Indice Estratto

Edizione: 2010, VIII rist. 2024
Pagine: 430
Collana: Manuali Laterza [312]
ISBN carta: 9788842093947
ISBN digitale: 9788858124192
Argomenti: Diritto positivo

Diritto e conflitti

Lezioni di diritto costituzionale

Gaetano Azzariti

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«Non ci si può limitare alla descrizione del diritto costituzionale. Si tratta invece di valutarlo, criticarlo, costituirlo. Non mi soffermerò più dello stretto necessario sui dati (normativi o strettamente tecnici della materia), bensì mi sforzerò di fornire elementi e stimoli per poter poi valutare criticamente il complesso degli istituti, dei fatti, delle regole che vengono a comporre il diritto costituzionale».
Gaetano Azzariti propone un'originale ricostruzione sistematica che riflette l'esigenza di collegare l'analisi giuridica alle trasformazioni politiche, storiche e culturali per comprendere la vera dinamica del diritto costituzionale. Emerge con chiarezza come il carattere essenziale degli ordinamenti giuridici e costituzionali sia definito dal modo in cui viene data soluzione ai conflitti sociali.

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Edizione: 2024
Pagine: 430
Collana: Manuali Laterza
ISBN: 9788842093947

L'autore

Gaetano Azzariti

Gaetano Azzariti è professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma La Sapienza. È direttore di “Politica del Diritto” e “Costituzionalismo.it”, riviste di cultura giuridica e costituzionalistica, e ha fondato e diretto la “Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti” fino al 2012. Editorialista del quotidiano “il manifesto”, collabora con diverse testate giornalistiche. Tra le sue pubblicazioni: Forme e soggetti della democrazia pluralista (Giappichelli 2000); Studi sui diritti in Europa (Aracne 2006); «È dell’uomo che devo parlare». Rousseau e la democrazia costituzionale(Mucchi 2020). Per Laterza è autore di: Critica della democrazia identitaria. Lo Stato costituzionale schmittiano e la crisi del parlamentarismo (2005); Diritto e conflitti (2010); Il costituzionalismo moderno può sopravvivere? (2013); Contro il revisionismo costituzionale (2016).

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Rassegna stampa

su Il Sole 24 ore (05-12-2010) Allegato

Diritto e conflitti
Sana e robusta Costituzione
Leggi recensione in pdf
di Michele Ainis
su Il Manifesto (24-02-2011) Allegato

Diritto e conflitti
Crack istituzionale. Le scommesse perdute dello Stato
Leggi recensione in pdf
di Giuseppe Allegri

¹ Come ricorda G. Zagrebelsky, Società, Stato, costituzione, Torino, Giappichelli, 1988, p. 11, ponendosi anch’egli l’interrogativo sul «perché occuparsi di idee?». Sull’importanza della conoscenza teorica e non solo pratica vedi almeno quanto scrive H.G. Gadamer, Elogio della teoria. Discorsi e saggi (1983), a cura di F. Volpi, Milano, Guerini e Associati, 1989, pp. 29 ss.

¹ Cfr. S. Romano, Il diritto costituzionale e le altre scienze giuridiche (1903), ora in Id., Scritti minori, vol. I, Diritto costituzionale, a cura di G. Zanobini, ristampa dell’edizione del 1950, Milano, Giuffrè, 1990, p. 253 (con riferimento ai vari rami del diritto pubblico, ma vedi poi a p. 257 per l’affermazione della primitiva e logica unità che coinvolge tutti i rami del diritto). Vedi anche Id., Principii di diritto costituzionale generale, Milano, Giuffrè, 1945, p. 26.

² Vale la pena riportare per intero la limpida prosa dell’art. 11 della nostra Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

³ Su cui vedi infra,cap. 3.

⁴ Ovvio il rinvio al fondamentale scritto di I. Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico di Immanuel Kant (1795), ora in Id., Scritti di storia, politica e diritto, trad. it. a cura di F. Gonnelli, Roma-Bari, Laterza, 20023, pp. 163 ss., ma vedi già Id., Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784), ora in Id., Scritti di storia, cit., pp. 29 ss. L’ideologia nascosta in ogni ipotesi ecumenica, e gli interessi reali che si pongono alla base del cosmopolitismo kantiano, sono stati ben evidenziati e giustamente criticati da S. Benhabib, I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini, Milano, Raffaello Cortina, 2006, pp. 21 ss.

⁵ Anche in questo caso ovvio il rinvio agli studi sulla sovranità dell’autore praghese, in particolare vedi H. Kelsen, Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale. Contributo per una dottrina pura del diritto (1920), a cura di A. Carrino, Milano, Giuffrè, 1989. In questo caso la prospettiva normativistica, nell’ambito della quale si sviluppa la ricostruzione kelseniana – che verrà in seguito criticata (vedi infra,cap. 2, § 3.1, cap. 3, § 3 e cap. 6, §§ 3 ss.) – rappresenta il fondamento, ma al tempo stesso costituisce il limite puramente logico-deduttivo di questa teoria.

⁶ Le tortuose strade percorse dalle costituzioni (come atti normativi) e dal costituzionalismo (come movimento storico) per imporsi prima come «pensiero politico» poi come «norma giuridica» sono state di recente esaminate da G. Ferrara, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, Milano, Feltrinelli, 2006. Le vicende che si pongono a fondamento dello statuto teorico del costituzionalismo moderno verranno esaminate infra, cap. 7, §§ 10 ss.

⁷ Sul concetto di «paradigma generale», qui assunto in chiave epistemologica, ma anche come «costellazione di credenze condivise da un gruppo», nonché come insieme di teorie, di valori e di tecniche di ricerca di una specifica comunità scientifica, vedi le decisive riflessioni di T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), trad. it. di A. Carugo, Torino, Einaudi, 1999 (in particolare il Poscritto 1969, a pp. 219 ss.).

⁸ Cfr. R. Orestano, Conoscere e agire nel sapere giuridico (1984), ora in Id., Edificazione del giuridico, Bologna, il Mulino, 1989, p. 243. «Conoscere per operare, operare conoscendo» è il motto coniato da quest’impegnato giurista per richiamare gli studiosi alla responsabilità e alla criticità del proprio ruolo. Un’esortazione più attuale oggi di ieri.

⁹ La pretesa immaginifica dell’eternità del diritto che si vuol porre alla base del contratto politico e istituzionale di specifiche società storicamente determinate ha trovato – soprattutto in epoche passate – sue formalizzazioni positive ed espressioni tipiche. Nell’esperienza storica italiana è da ricordare la legge fondamentale del Regno sabaudo (lo Statuto albertino) che si auto-proclamava «perpetua ed irrevocabile». Sul punto vedi da ultimo le considerazioni di M. Fioravanti, Costituzione e legge fondamentale,in «Diritto pubblico»,2, 2006, pp. 467 ss.

¹⁰ Il riferimento è evidentemente al magistrale insegnamento di V. Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, Giuffrè, 1952 («una costituzione deve essere intesa ed interpretata, in tutte le sue parti, magis ut valeat, perché così vogliono la sua natura e la sua funzione, che sono e non potrebbero non essere, ripetiamo, di atto normativo, diretto a disciplinare obbligatoriamente comportamenti pubblici e privati»: così a p. 11).

¹¹ Sulla nozione di «Stato sociale di diritto» si possono vedere le pagine critiche di E. Forsthoff, Concetto e natura dello Stato sociale di diritto (1954), ora in Id., Stato di diritto in trasformazione, a cura di C. Amirante, Milano, Giuffrè, 1973, pp. 29 ss.; in una diversa prospettiva anche E. Benda, Der soziale Rechtsstaat, in E. Benda, W. Maihofer, H.-J. Vogel (a cura di), Handbuch des Verfassungsrechts der Bundesrepublik Deutschland, Berlin-New York, Walter de Gruyter, 19942, pp. 719 ss.

¹² Vedi, per tutti, le tesi critiche di Forsthoff, Concetto e natura dello Stato, cit. Per l’opposta impostazione, la quale è alla fine prevalsa in sede dogmatica, ma soprattutto si è affermata sul piano storico nel concreto modo d’essere degli ordinamenti costituzionali europei nella seconda metà del secolo scorso, che hanno visto trasformarsi gli Stati di diritto liberali in Stati sociali, vedi l’ormai classico studio di J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1962), trad. it. di A. Illuminati, F. Masini, W. Perretta, Roma-Bari, Laterza, 1977, pp. 263 ss.

¹³ Sulla nozione di «Stato costituzionale» vedi essenzialmente P. Häberle, Lo Stato costituzionale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2005; nonché, tra i giuristi italiani, G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, Einaudi, 1992, pp. 20 ss.

¹⁴ Sulla crisi del modello «attuativo» e sulla parallela crisi del modello «espansivo» vedi le chiare pagine di M. Dogliani, Interpretazioni della costituzione, Milano, Franco Angeli, 1982, pp. 19 ss. e 23 ss.

¹⁵ Sulle ragioni «teoriche» con cui si volle giustificare l’apertura della stagione delle «grandi riforme» può vedersi il volume che raccoglie i numerosi interventi di un protagonista politico (ma anche raffinato costituzionalista): G. Amato, Una Repubblica da riformare. Il dibattito sulle istituzioni in Italia dal 1975 a oggi, Bologna, il Mulino, 1980. Sui fallimenti di quella strategia la letteratura è ormai vasta, ma vedi fin da allora le severe critiche di G. Ferrara, Democrazia e Stato del capitalismo maturo. Sistemi elettorali e di governo, in «Democrazia e diritto», 4-5, 1979, pp. 313 ss., ora in Id., L’altra riforma, nella Costituzione, Roma, manifestolibri, 2002, pp. 171 ss.

¹⁶ S. Kracauer, The Last Things Before the Last, New York, Oxford University Press, 1969 (trad. it. Prima delle cose ultime, Casale Monferrato, Marietti, 1985).

¹⁷ Cfr. M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2005, p. 14.

¹⁸ Cosìivi, pp. 14-15.

¹⁹ La massima hegeliana riportata nel testo viene frequentemente richiamata a giustificazione di ricostruzioni segnate dall’accettazione del crudo realismo. Essa deve in realtà essere ricondotta all’ottica propria del suo autore e letta entro una prospettiva strettamente idealista, dunque di riduzione del reale al razionale-ideale, e non viceversa: come unicità del vero, dunque, e non come dominio della realtà sul vero. Per Hegel la «realtà» è il processo del razionale che si manifesta e si fa esplicito nel modo di svolgimento dell’«idea». Vedi comunque G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto (1821), trad. it. di F. Messineo, Roma-Bari, Laterza, 1979, p. 16.Sarà poi l’apertura materialistica operata dalla sinistra hegeliana a dare concretezza alla diversa prospettiva del realismo, non solo filosofico. È con la critica marxiana della «falsa coscienza» che sarà ribaltato il rapporto tra le «idee» e la «realtà»; aprendo la strada a quella critica dell’ideologia che permetterà di fondare su basi materiali le prospettive di un realismo critico: sul punto vedi il classico K. Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1927, ma scritto tra il 1841 e il 1843), ora in Id., Opere filosofiche giovanili,a cura di G. Della Volpe, Roma, Editori Riuniti, 19774, pp. 15 ss.

²⁰Cfr. Aristotele, Metafisica, XII, 7, 1072b (vedi la traduzione – con testo greco a fronte – a cura di G. Reale, Milano, Bompiani, 2000, p. 563).

²¹ Vedi infra, cap. 3, § 2.

²² Sul punto vedi le considerazioni svolte infra, cap. 5, §§ 2.2 ss.

²³ Vedi supra, al § 1.1 di questo capitolo.

²⁴ Vedi, rispettivamente, ai capp. 5, 6 e 7. Per la definizione dei tre paradigmi richiamati vedi in particolare al cap. 4, § 3.

²⁵ Sul concetto di «precomprensione» (intesa come necessaria «anticipazione di senso» delle analisi scientifiche) e sul ruolo essenziale che essa esercita nella moderna ermeneutica giuridica, indispensabile per ogni teoria generale che aspiri alla coerenza della propria analisi, vedi il fondamentale studio di J. Esser, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto. Fondamenti di razionalità nella prassi decisionale del giudice (1972), trad. it. di S. Patti e G. Zaccaria, Napoli, Esi, 1983. Sui suoi presupposti filosofici, applicati dall’ermeneutica contemporanea, vedi, in particolare, H.G. Gadamer, Verità e metodo (1960), a cura di G. Vattimo, Milano, Bompiani, 1983, pp. 312 ss.

²⁶ Per i caratteri qui solo accennati vedi infra, particolarmente cap. 4, § 2.

²⁷ Sul punto si rinvia alle considerazioni già svolte in altre occasioni: vedi il mio Concezioni della democrazia e opinione pubblica: la Corte costituzionale tra conflitti plurali e unità costituzionale, inV. Tondi della Mura, M. Carducci, R.G. Rodio(a cura di), Corte costituzionale e processi di decisione politica. Atti del seminario di Otranto-Lecce svoltosi il 4-5 giugno 2004, Torino, Giappichelli, 2005, pp. 879 ss., spec. alle pp. 888 ss., nonché Studi sui diritti in Europa, Roma, Aracne, 2006, pp. 170 ss. Analoga prospettiva è quella definita da M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in «Giurisprudenza costituzionale», 51, 2, 2006, pp. 1643-68.

¹ L’uso dell’espressione «agire», anziché di quella più consueta di «dover essere», ha una sua ragione di fondo importante, che vale la pena segnalare. La nozione di «dover essere», almeno secondo la tradizione classica di derivazione kantiana, tende a esprimere non solo una «regola per l’azione», quanto anche un’azione «necessaria» o comunque in rapporto con principi, i quali, seppure non si riscontrano in natura, rendono in ogni caso «doverosa» la condotta (vedi I. Kant, Critica della ragion pratica, 1788, trad. it. di F. Capra, Bari, Laterza, 19425, pp. 21 ss. e passim; Id., Fondazione della metafisica dei costumi,1785, trad. it. (con testo a fronte) di V. Mathieu, Milano, Bompiani, 2003, spec. alle pp. 45 ss. e 173 ss.). Vero è che il rapporto dialettico tra «essere» e «dover essere» ha anche una connotazione giuspositiva di origine illuministica (che porterà Hegel a opporsi energicamente al concetto, scorgendovi il pericolo di una «separazione della realtà dall’idea»: cfr. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817), a cura di B. Croce, Roma-Bari, Laterza (nuova ed. con l’aggiunta della prefazione di Hegel) 2002, § 6, pp. 9 ss. (il passo citato a p. 10); Id., Lineamenti di filosofia del diritto (1821), trad. it. di F. Messineo, Roma-Bari, Laterza, 1979, p. 18) e dunque, collegandosi al carattere prescrittivo del diritto, si assume come «comando», volendo esprimere soltanto il fatto che è una «norma» (così H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, 1945, trad. it. di S. Cotta e G. Treves, Milano, Edizioni di Comunità, 1952, p. 35; Id., Lineamenti di dottrina pura del diritto, 1934, trad. it. di R. Treves, Torino, Einaudi, 19796, pp. 62 ss.). In ogni caso, sembra sfugga al concetto di «dover essere» il ruolo e l’incidenza del condizionamento sociale e dei soggetti interessati alla definizione del «comando» ovvero della «regola di condotta» che viene posta. Considerando oggetto del diritto più semplicemente l’agire si vuole sottolineare, come si evidenzia nel testo, il carattere sociale delle «regole di condotta» poste in essere sub specie iuris.

² Il collegamento tra dinamica del diritto e mutamento sociale può facilmente essere inteso se si esaminano i caratteri sostanzialmente statici della società omogenea e stabile dell’Ottocento, a fronte della dinamicità crescente che caratterizza la disomogeneità e la conflittualità sociale del Novecento. Sul piano concettuale la nota distinzione tra «Stati monoclasse» e «Stati pluriclasse» vuole sintetizzare la distanza profonda tra queste forme di organizzazione sociale che si sono succedute nei paesi occidentali, nonché i riflessi che ciò ha prodotto sul piano giuridico. Sul punto vedi anche infra, cap. 5, § 1.2.

³ Sul punto, vedi per tutti, G. Ciccotti, M. Cini, M. De Maria, G. Jona-Lasinio, L’ape e l’architetto. Paradigmi scientifici e materialismo storico, Milano, Feltrinelli, 1976.

⁴ Sulla fondamentale distinzione tra «disposizione» e «norma», nonché sull’attività decisiva di trasformazione delle «disposizioni» in «norme», vedi le considerazioni svolte con esemplare e non superata maestria da V. Crisafulli, Disposizione (e norma), in Enciclopedia del diritto, vol. XIII, Milano, Giuffrè, 1965, pp. 195 ss.

⁵ Cfr. H.G. Gadamer, Verità e metodo (1960), a cura di G. Vattimo, Milano, Bompiani, 1983, spec. pp. 312 ss.

⁶ Non sembra dunque possa applicarsi alla scienza del diritto (alle scienze sociali in genere) il metodo popperiano della «previsione tecnologica» che procede per tentativi ed errori: cfr. K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica (1934), trad. it. di M. Trinchero, Torino, Einaudi, 1998. Per le implicazioni della teoria della conoscenza popperiana nel campo della filosofia politica e sociale vedi il suo celebrato scritto La società aperta e i suoi nemici (1945), voll. I e II, trad. it. di R. Pavetto, Roma, Armando Editore, 1973-74.

⁷ L’espressione adoperata nel testo di «diritto in senso oggettivo» può avere diversi denotati, è da me (qui e d’ora in poi) utilizzata secondo un’accezione che vale a distinguersi da quella più usuale di «diritto oggettivo», collegandosi invece strettamente a quella di «ordinamento giuridico», come sarà chiarito infra,cap. 3, § 1, nota 1.

⁸ Com’è noto Niccolò Machiavelli distingueva tra i modi di «acquisto» degli Stati – che possono essere fondati oltre che per forza («con le armi d’altri o con le proprie») e per «virtù» anche per «fortuna» – dal modo con cui questi stessi Stati si potevano «governare e mantenere»: cfr. N. Machiavelli, Il principe (1513), ora in Id., Tutte le opere storiche e letterarie di Niccolò Machiavelli, a cura di G. Mazzoni e M. Casella, Firenze, Barbèra, 1929, p. 5. Per ulteriori considerazioni vedi infra, cap. 7, § 9.

⁹ Vedi infra, i §§ 4 e 5 di questo capitolo.

¹⁰ Sul rapporto e la distinzione tra i concetti di «validità» e di «effettività» vedi infra, i §§ 3 e 3.1 di questo capitolo.

¹¹ Vedi infra, il § 5 di questo capitolo e il § 5.4 del cap. 3.

¹² Sul punto vedi C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, vol. I, Padova, Cedam, 19759, p. 8. Più in generale può vedersi la voce di P. Piovani, Effettività (principio di), in Enciclopedia del diritto, vol. XIV,Milano, Giuffrè, 1965, pp. 420 ss., nonché il più risalente, ma importante, volume di quest’ultimo autore Il significato del principio di effettività, Milano, Giuffrè, 1953.

¹³ Sul significato da attribuire ai due miti fondativi della civiltà giuridica – espressi il primo nella tragedia sofoclea che vede contrapporsi la volontà di Creonte alla ragione di Antigone, il secondo nell’accettazione della condanna «ingiusta» da parte di Socrate, il filosofo padre di ogni filosofia classica – vedi infra, cap. 7, §§ 3.1 e 4.

¹⁴ Vedi infra, cap. 3, § 3 e poi cap. 6, §§ 3 ss.

¹⁵ Vedi H. Kelsen, La dottrina pura del diritto (1960), trad. it. di M.G. Losano, Torino, Einaudi, 19902, p. 235. Come chiariremo in seguito (cap. 6, § 3), la dipendenza indicata nel testo tra validità ed efficacia riguarda l’ordinamento giuridico nel suo complesso, non invece la singola norma. Scriverà, infatti, esplicitamente Kelsen: «La dipendenza della validità di un ordinamento dalla sua efficacia non implica, come s’è notato, che la validità di una data norma dipenda dalla sua efficacia. Questa norma giuridica rimane valida finché fa parte di un ordinamento valido. Il problema della validità di una data norma trova la sua soluzione facendo ricorso alla prima costituzione. Se questa è valida, allora sono pure valide tutte le norme che sono state create in modo costituzionale» (così in Id., Teoria generale del diritto, cit., pp. 123 s., corsivi aggiunti).

¹⁶ Cfr. Id., La dottrina pura del diritto, cit., pp. 222 ss.

¹⁷ Cfr.ivi, p. 226.

¹⁸ È alla teoria kantiana, infatti, che Hans Kelsen esplicitamente si richiama: vedi ivi, p. 227.

¹⁹ Vedi ivi, p. 231. Per Kelsen, ovviamente secondo la sua particolare prospettiva, il richiamo alla statuizione da parte di una «autorità» della «norma fondamentale» è immediatamente seguita dalla precisazione che quest’autorità non può che essere intesa come «sovraordinata all’autorità giuridica». Una norma forse «superiore», ma certamente «metagiuridica». In tal modo può apparire di riuscire a far salva la «purezza» della dottrina del diritto, ma in realtà si priva di ogni fondamento materiale la conoscenza del diritto e l’ordinamento normativo nel suo complesso. L’infondatezza della norma fondamentale traspare in tutta evidenza nell’opera dell’ultimo Kelsen, quando egli stesso riconosce che essa è solo una «norma fittizia», ossia «un espediente di cui ci si serve quando non si è in grado di raggiungere lo scopo pensato con i mezzi a disposizione». Poi ancora precisa: «Lo scopo concettuale della norma fondamentale è fornire un fondamento alla validità delle norme che costituiscono un ordinamento giuridico o morale [...]. Si può raggiungere questo obiettivo solo mediante una finzione». Non dunque un’ipotesi d’ordine logico (trascendentale), né una «ipotesi» (come altre volte da Kelsen definita), bensì una pura «finzione che si distingue da un’ipotesi per il fatto che ad essa si accompagna o deve accompagnarsi la consapevolezza che essa non corrisponde alla realtà» (così Id., Teoria generale delle norme, 1979, a cura di M.G. Losano, Torino, Einaudi, 1985, pp. 434-35, corsivo aggiunto). Questa perdita di ogni fondamento ovvero di «credenza» nella norma fondamentale induce Kelsen ad affermazioni di carattere esistenziale (se non proprio – come pure è stato affermato – di carattere «irrazionale»), non più fondate su presupposti logico-formali. Così con riferimento alle norme e alla loro validità si perde il collegamento con l’ordinamento giuridico complessivo e si rinviene il presupposto nella pura volontarietà dell’atto: «Quando si dice che «una norma è valida» – scriverà brutalmente Kelsen – si vuol dire che una norma esiste» (ivi, p. 5). Sull’ultimo Kelsen, l’abbandono della sua originaria concezione «logicista» e l’approdo a una visione «irrazionalista», vedi anche infra,cap. 3, § 3.

²⁰ Torneremo a esaminare il sistema kelseniano e altri profili della concezione «normativista» più avanti nel testo: cap. 3, § 3 (esaminando la concezione di «ordinamento giuridico» di questa dottrina) e poi ancora cap. 6, §§ 3 ss. (esaminando la complessiva visione proposta da questo tipo di pensiero giuridico in rapporto alla sua capacità di dare soluzione ai conflitti entro una prospettiva procedurale).

²¹ Vedi ad esempio la ricostruzione proposta da G.U. Rescigno, Corso di diritto pubblico, Bologna, Zanichelli, 200711, pp. 165 ss. Il collegamento tra concetto di «diritto» e l’indispensabile esistenza di un apparato coercitivo è chiaramente evidenziato nelle classiche pagine di M. Weber, Economia e società (1922), trad. it. a cura di P. Rossi, vol. I, Teoria delle categorie sociologiche, Milano, Edizioni di Comunità, 1980, p. 32.

²² Una norma può imporsi per via coercitiva anche entro ordinamenti giuridici virtuali, nel caso che la «regola di condotta sociale», per quanto illecita, sia pur sempre una pratica persistente e diffusa, come ha evidenziato con grande perspicacia un raffinato giurista i cui studi meriterebbero di essere valorizzati: A. Pigliaru, La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, Milano, Giuffrè, 1959 (una seconda edizione è stata pubblicata con il titolo Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina, Nuoro, Il Maestrale, 2000).

²³ L’espressione «sovranità» è qui utilizzata in modo generico, come capacità di imporre decisioni. Per una sintetica ricostruzione del concetto di sovranità nell’epoca moderna e i diversi significati che essa ha assunto nel corso del tempo può leggersi lo studio di L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno. Nascita e crisi dello Stato nazionale, Roma-Bari, Laterza, 1997. Sul concetto di sovranità nella storia dell’antichità vedi l’importante riflessione di M. Galizia, La teoria della sovranità dal Medio Evo alla Rivoluzione francese, Milano, Giuffrè, 1951.

²⁴ Sul «monopolio della forza legittima» detenuto da parte del gruppo politico statale vedi le classiche pagine di M. Weber, La politica come professione (1921), ora in Id., Il lavoro intellettuale come professione: due saggi,trad. it. di A. Giolitti, Torino, Einaudi, 19807, pp. 47 ss.; anche Id., Economia e società, cit., vol. IV, Sociologia politica, pp. 478 ss. La ricostruzione weberiana fa esplicito rinvio al pensiero d’ispirazione marxiano, su cui vedi almeno K. Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1927, ma scritto tra il 1841 e il 1843), ora in Id., Opere filosofiche giovanili, trad. it. di G. Della Volpe, Roma, Editori Riuniti, 19774, pp. 13 ss.

²⁵ In questo paragrafo ci si limita a porre in rilievo il «valore» pienamente giuridico delle norme, anche di quelle non direttamente riconducibili all’ente statale; infra (cap. 3) esamineremo i profili inerenti al «valore» delle norme nel rapporto tra ordinamenti, statali e non statali.

²⁶ Sull’importanza e sul ruolo dell’ideologia (del «pensiero ideologico») nella definizione dei regimi totalitari è esemplare lo studio di H. Arendt, Le origini del totalitarismo (1951), trad. it. della III ed. del 1966 di A. Guadagnin, Milano, Edizioni di Comunità, 1996, in particolare la terza parte dedicata alla definizione dei caratteri propri del regime totalitario, che viene distinta da ogni altra forma storica di regimi autoritari, per la capacità del «totalitarismo» di imporsi mediante il «terrore», ma di fondare il proprio principio d’azione (e dunque di conservarsi) sulle «ideologie» (cfr. alle pp. 421 ss., spec. alle pp. 630 ss.). Sul rapporto tra il consenso e la sua progressiva manipolazione, prima nei regimi autoritari, poi nelle società tecnologiche e di massa le ricerche critiche più radicali rimangono quelle della «Scuola di Francoforte». Merito della «teoria critica» è quello di avere coniugato le questioni più propriamente teoriche (filosofiche, economiche, psicoanalitiche, antropologiche e sociologiche) con l’evoluzione della «società» novecentesca: di massa, totalitaria e tecnologica. Partendo dallo studio del problema dell’autorità, molte analisi furono dedicate a indagare la collegata questione della manipolazione del consenso con una radicalità e profondità di pensiero (spesso impropriamente accusato di un eccessivo pessimismo) successivamente perduto. Tra i lavori più noti vedi almeno M. Horkheimer e T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo (1947), trad. it. di R. Solmi, Torino, Einaudi, 1982; M. Horkheimer, Eclisse della ragione (1947), trad. it. di E. Vaccari Spagnol, Torino, Einaudi, 1969; H. Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata (1964), trad. it. di L. Gallino e T. Giani Gallino, Torino, Einaudi, 1967. Una lucida e avvincente indagine sulla cattura del consenso nelle nostre società «spettacolari» è anche quella svolta da G. Debord, La società dello spettacolo (1967), trad. it. di P. Salvatori, Firenze, Vallecchi, 1979.

²⁷ Sul punto vedi l’ormai classico J. Habermas, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo (1973), trad. it. di G. Backhaus, Roma-Bari, Laterza, 1975.

²⁸ In caso, può rilevarsi come nei momenti di più drammatica crisi degli ordinamenti ogni regola di condotta giuridica (l’insieme delle norme) rischia una generalizzata e continua disobbedienza o inosservanza di fatto. Pertanto, com’è stato giustamente rilevato, «durante le crisi degli ordinamenti, la funzione di rendere certa la sussistenza di una regola giuridica che di solito spetta alle disposizioni sulla produzione del diritto può essere svolta solo dalla consuetudine» (così C. Esposito, Consuetudine (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, vol. IX, Milano, Giuffrè, 1961, p. 464).

²⁹ Sulle ragioni del mancato intervento del legislatore e dell’inattuazione delle previsioni contenute nell’art. 39 della Costituzione vedi per tutti G. Giugni, Art. 39, in G. Branca(a cura di), Commentario della Costituzione, Rapporti economici, tomo I: artt. 35-40, Bologna-Roma, Zanichelli-Foro italiano, 1979, pp. 257 ss. Per una lettura storica, attenta alle vicende sia istituzionali sia politiche, vedi le appassionate pagine di U. Romagnoli, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, il Mulino, 1995, pp. 123 ss. Più in generale sul fenomeno dell’inattuazione della costituzione nella nostra esperienza repubblicana vedi innanzi tutto gli storici e combattivi saggi di Pietro Calamandrei di denuncia dell’inerzia del legislatore e in particolare della maggioranza politica del tempo (L’ostruzionismo di maggioranza, in «Il Ponte», 1953, fascicoli 2, 3 e 4, rispettivamente alle pp. 129 ss., 274 ss. e 433 ss.). Vedi inoltre, con un analogo pathos rivolto alle più recenti vicende italiane, A. Pizzorusso, La Costituzione ferita, Roma-Bari, Laterza, 1999.

³⁰ È per questo che la diffusione di mercati neri tollerati è spesso legata a situazioni di emergenza o a crisi degli ordinamenti: dall’Italia nell’immediato dopoguerra ai paesi dell’Est europeo poco prima del crollo dei regimi comunisti.

³¹ Sebbene la dottrina più avvertita sia consapevole che le consuetudini, quelle costituzionali in specie, «non hanno grado», ponendosi in un rapporto non lineare con le altre fonti «scritte»: sul punto vedi le considerazioni di Esposito, Consuetudine, cit., pp. 472-73, nota 79. Così anche G. Zagrebelsky, Sulla consuetudine costituzionale nella teoria delle fonti del diritto, Torino, Utet, 1970, pp. 96 ss., spec. a p. 98, nonchéG.U. Rescigno, Le convenzioni costituzionali, Padova, Cedam, 1972, p. 118.

³² È pertanto da condividere l’osservazione che porta a negare una possibilità di tipizzazione delle consuetudini «in quanto tali». «Le situazioni che si vorrebbero in tal modo accomunare e unificare non sono omogenee, e quindi non possono essere tipizzate come categoria unitaria che dia luogo a manifestazioni uniformi e costanti. Non solo variano da ordinamento a ordinamento e da epoca a epoca, ma pure alcune di esse si determinano diversamente nei campi che si sogliono denominare ‘diritto pubblico’ e ‘diritto privato’»; così R. Orestano, Dietro la consuetudine (1963), ora in Id., «Diritto». Incontri e scontri, Bologna, il Mulino, 1981, p. 430.

³³ Questa seconda ipotesi si riferisce alle cosiddette «consuetudini internazionali» cui rinvia l’art. 10, primo comma della Costituzione, su cui vedi infra, § 9 di questo capitolo.

³⁴ Sulla consuetudine intesa come «fatto normativo» vedi le ormai classiche pagine di N. Bobbio, La consuetudine come fatto normativo, Padova, Cedam, 1942; dello stesso autore vedi anche la voce Consuetudine (teoria generale), in Enciclopedia del diritto, vol. IX, Milano, Giuffrè, 1961, pp. 426 ss.

³⁵ Così Orestano, Dietro la consuetudine, cit., pp. 427 e 432.

³⁶ Rileva come, a differenza delle consuetudini, «anche un solo precedente può fondare la regola convenzionale», Rescigno, Le convenzioni costituzionali, cit., p. 117.

³⁷ Sulla limitata possibilità di far valere le convenzioni costituzionali nel nostro ordinamento, a causa del loro presunto carattere non giuridico, vedi la tradizionale ricostruzione di G. Treves, Convenzioni costituzionali, in Enciclopedia del diritto, vol. X, Milano, Giuffrè, 1962, pp. 524 ss.

³⁸ Sulle mutazioni intervenute nelle consultazioni presidenziali per la formazione del governo a seguito dell’introduzione del «modello maggioritario» vedi, tra i tanti, il documentato scritto di A. Ruggeri, Le crisi di governo tra «regole» e «regolarità» della politica, in L. Ventura(a cura di), Le crisi di governo nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, Torino, Giappichelli, 2001, pp. 33 ss., spec. alle pp. 69 ss.

³⁹ Sul punto vedi le classiche pagine di Kelsen, La dottrina pura del diritto, cit., pp. 63 ss., ma anche pp. 130 ss.

⁴⁰ Sul punto ancora fondamentali appaiono le riflessioni svolte da G. Guarino, Sul regime costituzionale delle leggi di incentivazione e di indirizzo (1961) ora in Id., Scritti di diritto pubblico dell’economia e diritto dell’energia, vol. II, Milano, Giuffrè, 1962, pp. 125 ss. In una prospettiva di teoria generale vedi invece N. Bobbio, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano, Edizioni di Comunità, 1977, pp. 13 ss., 33 ss. e passim.

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