Il cinema muto italiano
Il cinematografo arriva da noi nel 1896, a pochi mesi dall'invenzione dei fratelli Lumière, ma bisogna attendere il 1905 - con la proiezione romana del film che, in dieci minuti e sette quadri, ricostruisce la Presa di Porta Pia - per festeggiare la nascita ufficiale del cinema italiano. Le nostrane 'fabbriche delle films', come vengono chiamate, sono piccole imprese a conduzione familiare che cullano tuttavia ambizioni industriali. Nella scelta dei soggetti si attinge al meglio della letteratura, dell'arte e del teatro, e grandi nomi della cultura del tempo - uno su tutti, Gabriele D'Annunzio - vengono coinvolti nell'ideazione di trame e musiche, o nella riduzione delle proprie opere. Le produzioni sono grandiose: Quo Vadis?, Marcantonio e Cleopatra, Giulio Cesare, Gli ultimi giorni di Pompei e Cabiria. Il cinema fa sognare, infiamma il patriottismo popolare alla vigilia della Grande Guerra, conquista il pubblico americano. Per le nostre 'star' esplode l'età d'oro dell'adorazione universale. Da Francesca Bertini a Lyda Borelli, da Pina Menichelli a Hesperia, a Leda Gys, a Eleonora Duse, l'esercito delle dive immortalate in film come Rapsodia satanica, Tigre reale, Odette, Il fuoco, La signora delle camelie o Malombra, ispira nel pubblico profonde passioni e sollecita trasformazioni di mentalità e costume. Ma l'infatuazione, di pari passo con l'industria cinematografica nazionale, si esaurisce in fretta. Intorno agli anni Venti un'industria che aveva esportato le sue pellicole in tutto il mondo vede crollare la produzione da centinaia di titoli a poche unità, mentre l'avanzata delle Majors americane e del cinema europeo aggrava la crisi italiana e provoca l'emigrazione massiccia di attori, tecnici e registi. In questo scenario desolante, nel 1929, un gruppo di giovani italiani realizza un film intitolato Sole. Sin dal nome quel lavoro sembra contenere la speranza e la scintilla della rinascita.