Classi pericolose
Ci sono persone considerate pericolose per gli atti che hanno compiuto: crimini, furti, omicidi, stupri. Ci sono poi interi gruppi considerati pericolosi per la loro condizione sociale: mendicanti, vagabondi, emarginati. In una parola: poveri. Non hanno fatto nulla di male, non hanno commesso reati, eppure sono sospetti e per questo pericolosi. Quando e perché abbiamo iniziato ad avere paura degli ultimi? E che cosa è cambiato nei secoli?
Le disuguaglianze economiche sono antiche quanto l’umanità e i poveri, purtroppo, sono sempre esistiti. Quello che è cambiato storicamente è il modo in cui gli ultimi sono stati considerati e trattati. Questo libro tesse le fila di una secolare vicenda che parte dagli albori dell’età moderna, quando per la prima volta il povero perde la concezione sacrale che aveva avuto nel Medioevo e diventa agli occhi dei gruppi dominanti colpevole del proprio stato. S’avvia un processo di criminalizzazione per cui accattoni, vagabondi, stranieri iniziano a essere percepiti come una minaccia. La società via via si trasforma sotto l’impulso di una borghesia che trionfa sulle altre classi sociali imponendo una nuova cultura e un diverso stile di vita, pretendendo il decoro delle città e dei comportamenti delle persone che le abitano, difendendo con ogni mezzo la proprietà e la sicurezza. L’idea che i poveri, e più di recente i contadini e gli operai, siano un pericolo sociale diventa pratica di governo, si trasforma in leggi, seleziona i soggetti che devono essere sorvegliati e, nel caso, messi al bando o rinchiusi lontano dal consesso civile. È una storia che dal Cinquecento arriva all’oggi, evidenziando linee di sconcertante continuità.