Tutti i nemici del Procuratore
26 giugno 1983. Alcuni sicari uccidono a colpi di pistola il Procuratore capo di Torino.
Il delitto viene archiviato come omicidio di ’ndrangheta, ma le indagini portano alla luce una fitta trama di relazioni pericolose tra esponenti della criminalità organizzata, indagati eccellenti delle inchieste ‘scandalo’ coordinate da Bruno Caccia e – ciò che è più grave – pezzi della magistratura.
Un capitolo sconcertante della recente storia giudiziaria italiana, su cui pesano i silenzi del CSM.
Bruno Caccia fu ucciso dalla ’ndrangheta, senza alcun dubbio. Ma nell’anomala vicenda dell’unico omicidio di un magistrato commesso da un’associazione mafiosa nel Nord Italia rimangono molte ombre. Come sancì la seconda sentenza di appello per il delitto, infatti, e come confermò la Cassazione, il Procuratore fu ucciso in quanto «ostacolava la disponibilità altrui», cioè la disponibilità di altri magistrati verso i malavitosi. Esistono dunque, al di là degli esiti processuali, ben più ampie responsabilità che spiegano anche l’oblio a cui la vicenda è stata destinata.
Il libro passa in rassegna le inchieste aperte da Caccia e prende in esame documenti inediti e nuove testimonianze. Quello che emerge è una fitta trama di relazioni pericolose tra alcuni magistrati, alcuni esponenti della criminalità organizzata e gli indagati nelle inchieste ‘scandalo’, che in quel terribile 1983 coinvolgevano esponenti delle istituzioni, Guardia di Finanza, massoni.
La magistratura nel suo insieme ha avuto in questa vicenda – secondo l'autrice – responsabilità gravissime. È arrivato il momento di riconoscerle.