2. Information retrieval: 3. Opac e biblioteca virtuale 4. Biblioteche e Opac 5. Biblioteche e Opac 7. Le biblioteche 8. Opac specializzati, 10. Banche dati: archivi 11. Metarisorse generali |
Parte prima Concetti e strumenti 3. Opac e biblioteca virtuale [Introduzione]
Con l'avvento di Internet non è più detto che l'autore produca i dati, l'indicizzatore ne estragga i metadati e li organizzi in appositi «contenitori» (come i cataloghi e le bibliografie) e che infine il lettore interroghi i metadati raccolti nei «contenitori» per individuare e poi raggiungere i data più appropriati al suo bisogno informativo. In ambiente di Rete sempre più spesso dati e metadati tendono a fondersi in file che contengono entrambi, facendo dell'autore dei documenti (e molto più raramente - nonostante i buoni propositi - del loro editore) un vero e proprio pre-indicizzatore degli stessi, in uno scenario in cui le ingenti masse di informazioni che quotidianamente approdano sul Web, abbinate alla crescente scarsità di risorse economiche a disposizione di biblioteche e centri di documentazione, aumentano le probabilità che tale pre-indicizzazione «leggera» resti a lungo o per sempre l'unica disponibile. Già in ambiente cartaceo gli editori più accorti inseriscono nelle parti introduttive dei loro libri il Cip (Cataloguing in publication), ovvero una schedina bibliografica che, con qualche verifica e accomodamento, può essere trascritta dagli indicizzatori nei rispettivi cataloghi. Ma la differenza, in Rete, è che non c'è più bisogno di trascrivere i metadati in un «contenitore», perché i motori li rintracciano già dove si trovano, cioè nel «paratesto» del documento primario. Il ruolo dell'indicizzatore rischia così di svanire progressivamente, man mano che gli autori si «disintermediano»? La tipica risposta dei diretti interessati, orgogliosi delle proprie competenze tecniche e dei preziosi strumenti di lavoro creati dalla comunità professionale è «no, perché gli autori non sanno indicizzare bene, non conoscono né i principi generali di base, né le regole da adottare, né tutti quei repertori, thesauri, soggettari e authority files che noi abbiamo costruito negli anni e che migliorano la qualità dei nostri metadati». L'argomentazione non fa una piega; infatti i metadati disponibili in Rete, sotto gli occhi di tutti, sono spesso di una qualità imbarazzante. Ma c'è qualcosa di più grave, a cui si presta in genere meno attenzione. Potrebbero esserci aziende che inseriscono nei metadati delle proprie pagine Web il nome dei diretti concorrenti più pubblicizzati per dirottare sul proprio sito una parte dei loro clienti. Potrebbero esserci altre aziende che vi inseriscono invece nomi di prodotti che non trattano, ma che analisi di mercato hanno rivelato essere spesso cercati dagli stessi clienti che si spera acquistino i loro veri prodotti. Potrebbero esserci aziende, enti, associazioni e singole persone che pur di aumentare a qualsiasi costo il numero dei visitatori del proprio sito, inseriscono nei metadati parole tanto popolari quanto non attinenti al sito stesso. Sebbene riportati al condizionale, questi non sono casi ipotetici, ma reali e già esistenti. Il punto è che oltre alla dimensione tecnica dell'indicizzazione ne esiste anche una etica, deontologica. La terzietà dell'indicizzatore rispetto ad autore e lettore non è solo una ottimizzazione per consentirgli di specializzarsi e di far risparmiare tempo al lettore, ma costituisce anche una garanzia che chi predispone i metadati abbia interesse solo a farlo nel modo tecnicamente migliore e non sia direttamente avvantaggiato - economicamente o da altri punti di vista - dal recupero di certi data piuttosto che di altri. Ciò non significa che la «auto-indicizzazione» sia una patologia da eliminare. Anzi, di fronte alla quantità crescente di documentazione prodotta dall'umanità, si tratta di una strada obbligata, ma occorre essere consapevoli che si tratta di un male minore rispetto alla «non-indicizzazione» e che il do-it-yourself va comunque integrato e coordinato da interventi mirati di professionisti. Fra la proliferazione probabilmente eccessiva dei progetti di metadati (molti dei quali ancora in via di sviluppo e in concorrenza fra loro), le resistenze da parte dei motori di ricerca all'adozione dei metadati più strutturati, e le difficoltà tecniche e deontologiche legate alla auto-indicizzazione, il rischio è che non si vedano in tempi ragionevoli degli apprezzabili risultati concreti. Una soluzione per uscire dall'impasse potrebbe essere quella, che sta cominciando a diffondersi, di abbassare il tiro e mirare a motori di ricerca locali, che coprono solo un'intranet aziendale oppure un pool di virtual reference desk del medesimo ambito, potenziandoli con la creazione di metadati più o meno raffinati a seconda delle esigenze locali, scelti fra i vari progetti esistenti e soprattutto supportati dal motore che si è adottato. Il compito del collegamento fra le varie «isole» del Web andrebbe progressivamente lasciato, in questa ottica, a strumenti di tipo repertoriale o a motori meno raffinati. In questo modo molti degli attuali problemi di autorevolezza dell'indicizzazione, di controllo terminologico e di scarso dialogo fra standard per la produzione di metadati e standard per la loro ricerca si ridurrebbero, soprattutto se gestiti dai bibliotecari e documentalisti locali. Il prezzo da pagare sarebbe modico, e consisterebbe nella rinuncia al ricorrente mito della ricerca unica, semplice, efficace ed esaustiva sull'intero docuverso, sia pure limitata alla sua parte Web.
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