Capitolo VI.

Il monopolio dei colori

Le campagne, più tradizionaliste, sono in genere più legate ai colori scuri e spenti. Ma nel corso del Settecento anche i contadini adottano, più che in passato, vestiti colorati. Il blu, in particolare, si diffonde piuttosto ampiamente anche negli ambienti rurali. A lungo comunque, in molte zone i colori, o quantomeno alcuni colori, sono privilegio di pochi, o almeno così prevede la legge: nel Württemberg, per esempio, il verde è appannaggio della corte e dei cacciatori ducali, ed è pertanto vietato a tutti gli abitanti di sesso maschile. Essi da un lato si adattano alla normativa, dal momento che – come essa prevede – non usano abiti di tale colore. Dall’altro, però, senza infrangerla, manifestano la loro indipendenza usando dei berretti verdi78.

A Bologna, solo i nobili possono far indossare ai loro servi livree a più colori o con passamani e nastri d’argento79. Non a caso, allora, un servo trovato morto nel dicembre del 1740 era «vestito con tabarro di panno color grigioferro con contorno giallo, giustacore di panno verde, camisola compagna, calzoni di baracano color berettino, calzette di cavadino giallo, sottocalzette di filo bianche, corpeto di lanna rosso, cinto con pendone di pelle [...], scarpe di vitello con fibbia d’ottone [...], capello di feltro nero con corda nera [...] con nastro di cordella gialla nel giustacore suddetto sopra la spalla destra»80. Vero arcobaleno ambulante, questo servo probabilmente non è vestito con i colori delle armi dei suoi padroni, come spesso è usuale.

Ma non sono solo i colori ad essere oggetto delle normative suntuarie presenti in molti paesi europei (assenti in Olanda, altro­ve, come in Svizzera, in Germania, in Francia e in Italia vengono ribadite a lungo: a Roma l’ultimo editto sull’abbigliamento è addirittura del 182481). Accanto alle tinte, anche forme, tessuti, materiali, decorazioni vengono sottoposti a regolamento. Nel Württemberg tra il 1549 e il 1712 si ripetono varie ordinanze «vestimentarie»82. Nel 1712 si impedisce agli strati inferiori di portare abiti confezionati con tessuti importati. La proibizione è più rigida per i contadini, un po’ meno per i ceti popolari delle città, ai quali sono comunque interdette le «indiane». Solo le classi superiori possono inoltre portare l’abito alla francese83. Infatti, se gli abiti «tipici» regionali sono un fenomeno prevalentemente ottocentesco, l’appartenenza a comunità nazionali si esprime in fogge vestimentarie che le potenze dominanti tendono a esportare in ampie zone, almeno tra i ceti elevati: nel Cinquecento la moda italiana con i suoi velluti cremisi e le decorazioni d’oro cede il passo a quella, più scura e austera, di ispirazione spagnola. Dal Seicento dominerà la moda francese, un po’ più colorata e, dalla fine del secolo, destinata a mutare con ritmi assai più veloci che in passato84.

Nelle leggi suntuarie del Württemberg la preoccupazione di difendere le industrie locali dalla concorrenza si mescola a quella di stabilire delle barriere «vestimentarie» tra un ceto e l’altro. È questa, in effetti, in Età moderna, una delle caratteristiche principali di tale tipo di legislazione. Nata, almeno nell’Italia comunale, come strumento della lotta delle città contro i privilegi aristocratici, in Età moderna la legislazione suntuaria finisce infatti per divenire un mezzo impiegato soprattutto per mantenere le barriere tra i gruppi sociali, bloccare la società, impedire le ascese individuali. Come o forse più che per i cibi, le leggi sull’abbigliamento sono così volte a proteggere i privilegiati dai «tentativi di imitazione» degli altri ceti. Si cerca insomma di imporre un alfabeto di materiali, di forme e di colori volto a rendere identificabili le élites attraverso un linguaggio fissato per legge. In parte destinate a cadere nel vuoto, le leggi suntuarie testimoniano comunque di un uso del vestiario totalmente improntato alla necessità di comunicare e rendere evidenti le distinzioni sociali85. A Bologna, per esempio (ma le citazioni di casi simili potrebbero essere innumerevoli), nel 1749 si stabilì che chi non era aristocratico non potesse «tenere Carrozza, o altri Legni con Oro, né buono, né falso, né Servitori con Livrea, né usare Borse, né Ombrelle da Dame per le donne» e non potesse impiegare «né Oro, né Argento né buono, né falso negli Abiti, e Vesti»86.

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