1513. Machiavelli, il carcere, Il Principe
1513: Firenze è per l'ennesima volta al centro di una temperie politica. Si è appena chiusa, con l'appoggio di Giulio II, la parentesi repubblicana della città iniziata nel 1494 con la caduta medicea, in cui tanta parte avevano avuto le predicazioni del Savonarola. I figli di Lorenzo il Magnifico, Giovanni dei Medici (ormai prossimo al soglio pontificio con il nome di Leone X) e suo fratello Giuliano si impegnano a consolidare il potere riacquisito, a sedare le tensioni, a rappacificare le fazioni. Ma in città lo spirito repubblicano è ancora forte: proprio durante gli splendidi festeggiamenti del Carnevale, indetti quell'anno per il loro ritorno, è scoperto un complotto antimediceo. Tra i congiurati c'è anche Niccolò Machiavelli: catturato e torturato, gli viene fatta salva la vita ma è condannato all'esilio. Dal suo ritiro, in quell'anno, il grande fiorentino compone Il Principe e mette mano ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Perché scrivere - quasi contemporaneamente - un'opera per insegnare a un principe nuovo come rafforzare il suo Stato e un'altra che spiega, sull'esempio dei romani antichi, come riportare in vita e conservare una libera repubblica? Interrogativi su cui gli storici hanno di recente gettato nuova luce e messo in questione interpretazioni consolidate. Vale davvero la pena tornare a quel 1513, per capire non solo la storia di Firenze ma anche la storia d'Italia.