Non si tratta con i terroristi
Trattare con i terroristi significa rafforzarli. Aprire negoziati per la liberazione degli ostaggi o per sfuggire agli attentati, vuol dire mostrarsi deboli e induce a credere che il terrorismo funziona. La linea della fermezza è stata scelta in Italia nel caso Moro e da Israele nella risposta a Gaza, e in numerosi altri casi nella storia. Siamo sicuri che sia la scelta giusta?
Negoziare con i terroristi è eticamente sbagliato. Ma non tutto ciò che è eticamente giusto è politicamente efficace. Già a partire dai primi attentati anarchici alla fine dell’Ottocento, gli Stati di tutto il mondo si sono trovati ad affrontare la questione, scegliendo in genere la linea della fermezza.
Eppure, a ogni nuova ondata terroristica, l’interrogativo riappare, oltre le frontiere e gli steccati ideologici. C’è chi – come Israele – respinge ogni ipotesi di negoziato; chi – come l’Italia – in molti casi ha scelto di trattare (è il caso del dialogo con i terroristi mediorientali e del sequestro Cirillo) e si è rifiutato di farlo in altri (i rapimenti di Aldo Moro e del generale Dozier). E chi – come gli USA – in pubblico si è sempre mantenuto fedele alla linea dettata da Reagan, secondo la quale si nega ogni possibile concessione ai terroristi, salvo poi aprire trattative riservate. Insomma, al di là delle rituali dichiarazioni di condanna, le risposte sono state le più diverse.
In realtà, con i terroristi si tratta e anche piuttosto spesso. Dal terrorismo anarchico fino a Gaza, questo libro spiega come e, soprattutto, perché.