Panchine
«La panchina è un luogo di sosta, un’utopia realizzata. È vacanza a portata di mano. Sulle panchine si contempla lo spettacolo del mondo, si guarda senza essere visti e ci si dà il tempo di perdere il tempo, come leggere un romanzo.»
«La letteratura è piena di panchine perché parla della vita della gente – e la gente, sopra ogni cosa, aspetta, e aspettando gira a zonzo e si siede dove capita. Poi parla di panchine perché quelli che scrivono, oltre ad aspettare e guardare anche più degli altri, hanno spesso una vita di frontiera, senza appartenenza.» Le panchine, simboli della soglia, sottili frontiere tra dentro e fuori, «oggi in via di estinzione, come se la loro gratuità (la loro grazia), nel nuovo orizzonte del welfare fosse assolutamente da bandire». E un autore che, seduto sul ciglio del mondo, si allena a lasciare libera la mente di vagare, divagare. Passeggiare da fermo.