La tv è uno strumento tecnico [...] in base al quale una certa organizzazione fa pervenire a un pubblico, in determinate condizioni di ascolto, una serie di servizi, che possono andare dal comunicato commerciale alla rappresentazione dell’Amleto. Ora, parlare in blocco di ‘estetica’ di un tale fenomeno, sarebbe come parlare di estetica di una casa editrice.

Umberto Eco (1964: 322-323)

La perdita dell’oggetto, il ricatto del contenuto, l’alterazione ideologica, la prevaricazione degli intenti sui risultati, questo hanno prodotto: lo schiacciamento delle cose, dei gesti, degli errori in una dimensione che non è più né falsa né autentica, ma solo fungibile. L’unica caratteristica che conta è l’adattabilità al processo di assemblaggio.

Edmondo Berselli (1994: 154)

Quindi lascia perdere i dibattiti,
la rete, i palinsesti.

Baustelle, Monumentale (2013)

Infinite content, infinite content,
we’re infinitely content [...].
All your money is already spent
on infinite content.

Arcade Fire, Infinite Content (2017)

Introduzione

Caos. Quando si pensa alla televisione, ormai da numerosi decenni, una delle sensazioni più comuni e diffuse è quella di confusione. Un disordine che sta nei programmi, tra sporcature dovute alla diretta, interruzioni impreviste, agganci e rilanci; ma anche, e soprattutto, un disordine legato al susseguirsi veloce di contenuti variegati, all’affastellarsi continuo di testi di dimensione e natura differenti, al fluire ininterrotto di un’offerta sovrabbondante che intercettiamo solo in parte. Accendere il televisore porta subito chi guarda in medias res, nel mezzo di un programma e di un’offerta già cominciati e che poi proseguiranno, indifferenti alla presenza e all’attenzione del singolo spettatore. Spostarsi da una rete all’altra con il telecomando, navigare tra le guide a ciò che va in onda o sfogliare i cataloghi on demand offrono l’impressione di una ricchezza arruffata, di una molteplicità confusa, che si può fruire ed esplorare soltanto in parte, in cui immergersi senza particolare impegno e fatica. Rispetto ad altre porzioni del più ampio sistema dei media, la visione della tv è il risultato di una scelta debole, a bassa intensità: è già lì, resterà lì, con i suoi titoli di valore mescolati a tanto rumore di fondo, nella banalità del quotidiano.

Eppure, a uno sguardo più attento, il piccolo schermo svela una complessità molto maggiore. Il caos e la confusione sono spesso solo apparenti, un effetto voluto e attentamente costruito. Poco o nulla è davvero lasciato al caso. Se dagli spettatori si sposta la prospettiva sull’industria, sulla macchina, su quei meccanismi produttivi e distributivi che alla tv danno forma, la parola chiave è in realtà programmazione. Ogni elemento che compone il vorticoso flusso della proposta televisiva è programmato con largo anticipo, pianificato con cura, proposto al pubblico alla fine di una lunga catena di decisioni e giudizi volti a costruire valore e a favorire l’incontro ideale tra contenuto e fruitore. Ogni tassello è selezionato, agganciato a un canale e un momento precisi, collocato in una sequenza più ampia, disposto bene sulla vetrina o sullo scaffale. E il lavoro dei professionisti televisivi, l’attività fondante di qualunque impresa di broadcasting, è proprio quello di dare ordine all’offerta e costruire percorsi. Di programmare, appunto, ben più che di produrre. La contraddizione è solo apparente: la sfida delle reti, delle piattaforme e dei grandi gruppi editoriali è quella di pianificare il flusso, di provare a imbeccare e a orientare il consumo degli spettatori (sapendo bene di non potersi imporre più di tanto), di strutturare una proposta che possa sembrare naturale, ovvia, priva di struttura. La migliore programmazione è quella che rimane invisibile, nascosta, ignorata, e proprio questo la rende un atto di grande potere, uno spazio di enorme creatività.

Per tantissimo tempo, questa attività si è identificata completamente con una sola parola: palinsesto. Un termine oscuro, complesso persino da pronunciare, dal sapore arcaico, eppure pian piano entrato non solo nel vocabolario di chi, per studio, lavoro o passione, si occupa di tv, ma nel discorso comune. Così come nessuno può trattenersi dall’impulso a dare indicazioni all’allenatore della nazionale di calcio, o a proporre soluzioni alternative al presidente del Consiglio in carica, allo stesso modo tutti o quasi hanno opinioni molto chiare sulle scelte che riguardano l’offerta tv, danno valutazioni e suggeriscono spostamenti, in modo più o meno consapevole giocano al «piccolo direttore di rete». Programmazione televisiva e palinsesto sono stati a lungo sinonimi, e lo sono tuttora. Struttura implicita che dà forma al flusso dei programmi e dei contenuti televisivi, e insieme strumento con cui lo spettatore si orienta tra gli appuntamenti e le ricorrenze dell’offerta, il palinsesto è il punto di incontro principale tra la rete e la sua audience, tra industria e consumo. Dietro a quella parola si nascondono stratificazioni molteplici, oggetti diversi, varie progettualità: un processo di composizione e aggiustamento sempre attivo per gli addetti ai lavori, una griglia costantemente aggiornata anche per il pubblico. Il palinsesto è la lista di ciò che sarà trasmesso nella giornata, nella settimana, nel mese; è il dettaglio preciso che regola l’emissione del segnale e la sua ricezione nelle case. È ciò che definisce l’identità e il «sapore» della proposta, quello che aggiunge al singolo titolo le variabili contestuali che ne modificano il significato e spesso il valore. È il piano di lavoro, e di sfruttamento delle risorse, che influenza e orienta la produzione di contenuti originali. Uno strumento per raggiungere scopi precisi, rivolgendosi a un pubblico più ampio possibile, agli appassionati di un genere o a una singola comunità di gusto. Un foglio messo ogni volta in discussione, cancellato e modificato. Ancora, è lo spazio di una creatività di secondo grado, che si sovrappone a quella dei singoli programmi, e di un impulso normativo capace di imporre la sua forza. Il palinsesto è allora un oggetto complesso, difficile da afferrare in tutta la sua densità, e insieme lo snodo centrale, inevitabile, sempre presente ogni volta che si affronta (e si vuole comprendere) il mezzo televisivo.

In tempi più recenti, mentre la televisione ridefiniva almeno in parte le sue regole e si allargava fino a includere nel suo campo tante modalità di visione alternativa di contenuti comunque in larga parte di natura televisiva, anche gli arnesi della programmazione tv sono diventati più numerosi e complessi. Il palinsesto è stato messo in dubbio. La sequenza ordinata di programmi, la griglia temporale in cui sono collocati, l’insieme delle operazioni che ne regolano la composizione sono attraversati dai fenomeni della digitalizzazione, della convergenza, della ridefinizione insieme tecnologica e culturale del mezzo televisivo, delle sue modalità d’uso, delle forme della sua produzione. Lo scenario cambia. Da una parte, le chiavi interpretative e le categorie che – soprattutto tra gli anni Ottanta e Novanta, in Italia e altrove – sono state definite e adottate per spiegare il ruolo del palinsesto, per elencarne le operazioni possibili e le strategie a disposizione, sono messe alla prova: è innegabile che alcune linee generali continuino a «funzionare» – soprattutto per le reti generaliste, che in tutto o in parte seguono il modello commerciale e si rivolgono alla totalità del pubblico –, ma è altrettanto vero che si assiste a un loro depotenziamento, a una ridefinizione della portata delle operazioni, a differenti ordini di grandezza, alla trasfigurazione di quella che appariva una legge immutabile in un semplice strumento tra molti. Dall’altra parte, si moltiplicano le chiavi di lettura e le pubblicazioni che (almeno nelle intenzioni) rivendicano un superamento del ruolo del palinsesto, profetizzandone o sancendone la fine dentro un ambiente mediale complesso che separa il programma dal momento della messa in onda, che «libera» lo spettatore televisivo dal televisore, dalle reti e dalle loro tirannie: il principio ordinatore decade, la griglia perde la sua forza di imporre tempi e collocazioni, il baluardo del broadcastingè travolto e ridefinito da una molteplicità di offerte e pratiche di fruizione alternative.

Questa chiave di lettura è però, ancora una volta, parziale. Da un lato, tra queste due polarità, il multichannel digitale si è imposto come un elemento di forte novità, con la nascita o la ridefinizione di numerosi canali inediti che hanno portato allo sviluppo di diverse formule e obiettivi, e a un ruolo ancora differente del palinsesto, che ora costruisce e dà senso a offerte dove mancano quasi del tutto contenuti originali, o innerva linee editoriali che diventano tratto distintivo e comunicabile. Il palinsesto, lungi dallo sparire, si stratifica e si moltiplica. Dall’altro lato, la nascita e la rapida diffusione delle piattaforme audiovisive on demand, per definizione non lineari ed estranee alle logiche e ai vincoli del palinsesto «classico», non si sono limitate ad ampliare la portata e i cicli di vita del prodotto televisivo, ma stanno via via definendo modelli di programmazione alternativi, distinti, in cui alla raccolta di dati e all’elaborazione degli algoritmi si affiancano e intrecciano fattori editoriali e commerciali, in cui prodotti altrimenti dispersi si raccolgono in catene, sequenze e playlist, e in cui l’aspetto curatoriale sia a livello di marchio e piattaforma sia su contenuti e cataloghi è spesso ciò che fa davvero la differenza. Anche nel mondo non lineare, quindi, l’assenza apparente di obblighi e mediazioni rivela in realtà un’attenta costruzione, che ora supera e ora invece richiama quella dei palinsesti. E sempre di programmazione si tratta.

Questo volume ha l’ambizione e la speranza di mettere ordine in uno scenario sempre mobile, in un panorama complesso fatto di spinte contrastanti e di difficili equilibri. Il concetto di programmazione televisiva va oltre le apparenze e al cuore dell’industria audiovisiva e mediale, anche nei suoi assetti digitali più recenti, e mette in luce gli aspetti di continuità e permanenza sotto la superficie della rivoluzione, svelando quanto le stesse logiche e bisogni simili siano alla base sia delle reti generaliste sia di Netflix, e spiegando le storie e le tecniche, parallele, opposte o intrecciate, che stanno alla base della costruzione dei palinsesti così come della composizione dei cataloghi on demand. Spesso trascurati, o lasciati sullo sfondo e limitati a pochi accenni, da letture del mezzo televisivo che si concentrano su singoli testi, su programmi e generi a livello micro, o che invece sembrano interessate solo a un ambito macro fatto di teorie e «specifico televisivo», o ancora di scenari, istituzioni, tecnologia ed economia, il palinsesto e la programmazione sono invece la «cinghia di trasmissione» che lega le due dimensioni micro e macro, testuale e contestuale. E sono uno snodo insieme creativo e operativo che compone i contenuti e li propone al pubblico dando realizzazione concreta a esigenze culturali, politiche, commerciali. La focalizzazione sui processi della programmazione tv rende necessario uno sguardo diverso, che vada a sviscerarne le caratteristiche principali e l’evoluzione storica, che si metta alla ricerca dei tratti costanti e insieme individui le specificità e le ridefinizioni nel sistema mediale contemporaneo: da un lato, questo libro, sulla scia delle precedenti trattazioni del palinsesto (Rizza, 1986a, 1989; Barlozzetti, 1986; Aroldi, 1999, 2007; ma anche Ellis, 2000a), vuole in primo luogo aggiornarle allo scenario tv contemporaneo e poi, per la prima volta, provare a comporre in una trattazione organica aspetti altrove più frammentati; dall’altro, dialogando con una letteratura sia internazionale sia italiana sulle piattaforme audiovisive on demand già ampia e rigogliosa, intende uscire dall’enfasi rivoluzionaria e dai discorsi promozionali che molto spesso occupano l’intero spazio del dibattito pubblico su questi temi, per proporne una lettura più ponderata e, almeno nelle intenzioni, ordinata e completa. La lunga storia della televisione lineare e l’evoluzione più recente ma già abbondante dei servizi non lineari, sotto la lente specifica delle tecniche e delle logiche della programmazione, troveranno pertanto ampi legami e forti corrispondenze.

Per riuscirci, questo lavoro adotta un approccio il più possibile sistemico, che cerca di mettere insieme (e di far dialogare tra loro) orientamenti, punti di vista e discipline differenti, ricorrendo a una metodologia di ricerca composita. Alla ricognizione della letteratura italiana e internazionale in materia – con analisi di tipo estetico-linguistico-semiotico, sociologico, di economia e marketing dei media – fa da necessario contrappunto la costante attenzione al fattore operativo, al concreto tradursi delle teorie nelle pratiche dei professionisti e al dispiegarsi, in modo più o meno formalizzato, di tecniche, regole, strategie. Alla lettura diacronica dell’evoluzione del palinsesto e dell’on demand, e in particolare dei numerosi passaggi avvenuti negli anni nel contesto italiano, si affianca un’analisi sincronica, volta a individuarne i tratti formali, le strutture e le caratteristiche stabili, e insieme le specificità nello scenario mediale contemporaneo. La prevalente focalizzazione, soprattutto in chiave storica, sull’ambito nazionale si completa nel raffronto con i modelli internazionali, in particolare quello statunitense e quelli europei, che, pur con differenze e specificità, hanno ampiamente contribuito alla definizione di teorie e pratiche della programmazione.

La storia dei media, e della televisione in particolare, ha fornito quadri concettuali e metodologie proprie, con il ricorso a una molteplicità di fonti primarie e secondarie: documenti conservati negli archivi di Rai e di Mediaset, articoli e palinsesti riportati da quotidiani e settimanali (in primis, «Radiocorriere» e «Tv Sorrisi e Canzoni»), analisi e ricerche a uso interno o dall’ampia circolazione, valutazioni e «dietro le quinte» della stampa di settore, report e pubblicazioni più o meno specialistiche diffuse man mano. Il frame storico è integrato e completato dalle elaborazioni teoriche e dagli strumenti dei production studies televisivi, e più in generale mediali, che hanno arricchito la ricerca grazie al confronto costante con gli addetti ai lavori, per poterne comprendere e tratteggiare le culture produttive e distributive. All’analisi degli oggetti e delle rappresentazioni elaborate nei contesti professionali – palinsesti di vario tipo e a diversi stadi di completamento, cataloghi formali e informali, risorse e database aziendali, dati di ascolto, metriche digitali e strumenti della loro elaborazione, ordini di servizio, materiali promozionali, forme di comunicazione di programmi, reti e piattaforme, autorappresentazioni dell’industria, campagne di marketing, e così via – si è aggiunto l’impiego, per un lungo periodo, di strumenti etnografici, con interviste semi-strutturate in profondità e più informali scambi «in campo» con gli addetti ai lavori; in alcuni casi l’accesso a spazi e professionisti è stato abbondante e generoso, in altri ben più limitato o persino solo indiretto, ma una triangolazione delle fonti e dei dati ha consentito comunque una mappatura ricca e per quanto possibile completa.

Rispecchiando la molteplicità degli approcci e dei metodi impiegati, il volume si compone di cinque capitoli, inevitabilmente intrecciati tra loro da collegamenti e rimandi.

Nel primo capitolo, Palinsesto. Definizioni, l’etimologia del termine e le alternative adottate nelle varie lingue costituiscono il punto di partenza per tracciare una mappa dei significati e delle stratificate valenze, spesso metaforiche, che il palinsesto assume, nell’uso come nella riflessione teorica. L’analisi dei complessi rapporti con il flusso televisivo, esperienza linguistica e di consumo, e con la temporalità entro cui la griglia di programmazione si inserisce, è seguita poi da alcune specificazioni ulteriori del concetto: il palinsesto è insieme prodotto e processo, risultato visibile e strumento nascosto.

Il secondo capitolo, Palinsesto. Tecniche, scompone la griglia di programmazione nei suoi elementi costitutivi, in modo da studiarne i caratteri fondamentali e le modalità della costruzione: l’insieme dei materiali testuali (programmi, spot, promo), che si compongono nel mosaico del palinsesto; la forma temporale, che si lega ai tempi sociali e insieme li ridefinisce, articolandosi lungo stagioni, settimane, giornate e fasce orarie; le logiche editoriali, che tratteggiano un’offerta chiara e coerente e definiscono o rafforzano i brand e le identità di rete; le logiche commerciali, che valorizzano le risorse a disposizione per raggiungere gli obiettivi di ascolto concordati con gli investitori pubblicitari e tengono conto dello scenario competitivo del mercato; le logiche professionali, legate ai ritmi di lavoro, alle gerarchie e ai rapporti di forza, all’esperienza e alle abitudini dei professionisti coinvolti; e ancora le tattiche e le strategie, strumenti e regole per valorizzare al meglio le collocazioni dei prodotti o per contrastare efficacemente la concorrenza. Attraverso le distinte componenti, si viene progressivamente a comporre l’articolato quadro dell’oggetto-palinsesto, delle sue specificità, dei suoi mestieri.

Il capitolo successivo, Palinsesto. Storie, esplicita la natura specificamente nazionale del palinsesto, per poi tracciare una dettagliata ricostruzione della sua vicenda italiana, suddivisa in sette grandi fasi: i primi anni del medium (1954-1960), con la ricerca di una forma attraverso sperimentazioni successive e con tempi ben scanditi, appuntamenti rigorosi e ampi spazi vuoti; la direzione generale di Ettore Bernabei (1961-1974), con i canali del servizio pubblico che raddoppiano (in «alternativa») e l’applicazione molto consapevole delle politiche di palinsesto quali strumenti di potere e controllo; la tumultuosa fase della riforma Rai e degli anni immediatamente successivi (1975-1979), con la definizione più precisa delle linee editoriali dei due canali Rai, la nascita del terzo e l’ingresso nello scenario televisivo delle tv private locali; la partenza dei network commerciali nazionali, prima con Canale 5 e poi con le tre reti di Silvio Berlusconi (1980-1984), dove il palinsesto si rivela una tecnica formidabile per definire in modo chiaro e distintivo la nuova proposta e insieme un’arma per contrastare le reti concorrenti e «battere» la Rai; la successiva stabilizzazione del sistema misto (1985-1989), con la ricerca di un difficile equilibrio, sancito dalla piena adozione del modello commerciale e dalla rilevazione dei dati di ascolto; l’evoluzione, il trionfo e poi un’indubbia stasi della televisione generalista (1990-2002), con la conquista della diretta da parte delle private nazionali e i piccoli aggiustamenti a tecniche di palinsesto che diventano maniera e routine; infine, e parzialmente sovrapposti, il diffondersi dei canali tematici, con il cruciale precedente delle reti musicali, l’assestarsi dell’offerta satellitare e lo switch-off al digitale terrestre (2003-2020), con la successiva ridefinizione di posizioni che sembravano durature e l’approdo a un compiuto multichannel.

Il quarto capitolo, On demand. Definizioni, tecniche e storie, si sposta dalle reti lineari e dai loro palinsesti alle piattaforme audiovisive non lineari: dapprima individuando una serie di tendenze centrifughe che negli ultimi decenni hanno via via indebolito le modalità di programmazione tradizionale, grazie all’intreccio di innovazioni tecnologiche, cambiamenti testuali ed evoluzioni nelle pratiche fruitive degli spettatori, e ponendo le basi per un modello alternativo di visione; poi focalizzandosi sulla punta più avanzata e rilevante di questi cambiamenti, i servizi on demand, in un’analisi tripartita che segue quanto fatto nelle pagine precedenti sul palinsesto. Da un lato, si cerca pertanto di fare ordine nella terminologia ancora instabile legata allo streaming e al non lineare, spiegando le implicazioni di ogni definizione, mettendo in dialogo il gergo industriale e la riflessione accademica, alternando lo sguardo più ampio alle dizioni specifiche, e proponendo una classificazione che separa tre grandi spazi nello scenario on demand. Da un altro lato, si affrontano le tecniche della programmazione delle piattaforme digitali, apparentemente automatiche, spesso nascoste, prima svelando la non neutralità dei meccanismi di personalizzazione dell’offerta, con dati e algoritmi spesso ibridati dal fattore umano, e di personalizzazione del consumo, con un binge watching e una libertà di visione che si rivelano spesso sovrastimati; poi ricostruendo in dettaglio la rilevanza di una mano che «cura» l’offerta e l’impatto di molteplici logiche editoriali, commerciali e professionali sia sulla scelta dei singoli contenuti e sulla composizione delle library, sia più in generale sull’affinamento delle interfacce e sulle identità costruite con sapienza dalle varie offerte. Da un altro lato ancora, infine, si ricostruisce una rapida e inedita storia dell’on demand nel contesto italiano, che comincia con gli esperimenti sulla pay-per-view degli anni Novanta e i molteplici e spesso fallimentari tentativi di tante società di telecomunicazioni nei primi Duemila e racconta poi il ruolo degli operatori tv italiani nel dare impulso al non lineare gratuito e a pagamento, l’approdo di Netflix, Amazon e degli altri player globali del settore e la difficile ricerca di un equilibrio in un mercato stabile ma molto competitivo.

Infine, l’ultimo capitolo, Traiettorie presenti, prospettive future, traccia una sintesi di un panorama contemporaneo dove il palinsesto e l’on demand non solo convivono, ma finiscono per ridefinirsi e persino rafforzarsi a vicenda. Nei canali digitali le logiche e le tecniche impiegate per comporre la griglia di programmazione cambiano, andando a modificare regole e abitudini assestate per adattarsi a una concorrenza diversa e a un contesto profondamente mutato. Al tempo stesso, al di là dell’enfasi sulla rivoluzione, i servizi on demand tentano con molte strategie di recuperare alcuni tratti della televisione classica, così da perfezionare l’aggancio sul pubblico e la valorizzazione dei loro contenuti. Soprattutto, l’opposizione tra i due modelli diventa complementarità, rivelando la forza tranquilla e duratura del broadcasting nel rispondere a bisogni di comunità, di ordine, di scoperta. Giunti alla fine del percorso, il palinsesto assume funzioni e valori inediti, e insieme conferma molti suoi vantaggi; la curation si affianca tra gli strumenti capaci di dare un senso complessivo, maggiore delle singole parti, pure nell’on demand; e la programmazione si conferma il principio cardine dell’esperienza di visione, assumendosi il compito di fare ordine e al tempo stesso lasciando allo spettatore l’ebbrezza di un caos almeno apparente.

Questo libro è la nuova edizione, integralmente aggiornata e ampliata con una consistente parte inedita dedicata alla storia e tecnica dell’on demand e allo scenario contemporaneo, di Palinsesto. Storia e tecnica della programmazione televisiva, uscito nel 2015 presso questo stesso editore. Sia questa versione rinnovata sia il volume precedente costituiscono il risultato di un percorso di ricerca che prosegue ormai da molti anni, e che non sarebbe stato possibile senza l’aiuto e la collaborazione di tante persone, che desidero qui ringraziare.

Peppino Ortoleva è una guida costante fin da quando gli proposi di indagare i palinsesti nella tesi magistrale: il suo invito a rivolgere prima lo sguardo altrove mi ha consentito di arrivare a studiare poi la programmazione con le spalle più larghe; i suoi consigli e la sua amicizia trovano più di un’eco tra queste pagine. Per dieci anni, Aldo Grasso e Massimo Scaglioni mi hanno dato suggerimenti preziosi, direzioni e opportunità, e con il Ce.R.T.A., il Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, anche uno spazio fecondo in cui imparare e fare ricerca, palestra importante per molti metodi e riflessioni che attraversano questo lavoro. Giacomo Manzoli e Guglielmo Pescatore mi hanno consentito di crescere e proseguire il cammino, in un confronto franco e produttivo, e mi piace pensare che la lezione dottorale per presentare e discutere Palinsesto sia stata il primo passo del percorso poi intrapreso presso l’Università di Bologna.

Il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, e prima il Dipartimento di Scienze della comunicazione e dello spettacolo dell’Università Cattolica, sono stati lo spazio privilegiato di incontri, scambi, relazioni e amicizie spesso fondamentali, e non soltanto per questo libro. Numerosi colleghi e docenti anche di altre università, sia in Italia sia altrove, mi hanno dato una mano a chiarire alcune idee e a sviluppare spunti imprevisti. Alcuni hanno ascoltato e commentato parti ancora in progress della ricerca in occasione di convegni e seminari, evidenziando i punti deboli e dando indicazioni che spero di aver accolto in modo adeguato; con altri sono state le chiacchiere informali nei corridoi, i caffè alla macchinetta, le occasioni conviviali a rivelarsi estremamente fruttuosi. I molti studenti dei miei corsi presenti e passati, e in particolare di Storia della radio e della televisione e poi di Televisione e media digitali presso il DAMS di Bologna, di Culture della produzione televisiva presso la laurea magistrale INCOM sempre a Bologna e di Costruzione dei palinsesti presso il master «FareTV. Gestione, sviluppo, comunicazione» in Cattolica, hanno contribuito a definire meglio l’articolazione del volume grazie ai loro esempi, domande e curiosità.

Numerosi professionisti, impegnati a vari livelli nelle routine di programmazione o in altre attività essenziali per reti, broadcaster, piattaformee società di produzione tv, mi hanno donato il loro tempo prezioso per interviste, chiacchierate e scambi informali, le loro idee e sguardi originali sull’evoluzione del mestiere televisivo, e in alcuni casi la loro amicizia, leggendo in tutto o in parte le bozze del libro e dandomi consigli utili per aggiustamenti e integrazioni. Il centro di documentazione Mediaset e le biblioteche e mediateche Rai mi hanno supportato nei primi passi della ricerca. E l’ormai lunga collaborazione con «Link. Idee per la televisione», su cui si è innestata poi anche l’esperienza della collana «SuperTele» di minimum fax, ha costituito uno snodo cruciale per mettere in dialogo scenario e dettagli, accademia e industria, riflessioni teoriche e pratica produttiva.

Infine, dedico questo libro ai miei genitori, a mio fratello Simone, e a chi pian piano è riuscito a dare ordine al caos, e caos all’ordine.

1.
Palinsesto. Definizioni

Guardare la televisione. L’azione è semplice, scontata, persino banale: radicata stabilmente nelle pratiche quotidiane, messa oggi in questione nelle forme (e piattaforme) ma di certo non nella sostanza. L’espressione, invece, lo è meno: una sineddoche, che utilizza una totalità per indicarne solo una parte, una porzione. Il medium nel suo complesso, invece di un segmento, anche piuttosto confuso, di ciò che viene trasmesso, o al posto di un singolo programma, contenuto dai bordi e dall’identità decisamente chiari. Si guarda la televisione, l’insieme indistinto della sua multiforme proposta. Solo di rado, invece, si vede un testo specifico, sintonizzandosi al momento giusto e restando davanti allo schermo fino alla fine.

Guardare la televisione. La frase più ovvia porta nascosti con sé alcuni tratti distintivi del mezzo, che a differenza di altre forme comunicative si cristallizza solo di rado in un oggetto testuale (un libro, un film, una canzone, persino un sito) ma sottolinea la sua natura continua, di servizio sempre disponibile, di tecnologia domestica che diventa (nel complesso) forma culturale. Nel suo consumo televisivo, lo spettatore dà meno valore al contenuto rispetto al fatto stesso di guardare, di stare davanti a un’offerta complessiva, di scegliere di cambiare canale. E, allo stesso modo, la produzione organizza il broadcastingin blocchi di dimensione maggiore del singolo testo, cercando così di attrarre e trattenere a lungo il pubblico. Il risultato è che i programmi televisivi non sono (quasi mai) entità singole: anche quando sono indicati per nome, i contorni sfuggono e l’esperienza di visione non è «pura». Di più, i testi non sono (mai) soli, isolati, appoggiati come unità individuali su una rete e ricevuti come tali dagli spettatori. Ogni contenuto, anche in presenza di pause o intervalli, è inserito in una sequenza: una successione ordinata e coerente di programmi, ciascuno dotato di un ruolo e un senso per chi guarda. A un programma ne segue un altro, e poi un altro ancora. Ogni prodotto televisivo si trova situato in un contesto, delineato dal simbolo della rete, da ciò che è stato trasmesso prima (o anche molto prima) e da ciò che sarà mandato in onda dopo (o anche molto dopo). Grazie al contesto i programmi aumentano di valore, perché l’insieme dell’offerta significa qualcosa in più della semplice somma delle singole parti. Ogni testo è quindi composto in una programmazione, un gruppo di elementi molteplici e variegati, ciascuno con formati e con funzioni comunicative differenti. Non si tratta di una semplice giustapposizione, ma dell’adozione consapevole di un principio ordinatore, più o meno legato al raggiungimento di particolari obiettivi, in costante tensione con l’unicità, individualità e singolarità dei testi.

Nella televisione italiana, questo principio ordinatore, che agisce sui contenuti trasmessi dal medium e insieme, di conseguenza, sulle pratiche del loro consumo, si chiama palinsesto. Un termine arcaico, cui già negli anni Cinquanta si è aggiunto un significato contemporaneo, come mostra in modo chiaro la definizione molteplice del dizionario Devoto-Oli: «1. Manoscritto per lo più pergamenaceo in cui la scrittura primitiva sia stata raschiata e sostituita con un’altra (spesso disposta trasversalmente rispetto alla prima). 2. scherz. Vecchio scritto reso illeggibile dalle cancellature e dalle correzioni. 3. Prospetto sinottico dei programmi della radiotelevisione, a volte comprendente le ore e i minuti stabiliti per le singole trasmissioni radiofoniche e televisive; estens. programmazione televisiva». La parola scelta dai primi dirigenti della Rai per indicare la griglia di base che regola le trasmissioni, impostasi poi comunemente nell’uso degli addetti ai lavori e del pubblico, cerca di nobilitare il mezzo appena nato mediante il ricorso a una tradizione umanistica condivisa da quei professionisti di buona cultura, e richiama i codici e le pergamene manoscritte, cancellate e poi riscritte nuovamente, attraverso le cui stratificazioni sono giunti molti testi greci e latini: il termine greco palímpsestos significa infatti «raschiato di nuovo», con la combinazione dell’avverbio pálin, «di nuovo», e di pséstos, participio passato del verbo psáo, «raschiare, sfregare». Che sia stata compiuta per eccesso di seriosità, con l’intenzione di giustificarsi o invece con un retrogusto ironico e scherzoso, la scelta si è rivelata comunque estremamente efficace a indicare con chiarezza il nuovo strumento, caratterizzato proprio da correzioni e modifiche costanti.

Come una pergamena da cui in controluce affiorano le tracce di scritture precedenti, allo stesso modo il piano giornaliero o settimanale delle trasmissioni televisive reca segni di gomma e correzioni in altri colori, riporta schemi impiegati in precedenza cui si aggiungono novità e cambi in corsa, tiene assieme svariate decisioni e punti di vista, porta i segni di lunghe elaborazioni e improvvisi ripensamenti. Come un palinsesto classico, quello televisivo può essere impiegato per ricostruire le logiche e i criteri della programmazione, e analogamente presenta lacune e passaggi difficili da ricostruire. Inoltre, proprio come i copisti medievali trascrivevano pazientemente i codici, anche l’attività di messa in forma di un palinsesto è un’operazione che richiede calma e prospettiva, che opera strategicamente sul lungo periodo e tatticamente nel giro di poche ore. Ed è un processo continuo, dettato dalla messa in onda in ogni minuto del giorno, ogni giorno della settimana, e tendenzialmente infinito: se l’uso del termine fatto dal discusso antropologo Cesare Lombroso – che nel suo Palinsesti del carcere, pubblicato a Torino nel 1888, chiama in questo modo le scritte dei carcerati sulle pareti delle loro celle, il sovrapporsi delle tracce di detenzioni successive – non ha probabilmente avuto alcun impatto sui primi dirigenti del servizio pubblico, la dimensione «forzosa» del palinsesto può trarre da lì almeno una piccola suggestione.

2.
Palinsesto. Tecniche

La nozione di palinsesto non è univoca, il termine prescelto per dargli un nome risulta quasi casuale (e comunque è un unicum della lingua e della televisione italiane), l’articolazione teorica del concetto presenta svariati elementi di molteplicità e confusione. Al tempo stesso, però, la griglia di programmazione è un oggetto comunemente compreso e usato anche da quegli spettatori che non sanno darle un nome, e insieme uno strumento correntemente impiegato nell’industria televisiva da una molteplicità di addetti ai lavori: qualcosa di familiare e comune, qualcosa di utile e necessario, qualcosa che può essere amato o odiato.

Qualcosa di concreto. Per questo, prima di procedere ad analizzare nel dettaglio le tecniche che regolano la composizione dei palinsesti, può essere utile – sulla scorta e sul modello di precedenti riusciti tentativi in tal senso (Grasso e Scaglioni, 2003: 82; Dematté e Perretti, 2009: 32) – provare a tracciarne una definizione operativa e strumentale, sicuramente incompleta, ma sufficiente a evidenziare gli elementi più importanti e a guidare attraverso di essi l’analisi che si dispiegherà nelle prossime pagine. Eccola:

Il palinsesto è una sequenza ordinata di programmi e altri materiali (contenuto), disposti entro una griglia temporale (forma) secondo differenti logiche (editoriali, commerciali e professionali), mediante l’impiego di appositi strumenti (tattiche e strategie)e sulla base di obiettivi di lungo e breve termine.

Si sottolineano in questo modo l’alternanza, l’incrocio e il mescolamento tra testi di differente genere e tipo all’interno della programmazione di una rete, la tabella oraria, giornaliera e stagionale che ospita questi contenuti riempiendosi via via, l’insieme di criteri e decisioni che sottostanno alla composizione, gli strumenti e le scorciatoie utilizzati per raggiungere finalità anche molto diverse. Elementi distinti, che trovano una sintesi inedita nel processo e nel prodotto del palinsesto.

La programmazione televisiva

L'autore

Luca Barra

Un monito scelto dalla famiglia Laterza come esortazione alla tenacia e ad una costante crescita.

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