Indice Estratto

Edizione: 2021
Pagine: 480
Collana: Biblioteca Storica Laterza
ISBN carta: 9788858144039
ISBN digitale: 9788858144947
Argomenti: Sociologia politica, Storia contemporanea

L'ordine del terrore

Il campo di concentramento

Wolfgang Sofsky

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Wolfgang Sofsky riesce nell’impossibile: dare una spiegazione razionale dei campi di concentramento senza perdere di vista la sofferenza umana che l’uso del terrore implica.

La sua analisi sociologica della brutalità organizzata aggiunge un elemento importante alla nostra comprensione del potere totalitario. Sofsky espone il potenziale di immortalità che la modernità porta con sé, e che può portare l’ʽordine’ a trasformarsi in terrore.
Ralf Dahrendorf

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Edizione: 2021
Pagine: 480
Collana: Biblioteca Storica Laterza
ISBN: 9788858144039

L'autore

Wolfgang Sofsky

Wolfgang Sofsky, sociologo tedesco, ha insegnato Sociologia all’Università di Göttingen ed è stato visiting professor all’Università di Erfurt.In Italia ha pubblicato, presso Einaudi, Saggio sulla violenza (1998), Il paradiso della crudeltà (2001), Rischio e sicurezza (2005) e In difesa del privato (2010).

Scopri l'autore

¹ Sui primi giorni di Dachau cfr. Richardi, 1983, pp. 36 sgg.; Kimmel, 1979, pp. 353 sgg.; Bastian, 1965.

² Grünwiedl, 1934, p. 3.

³ Cit. da Weiß, 1985, pp. 26 sg.; cfr. anche Distel, 1985.

⁴ Cfr. Bettelheim 1982, pp. 104 sgg.

⁵ Sui limiti dell’adesione emotiva nei confronti del genocidio cfr. Claussen, 1987, pp. 11, 152, 166.

⁶ Qui non si parla di coloro che concepirono la strage a tavolino, ma di tutti quegli individui comuni che ebbero nelle proprie mani il funzionamento quotidiano dei lager e che, dopo aver assolto il loro compito crudele, si ritiravano nelle proprie camere a pregare o trascorrevano le serate in qualche locale notturno della città più vicina. Cfr. anche Arendt, 1989, pp. 133 sg.

⁷ Cfr. Jäger, 1982, p. 382.

⁸ Cit. da Bettelheim, 1982, pp. 108 sg.

⁹ Sul cosiddetto «Historikerstreit» cfr., tra gli altri, la documentazione riportata in Historikerstreit, 1987; Meier, 1987; Wehler, 1988, Jäger, 1989, pp. 40-60; si vedano inoltre i contributi di Friedländer, Diner e Mommsen, in Diner, 1987. Il carattere deformante di questo dibattito deriva da un errore categoriale di fondo, cioè dalla confusione fra il problema dell’individuazione dei fattori causali e la questione, affatto distinta, della ricerca delle responsabilità pratiche.

¹⁰ Cfr. Grosser, 1990, pp. 45 sg.

¹¹ Contro questo paragone Wehler (1988, pp. 130 sgg., 167 sgg.) ha obiettato che esso non tiene conto dei diversi livelli di sviluppo e di civiltà raggiunti dalle società cui si fa riferimento. Tuttavia è lecito chiedersi in che cosa consiste questo progresso civile e se mai si è realizzato storicamente. In base a quali motivi possiamo affermare, per esempio, che i sovietici partivano da presupposti culturali più arretrati rispetto a quelli dei tedeschi, come se Tolstoj e Musorgskij non avessero significato per la Russia ciò che Bach e Goethe rappresentarono per la Germania? Inoltre l’obiezione di Wehler non considera il fatto che il paragone non deve necessariamente svolgersi su un piano macrosociologico e che fare confronti fra le diverse forme e modalità organizzative dello sterminio di massa è altrettanto legittimo ed euristicamente proficuo. Per uno studio comparativo dei campi di concentramento cfr. Kaminski, 1982, mentre per una casistica comparativa del genocidio si veda Chalk, Jonassohn, 1990; Fein, 1990; Harff, Gurr, 1988; Jahn, 1990.

¹² Cfr. Jäger, 1989, p. 43.

¹³ Per quanto riguarda la struttura dell’organizzazione, il comportamento del personale di guardia e lo sterminio mirato per mezzo del lavoro, il parallelo fra i campi di concentramento tedeschi e sovietici appare con ogni evidenza. Per durata nel tempo e numero delle vittime i campi di Workuta e Kolyma superano di gran lunga i complessi concentrazionari di Buchenwald, Mauthausen e Dora-Mittelbau. Per giudicare i crimini sovietici bisogna sottrarsi alle suggestioni propagandistiche del regime e smascherare il vero significato di espressioni come «espulsione dei kulaki», «lotta di classe» o «collettivizzazione forzata». Contrariamente a quanto afferma un’opinione largamente diffusa, il terrore sovietico si ispirò anche a criteri razziali e «sociobiologici», assumendo i caratteri propri del genocidio: così, fra il 1930 e il 1933, 7 milioni di ucraini, fra cui 3 milioni di bambini, furono sterminati per mezzo di una carestia provocata ad arte. Cfr. in proposito Conquest, 1978, 1988; Grosser, 1990, pp. 88 sgg.; Solzenicyn, 1978; Rummel, 1990.

¹⁴ Schwarz (1990, pp. 221 sg.) calcola le seguenti cifre: 399 ghetti forzosi in Polonia, 16 in Lituania, 3 in Lettonia e 60 nei territori ucraini al di là del Dnestr; 941 campi di lavoro coatto per ebrei, 230 campi speciali per ebrei ungheresi nelle regioni di confine austriache con Ungheria e Cecoslovacchia, 78 campi di detenzione preventiva di polizia, 106 campi di educazione al lavoro, 46 campi di reclusione nell’Emsland, e nella sola Assia 532 campi per lavoratori coatti di nazionalità non tedesca. Il numero complessivo dei lager per detenuti e lavoratori stranieri deportati è sconosciuto, al pari di quello dei campi dove venivano «raccolti» e uccisi i figli più piccoli delle lavoratrici straniere. Includendo i campi di concentramento veri e propri e quelli di sterminio, Schwarz ipotizza che i lager nazisti furono in tutto 10.006. Sui diversi tipi di lager si veda anche quanto riporta Weinmann (1990, pp. 140 sgg.), sulla base delle notizie fornite dalla Croce Rossa.

¹⁵ In futuro qualsiasi analisi sociologica della società nazista, se vorrà essere credibile, non potrà non tener conto di questo imponente sistema di reclusione edificato per la classe dei «superflui», degli «asociali» e dei lavoratori coatti.

¹⁶ Uno studio sociologico delle forme sociali e di potere del campo di concentramento può prendere in considerazione il tema del genocidio soltanto nei casi in cui questi due crimini si trovavano connessi in una stessa istituzione. Per tale motivo nel prosieguo di questo lavoro non si parlerà né della persecuzione e della deportazione degli ebrei, né dei ghetti forzosi e degli assassinii di massa perpetrati dalle «Unità di pronto impiego» delle SS. In margine al nostro discorso resteranno anche i campi di sterminio in senso stretto, che verranno analizzati più da vicino, con le loro pratiche di selezione ed eliminazione delle vittime, soltanto nella parte finale del presente volume (parte V, capp. 21 e 22).

¹⁷ In Germania la sociologia accademica si è occupata poco di questo tema, delegando la sua analisi alla storia contemporanea, alla psichiatria, al diritto o alla memorialistica, ed è difficile dire se questa omissione è dovuta a una sorta di censura autoimposta oppure a mera distrazione e rimozione. Del resto, anche l’interpretazione «economicistica» del fascismo divenuta di moda dopo il 1968 ha trascurato di studiare più approfonditamente la realtà dei campi di concentramento. Fra i pochi lavori utili ai fini di uno studio sociologico del campo di concentramento sono da citare Adler, 1960, 1964; Kogon, 1974; Bettelheim, 1980; Goffmann, 1973; Goldstein et al., 1991; Pingel, 1978; Kaminski, 1982; Wormser-Migot, 1968. I primi tentativi di studiare la realtà interna dei lager con l’ausilio di una teoria sociologica normativa sono stati intrapresi di recente da Pohlmann (1992, pp. 370-403) e da Kirstein (1992), con un lavoro mirato su Natzweiler.

¹⁸ Sul concetto di organizzazione sociale cfr. Sofsky, Paris, 1991. Sulla sua scorta è possibile sviluppare un’obiezione decisiva contro la teoria tradizionale delle istituzioni totali, secondo cui, come sintetizza Friedländer (1987, p. 26), «il sistema totalitario di dominio è un mezzo dello sterminio, e non la sua causa». Friedländer concepisce l’organizzazione soltanto come strumento del terrore e non come terreno di potere dotato di una dinamica autonoma. Inoltre una strategia intepretativa che mira primariamente all’individuazione delle intenzioni, dei piani e delle decisioni di singoli personaggi o istanze, si attesta necessariamente su un livello pre-sociologico, perché trascura l’intreccio figurato di rapporti entro cui vengono a maturazione quelle idee e quelle decisioni. Soprattutto, però, l’approccio istituzionalistico non riesce a cogliere la dinamica autonoma dei processi, cioè la loro capacità di generare da sé le spinte che poi li sostengono.

¹⁹ Cfr. Geertz, 1987, pp. 10 sgg.

²⁰ Cfr. Pingel, 1978, pp. 17 sgg.; Langbein, 1980, pp. 62 sgg. Sul valore autobiografico dei diversi tipi di testo consegnatici dai testimoni oculari cfr. anche Pollak, 1988.

²¹ Levi, 1991, p. 8.

¹ Per una prima versione delle riflessioni che seguono cfr. Sofsky, 1990.

² Cfr. Weber, 1972, pp. 544 sg.

³ Cfr. Sofsky, Paris, 1991.

⁴ Cfr. Foucault, 1977.

⁵ Il concetto di potere assoluto qui proposto prende le mosse da un’intuizione simile a quella che sta alla base della teoria del totalitarismo elaborata dalla Arendt (1975). Tuttavia quest’ultima non fa riferimento tanto al campo di concentramento, quanto piuttosto allo «Stato» totalitario nel suo complesso. Per approdare a una più minuziosa analisi della realtà dei lager, la Arendt avrebbe dovuto disporre non solo delle categorie proprie dell’analisi sociologica formale, ma anche di dati empirici a quel tempo ancora sconosciuti. Così, parlando dei campi di concentramento, essa sottovaluta il significato del lavoro e sopravvaluta invece il ruolo delle sovradeterminazioni ideologiche. Giustamente però la stessa autrice, in un precedente saggio del 1950 (Arendt, 1989, pp. 7-30), aveva affermato con nettezza che il «terrore totalitario» non poteva essere spiegato sulla base dei concetti della tradizionale teoria politica del potere.

⁶ Il riferimento all’ideologia nazionalsocialista non diventa plausibile neanche se si fa passare il corpo delle SS come espressione oggettivata di un’ideologia: «Le finzioni ideologiche plasmarono l’organizzazione nel suo complesso, facendo sì che uomini non qualificabili individualmente come ‘credenti’ agissero in quanto membri di un’organizzazione ispirati dal più folle fanatismo ideologico: l’organizzazione era la fonte dell’ideologia e non solo la sua parte prosaica» (Pohlmann, 1992, p. 345). Questo argomento non convince né sul piano teorico né su quello empirico. Non è chiaro, infatti, in che modo una formazione sociale possa agire come l’incarnazione oggettiva di un’ideologia se la maggioranza degli attori non concepisce quella stessa ideologia come motivo ispiratore del loro comportamento. Da tutto ciò che si sa sulla mentalità dei corpi delle SS, e in particolare dei reparti Totenkopf, si può concludere che le motivazioni del loro agire erano molto più banali, sicché la realtà dell’organizzazione venne determinata non tanto dai proclamati ideali della purezza «ariana», ma piuttosto da rapporti di protezione e rivalità personale, dal conformismo di gruppo, dal cameratismo e dalla routine del servizio – in altre parole da strutture sociali. Insistendo troppo sulle direttive provenienti dai vertici dell’organizzazione, si finisce facilmente per scambiare la propaganda ideologica con gli atteggiamenti reali della base. Sull’argomento cfr. infra, parte III, cap. 9.

⁷ Sull’antinomia del potere totale cfr. Popitz, 1986, pp. 83 sgg.

⁸ Il caso di attentato meglio conosciuto si verificò a Birkenau il 23 ottobre 1943, quando un’ebrea polacca, nota come ballerina, in uno spogliatoio riuscì a impossessarsi della pistola del capo rapporto delle SS Schillinger e a ucciderlo. L’episodio diede luogo a tutta una serie di leggende nel lager. Rivolte collettive furono intraprese da prigionieri di guerra sovietici a Mauthausen e da ebrei membri delle squadre speciali a Treblinka, Sobibór e Birkenau. In questi casi, però, non si trattò di attentati, ma di disperati tentativi di fuga intrapresi da uomini ridotti allo stremo. Cfr. in proposito infra, parte V, cap. 22. Su Schillinger si veda anche Borowski, 1982, pp. 211 sgg., nonché Kielar, 1982, pp. 249 sgg.

⁹ Cfr. Améry, 1977, p. 67.

¹⁰ Cfr. Popitz, 1986, pp. 71 sg.

¹¹ Cfr. Goffman, 1973, pp. 185 sgg.

¹² Questo punto viene chiarito da Bettelheim (1982, p. 302) in maniera inequivocabile: «È pericolosamente fuorviante porsi il problema della sopravvivenza ostinandosi a chiedersi cosa può fare il prigioniero in una situazione simile. Questa domanda è priva di significato a confronto dell’imperativo principale, che è quello di sconfiggere politicamente e militarmente i detentori di potere che governano i lager. Ma ciò i prigionieri non possono farlo, perché sono impotenti. Questa scomoda verità [...] viene [...] sostituita dalla comoda illusione che i prigionieri potevano sopravvivere grazie alle loro capacità e possibilità personali».

¹³ Cfr. Adorno, 1955, p. 326.

¹⁴ Cfr. Canetti, 1984, pp. 277 sg.

¹⁵ Su ciò aveva richiamato l’attenzione Löwenthal già nella primavera del 1945 (1988, pp. 19 sg.). Cfr. anche Bettelheim, 1980, pp. 263 sgg.

¹ Cfr. Broszat, 1967, pp. 13-37; Pingel, 1978, pp. 23-35; Wormser-Migot, 1968, pp. 68-138; Tuchel, 1991, pp. 35-158.

² Ancora prima di Dachau era stato istituito dalle autorità statali il lager di Heuberg, che doveva servire come campo di concentramento principale per il Württemberg (cfr. Schätzle, 1974, pp. 15 sgg.; Lechner, 1988, pp. 61 sg.). In Sassonia vennero creati dei reparti speciali nei penitenziari di Dresda e Zwickau, e inoltre la casa di lavoro di Coldlitz e i lager di Stato di Hohenstein e Sachsenburg. Sugli istituti di detenzione di Fuhlsbüttel e Wittmoor, presso Amburgo, cfr. Timpke, 1970; Klawe, 1987. Sui primi campi di concentramento cfr. Stokes, 1979; Wollenberg, 1982; Finckh, 1983; Lechner, 1988; Haardt, 1983; Vogt, 1983. Secondo Schwarz (1990, pp. 139 sgg.) nei primi mesi del governo nazista vennero creati 59 campi di concentramento.

³ Sulla storia iniziale dei lager dell’Emsland cfr. Kosthorst, Walter, 1985, pp. 29 sgg.; Suhr, 1985, pp. 27 sgg.

⁴ Su quanto segue cfr. più in dettaglio Tuchel, 1991, pp. 205-96.

⁵ Cfr. Broszat, 1967, pp. 64 sg.; Aronson, 1971, pp. 111 sg.; Höhne, 1984, pp. 188 sgg. Sulla base della documentazione disponibile, Tuchel (1991, pp. 212 sgg.) ha sollevato di recente obiezioni fondate contro la tesi ampiamente diffusa nella letteratura scientifica che prospetta una rivalità insanabile fra la Gestapo e l’ispettorato generale dei campi di concentramento. Tuttavia la cooperazione ostentata da queste due istanze nei confronti dell’esterno non può essere ritenuta automaticamente significativa anche dei rapporti che vigevano all’interno del sistema: come è buona norma di qualsiasi organizzazione, infatti, le lotte di potere non lasciavano tracce negli atti ufficiali. Inoltre Tuchel non tiene in sufficiente considerazione né le tensioni presenti all’interno dell’amministrazione dei singoli campi, né il conflitto sorto successivamente fra l’Rsha e l’ispettorato generale entrato a far parte del Wvha (1942).

⁶ Per un’analisi più approfondita di questo argomento cfr. infra, parte III, cap. 9.

⁷ Cfr. Broszat, 1967, pp. 46-55; Pingel, 1978, pp. 35-42; Richardi, 1983, pp. 119-54.

⁸ Su quanto segue cfr. Broszat, 1967, pp. 66 sgg., 76 sgg.; Pingel, 1978, pp. 70 sgg.; Schwarz, 1990, pp. 26 sgg.; Tuchel, 1991, pp. 312 sgg.

⁹ Tuttavia i primi prigionieri ebrei non furono questi: già nel 1933, infatti, le SS di Dachau avevano riunito tutti gli ebrei, che costituivano circa il 10% della popolazione carceraria del lager, in una compagnia di punizione separata dagli altri detenuti. Benché in un primo momento gli ebrei venissero arrestati non in quanto tali, ma come membri di organizzazioni politiche di sinistra, sin dall’inizio furono scelti dagli aguzzini come oggetto privilegiato di sevizie e maltrattamenti. Solo dopo la «notte dei cristalli» gli ebrei vennero deportati anche negli altri lager, dove furono considerati sin dall’arrivo prigionieri di infimo rango.

¹⁰ Cfr. Wormser-Migot, 1968, pp. 203 sgg.

¹¹ Cfr. Billig, 1973, p. 72; lettera di Pohl a Himmler del 30/9/1943, in Atti del processo di Norimberga, PS-1469.

¹² Cfr. Kogon, 1974, p. 173; Carlebach et al., 1984, pp. 172 sgg.; Sachsenhausen, 1982, pp. 143 sgg.; Hrdlicka, 1991, p. 46; Pingel, 1978, p. 81, 181 sgg., 259, 301; Marsalek, 1980, pp. 119 sgg., 131 sgg., 155 sgg.; Kimmel, 1979, p. 385; Konzentrationslager Dachau, 1978, p. 204; Billig, 1973, p. 75. Queste cifre si riferiscono di solito ai casi di morte ufficialmente registrati nel singolo lager, e perciò non tengono conto né dei prigionieri di guerra sovietici sterminati sommariamente, né di quanti morirono sui convogli di deportazione o durante le marce di trasferimento nei mesi finali della seconda guerra mondiale. Sul numero totale dei morti cfr. infra, nota 37.

¹³ Cfr. Stuldreher, 1989, pp. 152 sgg.

¹⁴ Cfr. Pingel, 1978, pp. 125 sg.

¹⁵ Cfr. in proposito ivi, pp. 119 sgg.; Streit, 1978, pp. 44 sgg., 83 sgg.

¹⁶ Lettera di Pohl a Himmler del 30/4/1942, in Atti cit., R-129.

¹⁷ Statistica della popolazione presente inviata da Burger (caposezione D-IV) a Loerner (capo dell’ufficio B) in data 15/8/1944, in Atti cit., NO-1990.

¹⁸ Statistica sulla consistenza numerica del personale di guardia e della popolazione carceraria nei campi di concentramento, gennaio 1945, in Archivio federale di Coblenza (d’ora in avanti Afc), NS 3/439.

¹⁹ Appunti presi da Thierack durante un colloquio con Himmler del 18/9/1942, in Atti cit., PS-654.

²⁰ Cfr. Broszat, 1967, p. 126; Marsalek, 1980, p. 124.

²¹ Cfr. Pingel, 1978, p. 129; Herbert, 1987, pp. 226 sgg.; Kaienburg, 1991, pp. 302 sgg.

²² Cfr. Hilberg, 1982, p. 631.

²³ Cfr. Herbert, 1987, pp. 231 sg.

²⁴ Cfr. Schwarz, 1990, pp. 103 sgg.; Hilberg, 1982, pp. 156 sgg.

²⁵ Cfr. Streim, 1989; Schwarz, 1990, pp. 169 sg., 186 sgg., 196 sgg.; sui ghetti forzosi in Unione Sovietica cfr. anche Hilberg, 1982, pp. 243 sgg.

²⁶ Cfr. Georg, 1963, pp. 25 sgg., 38 sgg.

²⁷ Per un’analisi più approfondita di questo argomento cfr. infra, parte III, cap. 9.

²⁸ Cfr. Höß, 1983, p. 136.

²⁹ Cfr. in proposito infra, parte IV, cap. 15.

³⁰ Queste cifre risultano da calcoli effettuati sulla base del più completo elenco dei lager esistente fino a oggi (Schwarz, 1990).

³¹ Cfr. più in dettaglio infra, parte IV, capp. 14 e 16.

³² Cfr. Marsalek, 1982, pp. 243 sg.

³³ Cfr. Gilbert, 1982, pp. 214 sgg.

³⁴ Cfr. Marsalek, 1980, pp. 329 sgg.

³⁵ Il calcolo del numero effettivo dei deportati è reso problematico dal fatto che in alcuni lager le cifre sui morti e sui rilasciati o trasferiti venivano trasmesse ex novo, cioè senza un criterio di numerazione progressiva. Cfr. in proposito Billig, 1973, p. 81; Marsalek, 1980, p. 140.

³⁶ Sulle manipolazioni effettuate dalle autorità delle SS sulle statistiche dei decessi cfr. Kárny´, 1987, pp. 140 sgg. Sui problemi metodologici relativi al calcolo statistico dei decessi cfr. anche Pingel, 1978, p. 16; Billig, 1973, pp. 68 sgg.; Kogon, 1974, pp. 175 sgg.

³⁷ Su Dachau cfr. Konzentrationslager Dachau, 1978, pp. 204 sg., dove vengono riportate le cifre ufficiali sui deportati e sui morti fornite dalla Croce Rossa. Questi dati non comprendono le persone mandate all’esecuzione durante la guerra, gli 800 prigionieri di guerra sovietici fucilati a Dachau in forza dell’«ordine sui commissari dell’Armata Rossa» emanato da Hitler dopo l’invasione dell’Urss (Kimmel, 1979, p. 405), nonché i caduti durante le marce di trasferimento nella primavera del 1945. Billig (1973, pp. 82, 98 sg.) calcola una cifra quasi doppia di 78.000, che però ritengo eccessiva, anche includendo nel computo gli alti tassi di mortalità rilevati nel complesso di Kaufering. Per Buchenwald cfr. Internationales Buchenwald, 1961, pp. 83 sg. La cifra qui presentata comprende anche gli 8.500 prigionieri di guerra sovietici passati per le armi. Basandosi sui registri dell’infermeria, Kogon (1974, p. 173) calcola un numero di morti pari a 33.462, cifra che però non comprende i deceduti durante le deportazioni e le marce di trasferimento. Considerando anche questi ultimi, Kogon ipotizza un numero totale di 55.000. Su Mauthausen cfr. Marsalek, 1980, pp. 141, 155-58, su Neuengamme cfr. Bauche et al., 1986, p. 162. Per Flossenbürg cfr. Siegert 1979, pp. 490 sg. Questa cifra include i circa 800 prigionieri di guerra sovietici passati per le armi e i circa 6.900 morti durante le marce di evacuazione, ma non le circa 2.000 persone mandate all’esecuzione fra il 1944 e il 1945 e non registrate ufficialmente. Su Groß-Rosen cfr. Konieczny, 1989, pp. 20, 24. Per Auschwitz cfr. Langbein, 1980a, pp. 70 sg. Nel calcolo sono inseriti soltanto i morti registrati nel lager, tralasciando le vittime della prima selezione sulla «banchina» e dei trasferimenti durante l’evacuazione. Per Langbein i sopravvissuti di Auschwitz furono in tutto 60.000 circa. Su Majdanek cfr. Marszalek, 1982, pp. 77 e 133; Scheffler, 1987, p. 148. Su Dora-Mittelbau cfr. Bornemann, Broszat, 1970, pp. 197 sg., Pachaly, Pelny, 1990, pp. 105 sgg. La cifra qui riportata include non solo i 12.813 morti registrati nello schedario dell’infermeria, ma anche le vittime delle marce di trasferimento nonché gli altri deceduti non inseriti nelle liste ufficiali. Per Bergen-Belsen cfr. Fassina, 1962, p. 38; Kolb, 1985, p. 40. Sui campi di concentramento in senso stretto, cioè esclusi i campi di sterminio, cfr. Billig, 1973, pp. 96 sgg., che propone una cifra complessiva di 800.000 nel periodo compreso fra il 1933 e il 1944. Durante i primi mesi del 1945 morirono nella fase dell’evacuazione altre 300.000 persone circa. Per Kogon (1974, p. 177) il numero dei deportati ascende complessivamente a 1.540.350 e quello dei morti a 1.180.650. Finora la Croce Rossa ha potuto documentare con nome e cognome circa 450.000 casi di morte. Sui campi di sterminio cfr. Benz (1991, p. 17) e Golczewski (1991, pp. 464 sgg., 495). Per le cifre qui riportate bisogna tener presente che sotto la voce «Auschwitz-Birkenau» sono segnate le vittime condotte nelle camere a gas subito dopo il loro arrivo nel lager. Sulla questione del numero dei morti nel complesso di Auschwitz cfr. infra, parte V, cap. 22.

	Buchenwald		Sachsenhausen		Mauthausen		Dachau
	A	M	A	M	A	M	A	M
1937	2912	48	750	38			2015	69
1938	20122	771	8300	229	*1080	36	18681	370
1939	9553	1235	9144	819	*2800	445	3932	300
1940	2525	1772	18925	3892	*11000	3846	22675	1515
1941	5890	1522	8662	1816	*20000	8114	6153	2576
1942	14111	2898	16590	4698	*20387	14293	12572	2470
1943	42177	3516	20031	3807	21028	8481	19358	1100
1944	97866	8644	50560	2347	65645	14766	78635	4794
1945	43823	13056	54794	*15000	24793	*52814	30938	15384

	periodo	n. detenuti	decessi
Dachau	1933-45	206.206	31.591
Buchenwald	1937-45	238.979	56.545
Mauthausen	1938-45	197.464	102.795
Neuengamme	1938-45	106.000	55.000
Flossenbürg	1938-45	96.217	28.374
Groß-Rosen	1940-45	120.000	40.000
Auschwitz	1940-45

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