia stato percepito come un evento e come lo storico possa leggervi, sotto la spuma superficiale dell’attualità, le correnti profonde di molte storie: la storia politica e culturale della Repubblica di Weimar e quella di un Partito nazionalsocialista che, primo partito di Germania nell’estate del 1932, viene ciò nonostante tenuto ancora ai margini del potere.

Una sortita omicida

Verso le otto di sera di martedì 9 agosto 1932, nove SA ospitati nella sede delle Sezioni d’assalto del borgo di Broslawitz, nella Slesia tedesca, si presentano da Georg Hoppe, gestore di un bar a Tworog. Oltre a fare il barista, Hoppe è capo del 27° Sturm delle SA della Slesia. Dopo aver contato le armi, ordina a tre SA sprovvisti di pistole di rimanere con lui. Gli altri sei, con un autista, proseguono verso Potempa, dove sono stati chiamati da un altro barista, anche lui membro delle SA, Paul Lachmann. Questi offre ai suoi ospiti birra, acquavite e sigarette. Dà loro anche delle stecche da biliardo e un manganello di gomma, parla di dare addosso ai comunisti, definendoli in questi termini: gente che non è come noi, cattivi tedeschi, polacchi (Polaken). Questi comunisti sono una piaga. Osano presentarsi nel suo bar, alzare la voce, far baccano, magari cercare la rissa. Lachmann vuole regolare i conti con loro: una bella spedizione punitiva per far vedere chi comanda nel borgo. Un pestaggio, un’esecuzione, perché no? L’idea è lanciata, in una compagnia che si scalda, parla di ammazzare, brinda alla morte dei rossi e alla salvezza della Germania.

Dopo qualche ora di fumate e bevute, un amico di Lachmann, il macellaio Golombek, conduce cinque uomini, tutti armati di pistola, verso le case di alcuni comunisti del paese. Sono le due meno un quarto di notte quando si presentano davanti alla casa di Florian Schwinge. Bussano alla porta, poi alla finestra. Si gioca d’astuzia: Golombek, che è del paese, sussurra agli SA di Broslawitz di spacciarsi per amici di Schwinge. La moglie della vittima designata non si fida: chiede di vedere chi è prima di aprire. A quanto pare teme qualcosa; i simpatizzanti comunisti non si sentono del tutto sicuri. Golombek, furioso, chiede che uccidano almeno la donna, cosa che lo SA Kottisch si rifiuta di fare. Malgrado l’alcol, il tabù non cade: pestare un rosso va bene, sparare a una donna no. La pattuglia batte in ritirata e si dirige verso un’altra casa, dove abita l’operaio comunista Konrad Pietzuch con il fratello e la madre. Golombek, frustrato per l’insuccesso di poco prima, borbotta che «stavolta deve andare dritta». Due SA rimangono di guardia sulla strada mentre gli altri penetrano nella casa, con Golombek che rimane prudentemente in disparte per non essere riconosciuto. La madre, Marie Pietzuch, svegliatasi di soprassalto, viene tenuta a bada con una pistola puntata in faccia. I due fratelli, Konrad e Alfons, vengono fatti alzare dal letto. Alfons, colpito alla tempia sinistra con un manganello o una stecca da biliardo, sviene. Il fratello maggiore, Konrad, viene percosso a lungo su ordine di Golombek, che ha gridato di «pestare quello grande». In un interminabile quarto d’ora Konrad Pietzuch viene colpito con pugni, calci, manganellate, bastonate. Soprattutto alla testa e al torace: il corpo mostra ventisette ferite più due alla gamba destra, senza contare una frattura del braccio e una pallottola in un polmone. Nell’autopsia il medico legale afferma che la vittima è stata calpestata e che è morta non per la pallottola, ma per un’emorragia dovuta a schiacciamento: il tacco di uno stivale ha rotto il pomo d’Adamo e reciso la carotide, provocando un’ostruzione dei polmoni e la morte per soffocamento.

Gli SA lasciano la casa, non senza prima aver fatto fuoco sull’uomo a terra. La banda si dirige verso un’altra abitazione, sempre guidata da Golombek, il quale avverte che stavolta il gioco non sarà così semplice perché l’uomo è armato, può difendersi. Certamente la precisazione raffredda gli animi dei partecipanti alla spedizione, spaventati inoltre dal comportamento ostile del cane da guardia. È il cane che li costringe a indietreggiare, ma anche l’abbandono di uno degli SA che, svanito per una ferita alla mano un po’ dell’entusiasmo iniziale, decide di gettare la spugna.

Questa la ricostruzione dei fatti che risulta dalle udienze e dalla sentenza del tribunale competente per il caso¹. Il processo fu rapido: arrestati il giorno successivo, gli assassini furono giudicati il 22 agosto 1932, ovvero dodici giorni dopo il delitto.

¹ Bundesjustizministerium GK Sg. (Sondergericht) 1/32.

Che cosa si può dire di questa sortita notturna? Diversi gli elementi che richiamano l’attenzione. Innanzitutto l’opinabilità del coraggio di questi SA, che uccidono un uomo sorprendendolo nel suo letto, si accaniscono in quattro o cinque contro uno, ma arretrano prudentemente quando avvertono il ringhio poco rassicurante di un cane.

Poi la violenza estrema dell’atto e la sua modalità: gli assassini di Konrad Pietzuch non si accontentano di ucciderlo, ma si accaniscono con lunghe torture sulla vittima, sola, indifesa, sorpresa disarmata e in pieno sonno. Violenza di gruppo, violenza vile e senza ritegno che sa di olio di ricino e che comunemente si definisce “fascista”: viene da pensare ai pestaggi a colpi di manganello compiuti da quegli squadristi italiani imitati dai nazisti, attuati preferibilmente muovendosi in bande e contro vittime piuttosto inferiori di numero.

Violenza di una banda, dicevamo: gli SA mobilitati per questa sortita omicida e notturna vivono in una sede delle SA, un “SA-Heim”, dove trovano vitto, alloggio e cameratismo. Gli SA implicati in questo assassinio sono tutti di umile condizione, come rivelato dagli archivi giudiziari: quattro minatori, che lavorano nell’industria slesiana per eccellenza, ovvero l’estrazione del carbone; due baristi; un ex poliziotto; un elettricista.

Questi rappresentanti del proletariato o del basso ceto medio sono sicuramente toccati in modo diretto o indiretto dalla piaga della disoccupazione totale o parziale che affligge la Germania dal 1929. Quel poco di industria che è presente in questa Slesia rurale e agricola è stato messo alle corde dalla crisi: lo stabilimento di costruzioni ferroviarie Borsig impiantato nel territorio, nei pressi delle miniere, chiude nel 1932, lasciando senza lavoro ben 5000 operai. In questa regione dell’Alta Slesia, come ovunque in Germania, d’altronde, la NSDAP (il Partito nazionalsocialista) conosce un’autentica esplosione elettorale: nella circoscrizione slesiana di Oppeln, che comprende Potempa, ottiene alle elezioni regionali dell’aprile 1932 il 30% dei voti contro l’1% del 1928. Alle elezioni nazionali del 31 luglio 1932 la NSDAP passa nella stessa circoscrizione dai 63.565 voti del 1930 a 201.105, più del triplo.

Le vittime della crisi costituiscono per il Partito nazista, che si rivolge a loro in modo esplicito, delle reclute scelte. La crisi economica, tra le altre cose, ha fatto cadere nelle braccia della NSDAP legioni di persone socialmente declassate che hanno trovato nelle SA un orgoglio, una missione, un capo, dei compagni, nonché un discorso “rosso-bruno” correntemente egualitario, e perfino chiaramente rivoluzionario. Questi uomini decaduti accorrono a ritemprare la loro virilità nelle file delle camicie brune: nell’episodio di Potempa si ritrovano tutti gli elementi di una sociabilità maschile della violenza punitiva, di un cameratismo da birreria, quello che si manifesta nel caffè e nel bar gestito da altri SA e scelto dalla truppa come Stammlokal, “caposaldo”, “quartier generale”.

Questi Stammlokale consentono di unire l’utile al dilettevole: marcano nella topografia del borgo o del quartiere la presenza nazista, affermano un’appropriazione dello spazio, e offrono momenti dedicati a libere e liete bevute. L’adesione alle SA permette dunque di riconquistare, di fronte alla crisi e ai guai del momento, gli elementi di un’identità messa a dura prova dal dramma sociale della disoccupazione: si beve, si fuma, si colpisce.

Inoltre, tutta una generazione che non ha conosciuto la prima guerra mondiale può, grazie alla milizia paramilitare nazista, attribuirsi una dignità di combattente acquistata più a buon mercato che nelle trincee: di certo non si è vissuta la Somme né Langemarck, ma almeno si può fare a pugni e a pistolettate con comunisti, socialdemocratici ed ebrei, che, dopo tutto, sono nemici della Germania allo stesso titolo degli inglesi del 1914 o dei francesi di Verdun e della Ruhr.

Ma c’è un ultimo elemento: se le SA mirano a realizzare socializzazione, politicizzazione e virilizzazione mediante l’etica e la pratica del combattimento, se pretendono di reiterare l’eroismo delle trincee nella lotta politica, è manifesto che gli assassini di Potempa non obbediscono in alcun modo all’etica del soldato cavalleresco. Non contenti di essersi pesantemente ubriacati prima di partire per la loro missione, hanno vigliaccamente aggredito un uomo indifeso, spingendo poi la propria temerarietà fino a indietreggiare di fronte a un semplice rappresentante della razza canina. Difficile, quindi, fare di questi individui degli eroi della causa nazionale tedesca. I responsabili del Partito nazista lo sanno fin troppo bene.

Un’estate brutale

Qual è il contesto politico e culturale in cui una banda di SA decide di andare a pestare e assassinare un comunista, o si sente autorizzata a farlo?

Gli avvenimenti dell’estate 1932 vanno letti in una prospettiva di lungo termine, quella della Grande Guerra e delle sue conseguenze culturali. In un libro ormai celebre George Mosse, storico tedesco rifugiatosi dopo il 1933 negli Stati Uniti, ha proposto un’ipotesi feconda: la Grande Guerra, per il livello di mobilitazione materiale, demografica e culturale che ha raggiunto, ha indotto una «brutalizzazione» delle società europee¹, in precedenza pacificate e incivilite grazie a un plurisecolare «processo di civilizzazione» (Norbert Elias). La Grande Guerra, cancellando a poco a poco la distinzione fra civili e militari e dando armi e mandato di uccidere a più di sessanta milioni di mobilitati, ha riconferito valore a quella violenza che la civilizzazione aveva screditato a favore della discussione, dell’educazione e del ricorso a una parte terza (lo Stato, la giustizia) in caso di conflitto. L’idea di George Mosse è, semplicemente, che sia molto difficile per gli Stati rivendicare di nuovo quello che, secondo Max Weber, fa di essi degli Stati, vale a dire il monopolio della violenza fisica legittima, una volta che il fatto di uccidere sia stato eretto a dovere patriottico dagli Stati stessi per più di quattro anni. Dopo aver incoraggiato la violenza, dato valore alla brutalità e decorato la crudeltà, diventa difficile chiudere il vaso di Pandora e tornare alla civiltà, alla città degli uomini che vivono in pace. Di fatto si osserva un residuare del militare nel civile e del bellicoso nella pace: in Francia, dopo il 1924 e il 1933, le leghe di destra e di estrema destra amano sfoggiare medaglie e decorazioni in sfilate a passo cadenzato. La Francia, però, beneficia di un importante fattore di pacificazione e di smobilitazione culturale: ha sì perduto innumerevoli suoi figli, ma ha vinto la guerra. La vittoria ha una valenza tanto più pacificatrice in quanto, detenendo il secondo impero coloniale al mondo, la Francia non manifesta rivendicazioni, a parte i danni di guerra il cui pagamento esige dai tedeschi. La Germania, invece, non solo ha perduto 1.800.000 uomini, ma esce dalla guerra umiliata dal trattato di Versailles, percepito come ancor più ingiusto visto che il suolo tedesco è rimasto immune da ogni presenza militare nemica prima dell’11 novembre 1918. Lo scrittore e combattente dei Freikorps (“corpi franchi”) Ernst von Salomon ci fornisce in questo breve e impressionante brano un buon esempio di questo rifiuto o negazione della sconfitta:

¹ George L. Mosse, Fallen Soldiers. Reshaping the Memory of the World Wars, Oxford University Press, Oxford-New York 1990 (trad. it., Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Roma-Bari 2014).

I morti della guerra non erano certo caduti invano; sarebbe stato inconcepibile, assurdo. [...] Tornavano i nostri fanti grigi, il nostro scintillante esercito: avevano fatto fino all’estremo il loro dovere, vinto le nostre più splendide vittorie. Adesso la guerra era perduta e quella luce insopportabile. Ma l’esercito non era vinto. Il fronte aveva resistito fino all’ultimo; ora tornava e avrebbe ristabilito i contatti. [...] la città sentiva, felice, il dovere di offrire ai combattenti l’accoglienza festosa che meritavano, di ringraziarli a nome della patria, di aprir loro le braccia con slancio caldo, grato, orgoglioso. Si avvicinavano i nostri eroi: gl’invitti che un destino ostile aveva privato del trionfo finale².

² Ernst von Salomon, I proscritti (1930), Baldini&Castoldi, Milano 2013, pp. 25-26.

Più che a un residuare del militare o del bellicoso, in Germania si assiste al permanere di un elevato livello di mobilitazione culturale. La Repubblica di Weimar, che nasce nel 1919, è disonorata dalla firma del trattato di Versailles. Per troppi degli smobilitati, tornati dal fronte disoccupati a motivo della sconfitta e di un trattato di pace che limita gli effettivi militari a 100.000 uomini, il potere repubblicano è il prodotto di una congiura socialdemocratica e comunista, che ha affrettato la conclusione dell’armistizio per rovesciare il Kaiser. Da allora la funzione di mediazione svolta da quella fondamentale parte terza che è lo Stato risulta fortemente indebolita, poiché esso stesso è screditato: i nazisti accusano il potere berlinese di essere in mano alla sinistra e agli ebrei, mentre i comunisti accusano i socialdemocratici di tradire il popolo impedendo ogni progetto di tipo sovietico. I “socialtraditori” (Sozialverräter) sono i nuovi versagliesi che hanno represso nel sangue la Comune tedesca, la tentata rivoluzione spartachista del gennaio 1919. Nessuna di queste due formazioni (NSDAP e KPD), che diverranno assai potenti grazie alla crisi del 1929, confida nello Stato, visto rispettivamente come strumento degli ebrei o dei borghesi.

La Germania non è soltanto un paese in cui lo Stato è oggetto di contestazione, minato com’è dal peccato originale di Versailles e della repressione della rivolta spartachista, ma anche una nazione in cui le pratiche democratiche non hanno certo una lunga storia alle spalle. I partiti e il Reichstag esistono dal 1871, e sotto il Reich Bismarck aveva persino istituito il suffragio universale maschile: tuttavia l’impero bismarckiano e poi guglielmino rimane un regime autoritario, dove le prerogative del Reichstag sono limitate. È difficile che una democrazia nata dalla sconfitta possa avere un consenso plebiscitario, e le pratiche democratiche di propaganda, di conquista e devoluzione del potere non s’imparano immediatamente, soprattutto quando i quadri del nuovo regime si sono formati sotto il vecchio: magistrati, ufficiali, professori, ma anche maestri di scuola e funzionari incarnano la permanenza di un mondo, quello dell’ordine, del principio d’autorità e della nazione regina, che non scompare anche perché è oggetto della loro acuta nostalgia.

Un francese di oggi, ad esempio, dall’alto della sua lunga storia di acculturazione democratica e di educazione repubblicana, si stupirà di una pratica che pure è corrente nella Repubblica di Weimar: l’esistenza di milizie politiche. Il Partito nazionalsocialista (NSDAP) schiera dal 1921 delle Sezioni d’assalto che nel nome (Sturmabteilungen, SA) si ispirano ai commando di assaltatori della Grande Guerra; dispone anche, dal 1925, delle SS³, guardia pretoriana del Führer, ossia, nel complesso, all’inizio del 1932, di una massa impressionante di 400.000 SA e 52.000 SS. All’estrema sinistra il Partito comunista (KPD) schiera dall’agosto del 1924 i Combattenti del fronte rosso⁴, che nel 1927 contano 130.000 uomini. Cosa ancor più stupefacente dal nostro punto di vista, partiti politici che nulla hanno a che vedere con l’estremismo non hanno alcuna remora a fondere la figura del militante con quella del miliziano. A destra il Partito popolare nazionale tedesco (DNVP) è legato fin dal 1918 allo Stahlhelm (“Elmetto d’acciaio”), “Federazione dei soldati tornati invitti dal fronte”, come recita il nome completo⁵, che vanta un milione di membri. A sinistra il Partito socialdemocratico (SPD) ha fondato nel febbraio 1924, in risposta al Putsch della birreria, le Bandiere del Reich nere-rosse-oro, Federazione repubblicana dei combattenti al fronte⁶, che contano un milione di membri.

³ Schutzstaffeln, “Squadre di protezione”.

⁴ Roter Frontkämpferbund.

⁵ Stahlhelm – Bund der unbesiegt heimgekehrten Frontsoldaten.

⁶ Reichsbanner Schwarz-Rot-Gold – Bund der republikanischen Frontsoldaten. Si tratta inizialmente di una milizia della coalizione di Weimar (SPD, DDP, Zentrum), poi però avvicinatasi sempre più alla SPD.

Che significato ha l’esistenza di queste milizie? Risulta difficile oggi immaginare un grande partito democratico che si doti di simili corpi di combattenti politici: il più delle volte questi partiti hanno fatto ricorso a servizi d’ordine privati. In passato vi sono state in Francia organizzazioni di picchiatori, perfino di assassini, al servizio di certi partiti (il Service d’action civique dei gollisti, ad esempio), ma si trattava di gruppi che rimanevano poco visibili, quasi segreti, come se la loro esistenza fosse ritenuta vergognosa e le loro pratiche condannabili. Nella Repubblica di Weimar i partiti politici non nascondono le proprie milizie: al contrario, le esibiscono. È corrente all’epoca un’ostentazione della forza e una valorizzazione dell’elemento militare: uniformi, sfilate a passo di marcia, bandiere e stendardi, retorica e gestualità militari sono di rigore. Se tutto ciò viene mostrato, vuol dire che nulla ha di vergognoso; al contrario: l’uniforme e la sfilata a passo di marcia esprimono una cultura o una volontà che conoscono una sostanziale valorizzazione. Nel nome di ognuna delle milizie politiche succitate vi è un riferimento al “fronte”: i miliziani sono Frontsoldaten, Frontkämpfer. Più in specifico, i partiti politici adottano questo vocabolo fiero e marziale quando vogliono denominare le proprie alleanze: i partiti di destra fondano con la NSDAP nell’ottobre 1931 un effimero Fronte di Harzburg (Harzburger Front), una coalizione contro il piano Young e la politica del cancelliere Brüning. I partiti di sinistra rispondono in dicembre con un Fronte di ferro (Eiserne Front) il cui simbolo (tre frecce dirette verso il basso e intese a sbarrare il passo a una croce uncinata) si è diffuso in tutte le organizzazioni antifasciste d’Europa nel corso degli anni Trenta.

La parola “fronte” non compare nel nome del partito o delle milizie dei nazisti, ma ciò non ha importanza, dato che il partito si autodefinisce, e lo fa in maniera ossessiva, proprio una coalizione di ex combattenti e un’organizzazione di “soldati politici” in lotta per l’integrità interna ed esterna della Germania.

Sappiamo che la distinzione tra sfera militare e sfera civile è una delle opposizioni fondative di ciò che si chiama la “città”: alle antitesi fra cultura e natura, fra umanità e animalità, si aggiungono quelle che contrappongono il diritto alla forza e il militare al civile. A Roma gli uomini in armi non potevano varcare il limite sacro del pomoerium senza commettere sacrilegio. Questo tabù fondativo dell’ordine civile o politico esige che entro la cinta della città «le armi», come disse Cicerone, «cedano alla toga»: il conflitto si riassorbe in discussione, lo scontro è superato mediante istanze che decidono e giudicano. La violazione di questo tabù ha un nome: guerra civile, sotto forma di traumi violenti e di breve durata, come un colpo di Stato, oppure di scontri lunghi e duraturi, come le guerre francesi dette “di religione” del periodo 1562-1598. Ebbene, dobbiamo constatare che in Germania, a partire dal 1918, la violenza si è letteralmente arrogata il diritto di cittadinanza, sotto forma di assassinii politici, tentativi di Putsch, bastonature e scontri di strada. Gli atti di violenza sono numerosi negli anni della fondazione della Repubblica, tra il 1919 e il 1923: quasi 400 casi di assassinio politico, in massima parte imputabili alla destra e all’estrema destra, fanno tremare lo Stato e il diritto. Il più emblematico è quello del ministro degli Affari esteri, Walther Rathenau, il quale incarna tutto ciò che gli estremisti di destra e i veterani dei corpi franchi esecrano: ebreo, letterato, mondano, questo intellettuale smarrito nel mondo dell’industria è stato uno dei firmatari del trattato di Versailles. Il mitragliamento della sua automobile da parte di ex membri dei corpi franchi nel giugno del 1922 indigna la classe politica e desta turbamento all’estero. La quantità di violenze politiche cala nel corso di quello che gli storici chiamano il “quinquennio aureo”, il periodo di stabilità politica e prosperità economica che va dal 1924 al 1929, per crescere poi di nuovo, e in modo spettacolare, tra il 1929 e il 1933.

Nel corso di quest’ultimo periodo coesistono diversi fatti sociali e politici: la depressione economica e le sue conseguenze sociali, l’impotenza dello Stato a invertire il ciclo e a sostenere le categorie sociali rese fragili dalla crisi. Si aggiungano, al livello dell’esercizio del potere politico, la riduzione al silenzio del Reichstag ad opera di una pratica presidenziale delle istituzioni e, correlato o conseguenza di tutto ciò, il sensibile aggravamento del livello di violenza politica. Poiché il Reichstag viene scavalcato da un governo che procede a colpi di ordinanze presidenziali, lo scontro politico pare non potersi svolgere nella sua tradizionale arena parlamentare, e s’indirizza in modo tanto più naturale nelle strade in quanto le organizzazioni politiche più radicali sono dotate di milizie e non condannano la violenza. “Quella delle trincee era riprovevole?”, dicono i nazisti. “Non è forse in corso una guerra contro il proletariato?”, dicono i comunisti tedeschi, per i quali l’espressione “lotta di classe” è, almeno a partire dal 1919, tutto tranne che una metafora.

Questo per quanto riguarda la prospettiva di medio termine. Nel breve termine, il 1932 vede un’accelerazione del ritmo politico tedesco: si succedono le tornate elettorali, perché alle presidenziali di primavera seguono le legislative, anticipate in luglio in seguito allo scioglimento del Reichstag da parte del rieletto presidente Hindenburg.

Dal punto di vista dei nazisti questo 1932 pieno di eventi è l’anno delle speranze deluse. Possono sperare di prendere il potere in modo rapido per vie legali: le elezioni li vedono in una crescita spettacolare. I risultati del partito nelle tornate del 1924 e del 1928 sono insignificanti: il 3% dei voti, poi il 2,8%, in un periodo di stabilizzazione politica e di prosperità economica tali da rendere meno seducenti i discorsi improntati al risentimento. Gli effetti sociali della crisi economica, particolarmente violenti in un paese in cui gli investimenti anglosassoni, fortemente presenti dal 1919 in poi, si ritirano bruscamente, creano le condizioni per un ritorno elettorale nazista.

La NSDAP ha già rappresentato una sorpresa politica notevole ottenendo 107 seggi alle elezioni legislative federali anticipate del settembre 1930: Brüning aveva chiesto al presidente Hindenburg di sciogliere il Reichstag e di indire delle elezioni che potessero assicurargli una maggioranza, ma mal gliene è incolto. Prima lui, poi Papen per due volte, nel 1932, tenteranno la strada dello scioglimento per correre dietro a una maggioranza introvabile: ogni nuova consultazione segna un aumento dei comunisti e dei nazisti, nonché una drammatica atrofizzazione della base maggioritaria utilizzabile per formare un governo di destra classico.

Nell’aprile del 1932, alla conclusione del settennato di Hindenburg, si tengono le elezioni presidenziali: Hitler arriva al ballottaggio contro il presidente uscente. Nonostante l’appello di tutti i partiti a votare contro di lui, il capo del Partito nazista raccoglie sul suo nome tredici milioni di voti. Nel contempo le elezioni legislative che si tengono nei Länder vedono la NSDAP in testa ovunque tranne in Baviera. Per far fronte alla situazione, Brüning viene congedato e nel giugno 1932 Hindenburg nomina un nuovo cancelliere, Franz von Papen. Come il suo predecessore nel settembre 1930, anche Papen decide di ricorrere allo scioglimento: il 31 lugl

L'affaire Potempa

L'autore

Johann Chapoutot

Un monito scelto dalla famiglia Laterza come esortazione alla tenacia e ad una costante crescita.

Catalogo

Scuola

Rete commerciale

Info

L'affaire Potempa

L'autore

Johann Chapoutot

Altre opere

Hitler

La rivoluzione culturale nazista

La Newsletter di Laterza

Un monito scelto dalla famiglia Laterza come esortazione alla tenacia e ad una costante crescita.